Camminare

Camminare Camminare Lisa sedeva in cucina co! suo lavoro, davanti alla fine- stra, e guardava nel cortile, jEra il cortile di una casa di! * barriera e non aveva niente di bello per gli occhi di tutta !a_ gente. Ma non così per Lisa. Ella alzava ogni tanto il capo e guardava, con infinita soddisfazione, 1 alberetto addossato al muro, che, quando splendeva il sole, faceva 'brillare gioiosamente tutte le sue foglie, quello due cordeche sembravano cedere sotto il peso degli indumenti messi ad asciugare, roba di bambini e anche di uomini, rozza, rattoppata, da gente povera, e il pollaio, dove la portinaia teneva le sue galline. E sembrava non si saziasse mai di godere di quella vista. ' Le altre cat-igliane l'accusavano di non scendere e andare a spasso con loro, perchè era superba, non voleva mescolarsi con le altre, giudicandosi al disopra di tutte. Altre, invece, sostenevano che era malata, fissata in una idea e misantropa, smaniosa di solitudine. Fatto sta che quando, venuta la bella stagione, le vicine organizzavano qualche gitarella, qualche merenda sui prati vicini, subito passata la barriera, là dove non 6Ì era ancora cominciato a fabbricare, lei diceva sempre di no. — Ci fa dispiacere, signora Lisa — le disse una volta la piccola Elsa, una giovinetta ricciuta che aveva la j passione dei libri e studiava' sempre lì, sul balcone attiguo — perchè si ostina a non muoversi mai dal suo cantuccio? Camminare fa bene, I signora Lisa, e poi, ad andar fuori, si vedono tante pose,, la ge'nte, le montagne e il cielo. La voce della piccola Elsa era dolce, suadente e i suoi occhi pieni di bontà. Lisa si eentì commossa e le disse: — Vedi. Elsa, quando io ero giovane, non proprio come te, ma quasi, mi trovai ad un tratto sola nel mondo. Era morta mia nonna, l'unica persona che mi volesse bene e che aveva, fino a quel momento, mantenuto, me e sè stessa, con una misera penb'ioncina. La portinaia se ne ricorda ancora, stavamo su all'ultimo piano, dove adesso sta quell'ometto solo, pensionato anche lui. Io lavoravo allora in un ufficio di spedizioni qui vicino e mi credevo a posto p*er sempre. Ma proprio allora il padrone del- M'umcio decise, per economia, di ridurre il personale, e siccome io ero la più giovane, fui licenziata. A tutta prima rimasi quasi contenta; avevo qualche risparmio e pensavo che sarei andata a cercar lavoro più lontano, nel centro della città, che doveva essere ben più bello di questa barriera. Mi misi subito in cammino, ed ero felice, così libera di girare dove volevo. Mi avevano indicato due o tre agenzie di collocamento e là ricevevo altri indirizzi. Salivo 6ca!e, ne scendevo, entravo negli ascensori, bussavo a un infinità di porte. — Cosa volete? — Mi inno detto che cercate una ragazza. — Mi davano una . occhiata, qualcuno invece I rron alzava nemmeno il capo I dalle carte su cui stava scri[ vendo. — Non ne abbiamo più bisogno. — Oppure: — Non cerchiamo ragazze. Vi siete sbagliata. — Ogni giorno così. Non avevo proprio fortuna. Andavo a mangiare in centro, in qualche latteria poro costosa, e tutto ciò, in principio, ini pareva enormemente divertente. Mai miei ; risparmi, intanto se ne andavano. Camminavo, camminavo senza posa, salivo, scendevo, aprivo le porte dei negozi, andavo a offrirmi come [commessa. Diminuivo sempre più le mie pretese, avevo già deciso di offrirmi come domestica. In principio perdevo un po' di tempo a guardare in qua e in là il mondo, la gente che passava, quelli che sè ne andavano in automobile, in bicicletta, le belle signore eleganti, tutta quella l gente che sembrava allegra, fortunata. Ma poi non pote'H[fVO Pera"ere tempo, e mi Jo; pareva che il mondo andasse man mano coprendosi di un grigio, opaco, che non mi lasciava più vedere le cose com'erano realmente. Camminavo, camminavo senza pos-a, le gambe mi dolevano atrocemente. Non potevo più andare a mangiare nelle latBerie. -Mangiavo solo un pez ;o di pane con una mela, se luta su di una panchina d ardino pubblico e quando ìvan.. solo fltou il pane. E no,, potcvo A~\iu prendere il tram per velie a casa, mi trascinavo a >*,»»'■"ii sui miei poveri piedi !t ;; <jJfeonfi. E al ritorno incontravo f ^'■qualche volta la portinaia 'eli' mi guardava senza dir nivnte, con aria compassionevole e anche un po' seve- cccpmàptmrmrsrmMsflCvpusdtnGqtsrrdnnssrlntdmnMpvasznsqmdqbduLs—dqCRptqgguvgtgvtmscctid«c'adipssdvarllfanabAlptdmavvcspqsrequalcuno mi passava da ti* mi vergognavo. Poi rmai io non po ra, perchè oiw. tevo più pagare l'affitto elei jsapeva che alla fine del mese ! sarei stata sfrattala dal pa- drone di casa. Un giorno poi non avevo neanche il pezzo di pane e così camminando e andando a chiedere lavoro con quella faccia sparuta, facevo diventare la gente di cattivo umore ed ero respinta più rudemente del solito. Non mi ricordo come mi trascinai à casa, il mondo ora non era più grigio per me, ma nero, tenebra. Per salire le scale, mi ero attaccata alla, ringhiera e tenevo gli occhi chiusi, mi pareva che appena avessi raggiunto il mio letto, mi ci sarei sdraiata sopra per non rialzarmi più. La stanchezza mi avrebbe certamente uccisa. Ma passando davanti a questa porta, che era aperta, mi fermai un attimo. C'era, sulla soglia, un uomo, un vicino. Ci conoscevamo poco, ci eravamo incontrati rare volte per la scala. Lui si teneva una mano sulla gota. — Ho un maledetto mal di denti — mi disse — mi fareste il piacere di andarmi a comprare qualcosa da mangiare? D'incanto la mia stanchezza parve svanire. Presi i soldi che mi porgeva, mi precipitai giù e comprai tutto quello che mi sarebbe piaciuto mangiare. Tornai su, lui era sul letto e gemeva. Io feci cuocere la minestra, poi lo chiamai. Lui, nel sedere a tavola, mi guardò. Io guardavo la minestra. — Perchè non mangiate anche voi? — Così mi disse. Io mi misi a sedere... E mi pare che da quel momento io sia sempre rimasta seduta a riposarmi. Ci siamo sposati, e mio marito è molto buono,- capisce quanto bisogno di riposo io abbia e non mi tormenta mai perchè vada a fare delle passeggiate. Gli basta che scenda per la spesa e spesso, anzi, la fa lui. Così io posso starmene tranquilla, in casa, al sicuro. Non voglio più vedere niente del mondo. Il posto più bello del mondo è questo. Guardo quell'albero, quei cenci, quelle galline, quei bambini. E il cielo, poi, lo vedo anche di qui. Carola Prosperi

Persone citate: Carola Prosperi