Critica e collaborazione

Critica e collaborazione Critica e collaborazione Il terrorismo aereo e terrestre col quale siamo alle prese dimostra sopra tutto una cosa: che i nostri nemici non giurano più come prima nella fine della resistenza italiana. L'ecatombe di Treviso, l'impiego scientifico dell'assassinio stradale all'americana stanno in ragione diretta col progressivo consolidarsi della Repubblica. I mandanti degli infaticabili artisti del bagno di sangue, chiaminsi essi Grande Oriente, Intelligence Service, fiduciari di Mosca o come meglio .vi aggrada, hanno perduta la speranza di vederci crollare per collasso spontaneo. Tutto sommato, è questa una constatazione confortante. Si assassina l'uomo di cui si ha paura, non quello che si giudica inoffensivo. E che si torni ad aver paura di noi non è da sorpren dere. L'esercito si ricostituisce rapidamente. L'amministrazione pubblica, tra difficoltà enormi, si avvia a riassestarsi. Le razioni di alcune derrate fondamentali sono state aumentate. Sorgono un po' dovunque iniziative intese a corroborare con mense di guerra l'alimentazione degli operai e della popolazione più biso gnosa. Riforme sociali audacissime entrano in elaborazione. Lo stato d'animo del paese migliora. Mussolini è al suo tavolo di lavoro, più vegeto e alacre che mai. I rapporti con la Germania sono eccellenti. La creazio ne, tanto strombazzata' al l'estero, di Alti Commissari tedeschi nelle nostre prò vincie alpine e prealpine, dovuta a ragioni militari di difesa contro il perico lo di infiltrazioni partigiane di provenienza balcanica e dimostratasi efficacissima, non ha se non un carattere temporaneo: la dichiarazio ne ufficiale del governo di Berlino che non un solo me tro quadrato di territorio italiano sarà annesso al Reich resta pienamente va lida. Che più? Paragonia mo la situazione attuale con quella del settembre scorso, e dovremo riconoscere che la ripresa, se non è ancora totale, e nessuno pretende che lo sia, ha una consistenza effettiva e può già giustificare un principio di soddisfazione oltre à una non arbitraria fiducia nell'avvenire. Ma appunto per questo la Mano Nera anglo-russo-americana è all'opera, appunto per questo le nostre città e le nostre campagne sono teatro delle gesta d'un banditismo politico e non politico che sta fra l'attacco a mano armata tipo Chicago e l'azione alla Ku-klux-klan, dMcsnzfra l'assassinio rituale aliai tPrince e l'agguato borgiesco ! ralla Luigi Razza. ! uA tale proposito, comun- dque, un rilievo si impone,Ito o r r a o a e o i o e a e un rilievo suggestivo: gli •uccisi sono sempre gli uomini migliori di cui disponiamo. Il che a prima occhiata può parer ovvio, ma in realtà è molto peggio. Possiamo star certi che se il regime alberga ancora nel proprio seno compassionevole, e indubbiamente ne alberga, qualche figura discutibile, qualche « sopravvissuto » meritevole di radiazione, qualche personaggio non circondato dalla stima inconcussa del paese, sulla sua testa, non pende minaccia alcuna. Facciamo poi, per un istante, l'ipotesi assurda che governo o partito avessero voluto mantenere nei loro ranghi un uomo universalmente odiato: siamo pronti a giurare che egli potrebbe passeggiare nudo per le vie di Torino o di Milano senza vedersi torcere un pelo. Quali sono, viceversa, le vittime designate alla mano dei sicari? I puri, i buoni; i più disinteressati, i più generosi, i più ardenti di carità di patria, i più comprensivi. Tre nomi: Pericle Ducati, Ather Capelli e Giovanni Gentile, basterebbero da soli a provare la verità dell' assunto. Si uccidono gli uomini che si ritengono più portati, pel loro temperamento, pei loro precedenti, a contravvenire a quelle tali istruzioni massoniche del 28 ottobre 1926 che raccomandavano di « provocare confusione, malumore e rancore verso il regime... sottraendogli cosi la stima dei simpatizzanti, degli agnostici e del popolo tutto » ; in una parola, si uccidono gli uomini più adatti a rifare intorno a Mussolini e al governo la concordia degli animi, l'unità degli Italiani. E questo è interessante quale documento della sottigliezza infernale degli avversari, ma lo è ancor più quale criterio direttivo offerto alla nostra tattica politica. Parlando l'altro giorno ai Commissari federali lombardi riuniti in Como, il Segretario del Partito ha detto che, di fronte ai formidabili problemi dell'ora, assemblee ed elezioni hanno una importanza secondaria e che « discutere va bene, ma che il mussoliniano « Credere, obbedire e combattere » resta un trinomio ben più importante e ben più attuale ». Siamo d'accordo col camerata Pavolini sulla preminenza delle necessità belliche e constatiamo con piacere come anch'egli riconosca che « discutere va bene ». Saremmo, inoltre, al colmo della contentezza se potessimo toccar con mano che la totalità o almeno la maggioranza degli Italiani si conformano al triplice precetto di cui sopra: giacche, in tal caso, invece di spendere dodici ore al giorno nella non lieve fatica di sonar l'olifante per chiamare a raccolta intorno alla Repubblica la dispersa fiducia del paese, potremmo buttar via la penna e riprendere, per azio ni più dirette e meritorie, nostri vecchi galloni di uffi ciale. Ma nemmeno i precetti più belli ottengono sempre l'effetto voluto, e, come tutti sanno, proprio quello, bellissimo, or ora citato, dopo aver brillato per anni sulle nostre cattedre e sui muri delle nostre case, non ci ha impedito di passare, purtroppo, in breve volger di tempo, dalla condizione di potenza imperiale temuta e rispettata, prospera e piena d'avvenire, allo stato in cui siamo. La fiducia — chi non lo e o a a , o o i o , e n . a saY — non si comanda': si ispira. La storica formula invocata raggiungerà dunque oggi — nessuno ne dubita — l'ambito scopo presso coloro che già credono, obbediscono e combattono, com'è il caso di noi che scriviamo o che occupiamo posti di responsabilità, e pei quali, a rigore, il precetto è pleonastico; ma non vediamo di quanta efficacia possa riuscire nel caso di quanti, e non son pochi, disgraziatamente non credono, non obbediscono e non combattono. Ora, poiché il problema centrale dell'ora, più che nel mantenere la disciplina nelle file di chi già segue la Repubblica, e la segue volontariamente, sta nel raccogliere il consenso di chi le rimane estraneo o la contesta o, peggio, la insidia, ci pare che al trinomio di cui sopra manchi precisamente il requisito dell'attualità e che assai più proficuo sarebbe procedere, almeno in via contingente, secondo criteri di minore esigenza, meglio adeguati alle possibilità del momento. imgcciradncsdedmtbrmsnic1dcrfistmnccafzztfsculeadsg Ed è qui che la qualità delle vittime presceltCoalla Mano Nera o Murder lncorporation pluto-demo-bolscevica costituisce, a parer nostro, una indicazione preziosa. Giacchè se il nemico tiene a sopprimere, di prefe renza agli intransigenti, gli uomini più disposti alla con- dilazione, le menti più aperte, i caratteri più elevati o, e i a i e a o i e — o o a i e . l e , e a e e a i o l in ogni caso, gli individui meno fortemente stampigliati dal partito, come non 9 concluderne che proprio in costoro si Vedono, all'estero, i più efficaci coadiutori della rinascita italiana, i migliori agenti del nostro riconsoli; damento interno, i pacieri naturali della guerra civile che si vorrebbe scatenare sul nostro Paese per impedirgli di rimettersi in piedi e di riprendere le armi? E diciamo di riprendere le armi perchè, come ognuno intende, è proprio dal ristabilirsi della concordia interiore che, se non l'allestimento di un esercito :— cosa, ripetiamo, già molto bene avviata, per non dire già in Atto — dipendono l'efficienza morale, la pujssacità, 10 slancio di questo esercito, dai gregari ai capi. Ma se così stanno le cose, negheremo noi al nemico il beneficio della logica, e a noi stessi quello di ispirarcene? Il Paese, del cui sentimento siamo, senza alcun nostro merito, osservatori quotidiani attraverso le centinaia e centinaia di lettere/ d'ignoti che da mesi ci pervengono, ambisce a non esser tagliato fuori dall'opera di elaborazione del nuovo Stato nazionale, a non restar spettatore passivo di quanto si fa, si tenta e si crea per esso, a dire la sua parola sui problemi dell'ora. Il Paese vuole collaborare, quindi consigliare, criticare, giudicare. Ora in questa, che è un'alta, anzi la più alta delle ambizioni civiche, non c'è nessun pericolo, non deve essercene : tutt'altro. Alla fin fine, per esser giusti, non. è stato il Paese a tradire ma ad esser tradito. E nulla di più legittimo che in un corpo di cittadini deluso una prima volta regni disperato il proposito di non esserlo una seconda. Vi è un diritto di controllo e di esame che noi, minoranza fascista, non possiamo negargli nè abbiamo interesse a negargli. Non ci stancheremo di ripetere che una repubblica, sia pure affrancata dalla demagogia e da vere e proprie lotte di partito, sia pure costretta dallo stato di guerra a una estrema prudenza di atti e di parole, deve avere, per farsi amare, uno stile e un clima repubblicani. Ora 11 governare unicamente dall'alto per illuminazione del Paracleto non è repubblicano. Non abbiamo mai chiesto che si tengano comizi sulle piazze, rpa riteniamo che su una quantità di problemi del giorno i pubblici poteri avrebbero tutto da guadagnare a una consultazione frequente e cordiale almeno di congrue rappre** sentanze apolitiche delle varie categorie di cittadini, nonché di ben compresi giornali d'opinione. Se vi sono cose geniali da fare, facciamole tutti insieme. Se vi sono errori da commettere, commettiamoli tutti insieme. Ma non rompiamo i contatti reciproci, perchè è quello che ci ha perduti ieri e che ci perderebbe di nuovo domani. Rendiamoci conto che quando, per citare i più umili casi che ci vengono sotto la penna, la massaia di Cuorgnè deve fare tre ore di coda per ottenere un bicchiere di latte a prezzo di tessera mentre il suo lat- taio distribuisce tranquillamente la propria merce a domicilio ai borghesi a 12 lire il litro, quando la massaia di Alassio si vede proibire dalla guardia di finanza di portarsi a casa un secchio d'acqua di mare per procurarsi il sale da mettere nella minestra, convien pure, se non altro, dare a queste inoffensive cittadine il modo di farsi sentire e di ottenere giustizia. Incontrarci, collaborare, diciamo. Oltre tutto, abbiamo qui un'ottima occasione per dimostrare al Paese che non c'è bisogno di cadere nelle aberrazioni dell'anarchismo liberale di Bari e dintorni, non c'è bisogno di dare^a un comunista il portafogli degli Esteri nè a un socialista quello degli Interni, nè a un democristiano quello della Giustizia per avere un governo che tenga conto di tutti gli interessi del paese, anzi faccia del socialismo, e non c'è bisogno di chiedere alla magnanimità di Stalin il confine dell'Isonzo per salvare l'avvenire mediterraneo della patria. Coi propri mezzi, coi propri principii, la Repubblica Sociale Italiana deve sentirsi ed essere abbastanza forte per lasciar venire a sè tutti gli Italiani. Concetto Pettinatr»

Persone citate: Ather Capelli, Concetto Pettinatr, Giacchè, Giovanni Gentile, Luigi Razza, Mussolini, Pavolini, Pericle Ducati, Stalin

Luoghi citati: Alassio, Bari, Berlino, Como, Cuorgnè, Germania, Milano, Mosca, Torino, Treviso