In principio fu il verbo

In principio fu il verbo In principio fu il verbo A quell'iimpeto che conquide e trascina, che persuade e convince, che rappresentò sempre, in tutti i momenti di abbattimento, una molla poderosa capace di produrre ili prodigio dello scatto eroico. Fulcieri Paolucci che parlava alle folle avendo per cattedra la sua carrozzina sulla quale era inchiodato, Ettore Cozzarti che cantò nelle piazze € nei teatri e nelle officine la locchiana Sagra di Santa Gorizia, il barnabita Semeria e Antonio Fradelet^o, e tutti gli altri che nel tetro inverno dello scoramento seguito all'autunno della disfatta si prodigarono da un capo all'altro dltalia ad accendere con la parola gli animi, a scuotere il torpore, recarono alla causa della riscossa un contributo che nessuno vorrà negare, e non si dice cosa inesatta se si afferma che lo « spirito del Piave » trasse dalla parola il primo suo fermento. Anche allora, dn principio fu il verbo. Nel confronti della parola, dell'oratoria, perdura oggi un grande equivoco. Pensano i più: la gente è stanca;'e lo è infatti, di parole, perchè troppe, va riconosciuto, se ne dissero anche quando non era necessario e da gente, che non le sapeva dire: innanzitutto, perchè non le sentiva, poi perchè non aveva le necessarie qualità, o doti che siano. Avem mo il periodo della retorica, il dominio delle frasi fatte, l'imperversare dei luoghi comuni, la cura intensiva delle rime obbligate, e tutto questo 'non poteva non stancare, talvolta anche esasperare. Ma per l'inconveniente di ieri non vuol dire che si rende necessario, oggi, rinunciare addirittura all'uso della parola: oggi che tanto bisogno c'è di portare luce nell'ombra della perplessità, di consigliare i dubbiosi di riscaldare ì freddi, di scuotere i pavidi, incendiare i generosi; oggi che il popolo va ritrovando se stesso dopo lo smarrimento, e va secondato in questo ritrovarsi. Quando il popolo chiede « non parole ma fatti », non intende manifestare una specie di idiosincrasia per i discorsi, ma l'aberrazione, che ebbe sempre anche se sovente dovette celarla, per le ciarle: e il discorso non è ciarla; lo è la retorica, ma essa è la deviazione decadente dell'oratoria. Osiamo dire che il popolo ama la parola che sappia arrivare alla sua anima, che vada incontro al suo sentimento e lo sommuova, lo sappia — passi il termine — talora promuovere. E ama, il nostro specialmente, parlare; quando gli fu impedito di parlare in pùbblico — « di politica e di alta strategia » come ammonivano certi cartelli diffusi nelle anticamere dei dentisti e nelle osterie — prese a parlare in privato, sottovoce; e parlare sottovoce è, necessariamente, mormorazione. Parliamogli, e facciamolo parlare, nelle piazze, negli stabilimenti,- pei campi, accettiamo la discussione dove essa si manifesti, promuoviamola anzi. Tra le lettere ricevute in seguito alla pubblicazione di un recente articolo su queste colonne, quella accorata del sig. Giuseppe P. da Alba mi ha commosso; dice a un certo punto: « Ci vorrebbe, in paesi come questi, gente che parlasse loro in pubblico, che li convincesse. E' campagna, sapete come sono astiosi i contadini ? Ma se qualcuno che sappiafarlo parlasse loro, si convincerebbero più facile e presto ». Credo sia a molti noto il recente episodio di Alessandria; dove, mi dicono, Ezio Maria Gray con .un suo discorso che fu sferzante cordiale e incandescente, seppe trasformare un pubblico di. piazza, da prima freddo se non ostile, in una massa che esplose in travolgente entusiasmo, si fuse e confuse coi soldati del nuovo esercito repubblicano, Il sommerse tra i canti, li coprì di fiori. Non è vero affatto dunque, e sbaglia chi lo sostiene, che il popolo italiano resta, oggi,' indifferente a ogni stimolo, come non può essere d'un popolo d'alta civiltà e quindi di spiccata sensibilità, Sovente la sua pretesa apatia non servì che a nascondere il cruccio di non essere tenuto nella considerazione che merita. Quando si trova di fronte a un problema — e sono tanti, nel rapido evolversi dei tempi moderni i problemi grandi e piccoli che si propongono all'interesse di ogni popolo — e vede che lo si vuole risolvere o ignorandolo addirittura, o al di fuori di esso popolo per straniarlo, si sente mortificato; e poiché è un popolo meditativo e riflessivo e non fazioso, il nostro, esprime il suo cruccio con l'ostentata indifferenza, che può diventare nel lento o rapido processo di riflessione, ostilità. Con le due crisi, conseguenti tra loro dell'estate passata, si è venuto a determinare poi uno stato d'animo del tutto eccezionale. H popolo si trovò, nel momento culminante, disorientato non solo, ma disabituato a orientarsi; ebbe quindi facile presa su di esso e buon gioco la propaganda nemica, insistente e martellante, talora sciocca se vogliamo, ma era la sola operante: e potè arare in largo dove non r, scavò fondo. Quando la nostra propaganda sì riorganizzò, tra gli stenti delle inevitabili difficoltà sopraggiunte, da principio non trovò credito, poi incominciò ad affermarsi, ma in questa fase non venne sfruttata come sarebbe stato necessario; peggio, in varie riprese gli apologisti ebbero il sopravvento — tanto dalle colonne dei giornali che dai microfoni della radio — sui ragionatori, e allora il pubblico si mise in sospetto, persegui- eu stato com'è ancora da una spe-1 ceie di dèmone del « vecchio si- | pstema» che lo dnsegue cornei uun'ossessione. Più che spiegar- itgli, sovente, si ha l'ariai di vo-1 lergli dare a intendere: e que-[sto lo irrita. Il discorso di : Mussolini ai generali fu forse!la prima parola onesta che j sabbia sentita, anche se non la udì e la lesse soltanto, schietta e persuasiva nella obbiettiva analisi delle difficoltà che si sono parate davanti al problema della ricostruzione dell'esercito. E la comprese. Come comprese, e senti, il « colpo di campana » che gli giunse da Roma. Ma fu forse sfruttato, fatto echeggiaire, amplificato diciamo pure come conveniva quel colpo di campana? Non del tutto per lo meno, non quanto si doveva. Se alcuni giornali — pur nella ristrettezza di mezzi e dì spazio per cui non si possono presentare invitanti, oberati come sono nelle poche colonne libere dalle notizie e dal commentì d'obbligo — sono stati all'altezza del compito, la radio che pure va continuamente migliorandosi, rimase molto al di sotto; non è del tutto sensibile, nè sempre ottuale. Quando davanti a Roma si stanno svolgendo eventi memorabili e gli stessi notiziari si succedono con incalzante drammaticità — come avvenne in una recente fase — non può dirsi di avere sensibilizzato la propaganda se nell'ora dedicata al commento politico si tiene al microfono una conversazione sui prezzi, n pubblico trae per sè la peggiore delle conclusioni: che l'argomento principale si schiva di proposito, perchè scolta, e va a sentire che cosa ne dice la radio nemica. In principio fu 11 verbo, si diceva; l'uomo, prima che col segno grafico, col gesto stesso, comunicò con la parola; ed essa resta sempre 11 mezzo I più efficace di comunicativa, i Cristo affidò agli apostoli la propagazione del suo verbo, e quando, nei primi seeòli del Medio Evo sorse la necessità di propagare la nuova fede e di„ mantenerla dove s'era affermata, l'eloquenza già decaduta ritorna in auge e gli oratori si trascinano dietro le turbe entusiaste. Le crociate muovono dalla predicazione di Pietro l'Eremita. Ora, in questa fase di risveglio, al verbo bisogna ritornare, alla propaganda parlata, all'oratoria, all'eloquenza, che deve essere voce immediata di un'anima, impeto di un'idea che fiammeggia dentro, e arrivare contemporaneamente al cervello, poiché noi latini siamo raziocinanti, e al cuore: perchè siamo, in misura non minore, sentimentali. Tutt'altro che rifiutarla, il popolo la vuole; quando si parla può criticare se non si sa parlare e bisogna saper parlare —; ma se non si parla dice che è segno che non si saprebbe che cosa dire: o, peggio, che non si ha il coraggio di parlare. Parliamo dunque a questo nostro popolo sconfortato ma non perduto, delle condizioni della Patria, delle difficoltà in cui ci dibattiamo, delle prospettive che a noi si presentano per riuscire nella riscossa), parliamogli a viso aperto e cuore schietto, con semplicità e senza enfasi, ma con calore e con amore; facciamolo parlare anche quando lo richiede, e ascoltiamolo con bontà, risolviamo i 3uoi dubbi perchè nulla di quanto lo riguarda gli resti misterioso — che ogni riserva lo offende e lo adombra — o gli appaia inaccessibile: l'ora è questa e il terreno è propizio. Tutto sta nel sapere seminare con arte e con misura. Ma non si ripeta, in nome e nel ricordo di un abuso passato per. cui arrivammo a creare una retorica dell'antiretorica, il bando all'oratoria, all'eloquenza: perchè eloquenza — fu ben detto — fu quella di Mazzini i cui scritti nascevano dal bisogno costante di persuadere, commuovere, incitare, innalzare gli altri: eloquenza schietta è tutta intera l'opera di Carducci; è eloquenza quella di alcuni nostri chiari scrittori che su ai cuni giornali trattano per il popolo, come da tempo non si usava, argomenti d'alta politica e problemi di portata sto rica. E il popolo li segue dapprima con attenzione, poi con simpatia sempre crescente fino a familiarizzarsi quasi, prende la penna é scrive lui stesso a quelli che scrivono, per dissentire o per approvare o per avere risolto qualche dubbio, e dall'articolista, si sa, non può venire soddisfatto, come lo potrebbe invece dall'oratore. L'interesse per il divenire delle sorti e le condizioni della Patria è suscitato; occorre adesso secondarne lo sviluppo e renderlo, il più estesamente possibile, partecipazione: e la parola, per questo, può fare molto. Franco de Asazio

Persone citate: Antonio Fradelet, Carducci, Ezio Maria Gray, Fulcieri Paolucci, Giuseppe P., Mazzini, Mussolini, Semeria

Luoghi citati: Alessandria, Gorizia, Roma