Incontrarci di Concetto Pettinato

Incontrarci Incontrarci Se dobbiamo esser sinceri, secondo è nostra abitudine, confesseremo che di tanto in tanto ci assale il dubbio di una tal qual sproporzione esistente fra la gravità e la mole dei problemi da risolvere e l'attività effettivamente spesa nel risolverli o nell'affrontarli. Il governo repubblicano fa quel che può, e non sempre può tutto, e talora non può molto: ma che cosa facciamo noi che gli stiamo intorno, che lo affianchiamo, che siamo, sino a un certo punto, i suoi ufficiali di collegamento con quell'esercito sbandato che è oggi l'Italia ? Noi giornalisti scriviamo sui giornali, il che è qualche cosa o almeno potrebbe esserlo se le questioni si risolvessero sulla carta e se nel pubblico non esistesse contro la stampa un partito preso di diffidenza che rende vani buona parte dei nostri sforzi. Ma chi non è giornalista e non ricopre, o ricopre, una carica di immediata utilità in una pubblica amministrazione ó in seno al partito dovrebbe fare assai più, e non siamo certi che lo faccia. « Su quali basi, si potrà chiederci, fondate voi un'asserzione di questo genere? ». Su nessuna base specifica, ma su un cumulo di impressioni personali e principalmente sul sentimento che non si discute abbastanza dei nostri affari. La più modesta pratica di mondo è sufficiente per far comprendere che non è possibile condurre una grande azienda quale uno Stato moderno senza un ampio e frequènte dibattito sui problemi che lo riguardano. Abbiamo fatta l'esperienza dei vantaggi e degli svantaggi del metodo opposto ed è stato mestieri concludere che i secondi superavano i primi. Le decisioni prese unicamente dall'alto sono pronte e speditive, ma implicano, per non parlare dell' inevitabile quota di arbitrio, una buona dose di rischio, rischio che, allorchè si tratta del destino di un intero popolo, è preferibile evitare o ridurre ai minimi termini; e questo non solo, s'intende, nell'interesse del popolo, superiore ad ogni altro, ma in quello degli stessi poteri pubblici, ai quali conviene sempre dividere, sino a un certo segno, le responsabilità con gli interessati anziché assumerle integralmente per sè. Il terzo dei Diciotto Punti di Verona dice, molto opportunamente, che « la costituzione repubblicana do.vrà assicurare ai cittadini, soldati, lavoratori e contribuenti il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti delle pubbliche amministrazioni ». Il quarto propone per la scelta del personale destinato ad assicurare il buon funzionamento delle amministrazioni stesse o, in termini più generici, della macchina governativa, « un sistema misto, ad esempio l'elezione popolare pei rappresentanti alla Camera e la nomina da parte del Capo della Repubblica e del Governo per 1 ministri », aggiungendo esser consigliabile anche in seno al Partito procedere per via di « elezioni di Fascio, salvo ratifica, riserbando al Duce la nomina del Direttorio Nazionale ». Tali principii non hanno ancora, in attesa della Costituente, ricevuto l'auspicata consacrazione di precisi testi di legge, e ci rendiamo conto delle difficoltà tecniche che, in assenza di questi, si oppongono alla loro applicazione pratica. Non vediamo tuttavia per qual motivo essi non debbano ispirare sin da ora l'andamento generale della vita pubblica, se la loro urgenza è tale da avere indotto sin dal novembre scorso il Congresso di Verona a farne espressa menzione nel proprio manifesto. H massimo bisogno sentito oggi dal paese, prima ancora, oseremmo dire, benché sia una bestemmia, dell'indipendenza nazionale, della circolazione normale delle derrate e del risanamento della moneta, è quello di un contatto regolare e costante, di una. collaborazione cordiale fra autorità e pubblico. Abbiamo per vent'anni chiesto agli Italiani un quotidiano atto di fede cieca: non possiamo, dopo quanto è successo, chiederlo loro più oltre. Nessun errore sarebbe, anzi, più grave del persistere nella stessa esigenza. Il solo modo di riottenere, a poco a poco, il consenso della maggioranza, indispensabile avallo all'opera di una minoranza operante, sta nel sollecitare nella più larga misura possibile, ogni qual volta se ne abbiano i mezzi, il parere dei governati sull'opera del governo. L'opera di un governo non è poi tanto diversa da quella di un'ordinaria aziendsj privata, dove presi¬ dente e consiglieri delegati, se prendono le proprie decisioni nel mistero del consiglio di amministrazione, debbono pure, di tanto in tanto, riunire l'assemblea generale degli azionisti per esporre loro lo stato degli affari e chiedere il loro parere, a costo di andare incontro a sedute tumultuose. Azionisti della ditta « Italia », abbiamo noi pure bisogno di assemblee generali e di sedute, se non proprio necessariamente tumultuose, certo franche, animate ed esaurienti. Abbiamo bisogno di comizi, abbiamo bisogno di pubbliche discussioni. Giorgio Pini, direttore del Resto del Carlino, ha trovato per esprimere questo bisogno un'espressione pittoresca: « scongelare ». Egli scrive, in una lettera aperta al Segretario del Partito: « Quello di deliberare su cose importanti prescindendo da ogni esame critico e da ogni collaborazione è un sistema, una forma mentis che non comprendiamo né approviamo. Presentateci un progetto da esaminare, non decidete in pochi e a tamburo battente senza averci sentiti. Non riduceteci per l'ennesima volta alla mera, deprimente funzione di annunciare e postillare a posteriori ciò che piove improvvisamente dall'alto senza che sappiamo come né perchè. Anche se si tratta di una manna, finisce per sapere di amaro ». E un collaboratore della Riscossa,. allargando la questione, osserva: « Intransigenza sui programmi non significa per nulla rifiuto di prendere in esame le idee degli avversari e di ammettere la bontà delle loro critiche ed opinioni. L'interesse stesso del fascismo consiglierebbe di lasciare agli avversari di buona fede la possibilità di esprimere il loro pensiero sui problemi di applicazione della politica nazionale. Riserbiamo al partito l'esclusività dell'indirizzo politico del governo ma non impediamo alle persone estranee al- partito e tanto meno agli avversari di dire la loro parola in merito a tutte le questioni che agitano la vita della nazione e di manifestare in quale grado le persone che si trovano ai posti di comando riscuotano la stima e la fiducia del popolo ». Se in seno alla nostra stampa migliore hanno corso idee simili, è evidentemente perchè tale'è oggi il pensiero del paese. Non dimentichiamo che dalla fine dell'anno scorso, per un motivo o per l'altro, i giornali sono diventati i confessionali o, se preferite, i Commissariati, le Preture del pubblico. Chi ha un dubbio da esprimere, un malcontento da sfogare, un'idea da agitare, un'informazione da chiedere si rivolge a un direttore di giornale. Ora questa confidenza, se da un lato ci onora e ci tocca, ragione per cui il meglio del nostro tempo se ne va in risposte ai lettori o in commissioni pei lettori, dall'altro ci da l'impressione non propriamente rassicurante che il pubblico manchi tuttora, e ne soffra, di tribune o di rostri dai quali farsi sentire e di avvocati ai quali affidar le sue cause. In un paese che lotta per risorgere e per recuperare la fiducia degli altri e la propria è questa una mancanza che importa non lasciar radicare o, nella migliore delle ipotesi, uh presupposto che import» non accreditare. Se stesse in noi, apriremmo subito in ognuna delle grandi città dell'Italia repubblicana, visto che, affé d'Iddio, una Repubblica deve pur implicare un'atmosfera repubblicana, e atmosfera repubblicana vuol di; re, se le parole hanno uri senso, atmosfera di libero esame, di calda discussione, di ampio respiro civico, apriremmo degli arenghi pubblici, non per farvi dell'accademia politica o della schermaglia partigiana, Dio ne liberi, ma per dibattervi con senso realistico i problemi del giorno, gli affari urgenti della comunità, i provvedimenti di circostanza, dibattimenti ai quali vorremmo veder partecipare ministri, federali, funzionari, giornalisti, ma sopra tutto liberi cittadini senza distinzione di partito, con la sola precauzione di u» servizio di polizia sufficiente a garentire all'assemblea, che nessuno degli intervenuti sia armato, precauzione, ahimè, inevitabile in tempi in cui il nemica assolda hommes de main per attentare ai giorni del prossimo non appena questo prossimo manifesti opinioni o propositi che non quadrano coi suoi propri. Giacchè, dobbiamo dirlo? La necessità più urgente, per noi Italiani, è oggi quella di incontrarci, di trovarci gli uni di fronte agli altri, di parlarci a viso aperto, insomma di abbandona¬ re fa macchia. S'è visto ieri, al processo di Torino, di quanta importanza possa essere, , per la nascita di una mutua intelligenza o, se non altro, di una mutua stima fra avversari, l'avere o no una occasione di parlarsi. Ma per avere occasioni di parlarsi non dev'essere indispensabile andare davanti al Tribunale Speciale : deve bastare anche meno, bisogna potere arrivarci su terreni d'incontro meglio adatti ai normali cittadini di una onesta Repubblica. Purtroppo, alla macchia sin qui ci siamo stati, non è vero?, o ci stiamo un po' tutti, e non i soli banditi della montagna allobroga. Isolarsi, appartarsi sino a perdere il contatto con questo o quel settore del paese reale, rifuggire dal contrad-dittorio come da un perico- lo mortale non è forse an- ch'esso una forma di seces- sione,*e delle più pericolose? « Andare verso il popolo », ha detto ilussolini. Ma verso il popolo non si va unicamente con le ordinanze e coi comunicati: si va con l'opera di persuasione diretta, con lo scambio di idee, con la collaborazione e l'appello alla, collaborazione spregiudicata, Per gravi che siano le delusioni dateti dagli Italiani e per giustificata che possa essere una certa somma di prevenzioni nei loro riguardi, non bisógna mai dimenticare che il cittadino, il « contribuente », come ben dice il programma di Verona, ha diritto al rispetto dell'autorità almeno quanto questa ha diritto al rispetto di quello. Fra tutte le forme politiche, la reciprocità del rispetto civico è forse ancora quel- !l0 cne luno e l'altra ab biano mai trovato di meglio Per la .tutela degli interessi ! comuni, ! Concetto Pettinato

Persone citate: Duce, Giacchè, Giorgio Pini

Luoghi citati: Italia, Torino, Verona