Hull di fronte ai fatti e alle parole

Hull di fronte ai fatti e alle parole Hull di fronte ai fatti e alle parole Perchè il popolo americano ha accettato di seguire Roosevelt nell'avventura della guerra? Per parecchi motivi di ordine vario: 1) perchè gli era stato detto che la Germania e l'Italia volevano sopraffare la Gran Bretagna, conquistare il mondo, rubare con la violenza i mercati e le colonie agli Stati Uniti, sopprimere la libertà dei popoli; 2) perchè lo si era convinto che l'Asse ed 11 Giappone avevano aggredito gli Stati Uniti per abbatterli e non già che erano entrati contro di essi in guerra perchè costrettivi dalle provocazioni e dalle misure jugulatorle di Roosevelt; 3) perchè gli era stato raccontato che con la guerra avrebbe conquistato il dominio assoluto del Pacifico, liquidando il Giappone, e quello dell'Atlantico assicurandosi nuove basi navali ed aeree per la libertà delle rotte; 4) perchè gli era Btato spiegato che doveva scendere in campo per assicurare a tutti i popoli del mondo la loro indipendenza minacciata dagli imperialismi del Tripartito e per conquistare cosi un'influenza morale su tutto l'orbe terracqueo quale gli competeva per la sua grandezza e potenza; 5) perchè gli era stato affermato in tutti i modi che, appena sceso in campo con la sua forza formidabile, la lotta si sarebbe immediatamente risolta in suo favore ed una lunga èra di pace, di dominio e di benessere sarebbe stata assicurata al popolo statunitense. Gli americani, con questo bagaglio di promesse e di incitamenti, hanno seguito Roosevelt ed hanno fatto la guerra, dimenticando che al tempo delle elezioni il Presidente aveva promesso alle loro madri di non impegnare mai un soldato su fronti lontani e imbarcandosi con propositi che sapevano un po' di missione, un po' di conquista piratesca e un po' di avventura sportiva. Questo nel dicembre del '41. Qual'è oggi la situazione? Il dominio del Pacifico è stato conquistato dai giapponesi; la guerra continua ed è, nonostante tutti gli sforzi propagandistici, del tutto Incerta nel suo esito; i soldati americani muoiono a centinaia di migliaia negli isolotti polinesiani, sul fronte di Cassino, nei mari insidiati, nei cieli solcati con furia barbarica; la Russia si lancia all'oppressione dei popoli e annuncia chiaramente ì suoi propositi di dominare su polacchi, finlandesi, baltici, balcanici e mediterranei; gli Stati Uniti impongono la loro volontà, o cercano di imporla, a tutto il Sud America, all'Australia, al Canada; i Paesi neutrali respingono le pressioni delle, diplomazia statunitense rifiutando decisamente a Washington ogni pretesa di influenza sulle loro decisioni; all'interno gli scioperi si seguono a catena e le condizioni di. vita si appesantiscono sempre più. Il popolo statunitense constata, quindi, con tremenda delusione, che tutti gli scopi per cui aveva mandato i suoi figli in guerra, sia quelli morali che quelli materiali, sono falliti o stanno fallendo e che, soprattutto, si sta battendo in settori che non lo interessano direttamente a solo profitto dell'odiato bolscevico da cui, per contro, non ottiene alcun soccorso sull'unico fronte per lui vitale che è quello del Pacifico. Di qui l'ondata di delusioni, di preocupazioni, di proteste che agita da tempo gli Stati Uniti e che si è ingigantita in questi giorni — a causa del ritardo del secondo fronte, dell'ingresso dei giapponesi in India, dell'invadenza bolscevica, dell'incapacità degli anglo-americani ad op-^ porsi alle realizzazioni ed ai progetti di Mosca — minacciando di creare per Roosevelt e per tutti i suoi clienti una situazione insostenibile nelle prossime elezioni. Per che cosa facciamo questa guerra? Per che cosa mandiamo a morire i nostri figli, spendiamo miliardi di dollari, imponiamo sacrii:cl enormi al Paese ? si chiede da ogni parte. La Russia, il Giappone, l'Asse sanno perchè combattono. Noi, no, visto che gli scopi del '41 e della Carta Atlantica si dimostrano traditi dai fatti Di qui le dichiarazioni di Cordoli Hull alla Commissione degli Esteri del Senato con la enunciazione di quei 17 punti che dovrebbero costituire i cardini della politica nordamericana in un dopoguerra vittorioso e, di conseguenza, gli scopi per cui oggi gli Stati Uniti combattono. Il Segretario del Dipartimento di Stato, di concerto con Roosevelt, cerca con essi di placare l'agitazione interna, di ridare una bandiera di battaglia alle truppe, di convincere neutrali e nemici che una vittoria degli Stati Uniti sarebbe .la Più bella cosa del mondo. Questi 17 punti stanno facendo il giro del giornali e delle radio e non ve li ripete remo. Solo, riassumendoli, troveremo che il vecchio segua ce di Roosevelt si propone a) di assicurare agli anglo (russo-americani una « soi-ve^ glianza » armata sul Tripartito, dopo la fine del conflitto, fino a quando non si sia •no accertati che esso è dispo sto ad agire secondo i dettami di pace e di giustizia ed a respingere le idee razziali e della conquista attraverso la forza; b) di resuscitare una "Lega delle Nazioni armata per imporre la sua volontà a chi non la volesse riconoscere; c) di raggiungere una serie di accordi di buon vicinato sopprimendo ogni alleanza del tipo di quelle passate; d) di abolire gli eccessivi dazi doganali ed arrivare ad una piena libertà monetaria; e) di far in modo che le Nazioni che detengono colonie o man¬ dati « aiutino i popoli sottoposti a svilupparsi materialmente e moralmente allo scopo di prepararli a ottenere un giorno la libertà e l'indipendenea ». Vi è chi ha paragonato questi 17 punti di Hull con i 14 di Wilson e con la Carta Atlantica. Se il confronto vuol basarsi sul terreno dell'ipocrisia, tutti d'accordo. Ipocrita è Hull, come lo fu Wilson e come lo furono Roosevelt e Churchill. Sul. terreno della spudoratezza, Hull, invece, supera ogni precedente, perchè il suo documento è smentito dai fatti in precedenza e non in seguito o nel contempo. I suoi propositi per un eventuale dopo-guerra vittorioso, infatti, non tendono ad altro che a questo: a) una dominazione inaudita (mai si è verificato nella storia che, concluso un conflitto, i vincitori non si attengano a delle condizioni di pace, restituendo al vinto la totale e libera sovranità sui territori rimastigli) di quegli americani che sarebbero entrati in guerra per donare la libertà e l'indipendenza ai popoli minacciati dall'imperiali-' smo del Tripartito; b) la perpetuazione di questa dominazione attraverso una nuova Lega .delle Nazioni ben più opprimente, perchè armata, di quella fallita Lega ginevrina di cui italiani, tedeschi e giapponesi han fatto le più amare esperienze; c) la costituzione di un buon vicinato del tipo di quello applicato da Washington nei ne jardi delle repubbliche sudamericane, cioè di un equivalente della sudditanza; d) un sistema eccnomico doganale che permetta agli Stati Uniti di esportare, senza dazi, la sua superproduzione in ogni paese,' e di dominare, attraverso il possesso dell'oro, la « libertà » monetaria; e) fare quel che pare c place, in fatto di distribuzione delle materie prime e delle ricchezze, per parte di chi detiene il monopolio delle colonie e dei mandati, anch'esso stabilito a tempo indeterminato. E dove sono andati a finire i principi di libertà per cui i soldati americani hanno detto di entrare in guerra? E co¬ me la si regola la faccenda della Russia che aggiusta tutte le cose a modo suo? E i concetti della Carta Atlantica di indipendenza e autodecisione ? Hull, non potendo più rivolgersi, di fronte alle smentite dei fatti, a quei motivi « miss onari » per cui gli americani sono entrati in guerra, si è attaccato a quelli pirateschi e imperialistici, sperando con ciò di far leva sul popolo statunitense. Salvataggio pietoso, oltre che ipocrita. Gli americani, fin dalle prime reazioni conosciute, hanno risposto gridando Che queste son parole e che i fatti son ben diversi. I fatti si chiamano Giappone e Russia. E contro questi Hull non ha potuto dir nulla e,-ancor meno, annunciare di far nulla. • Il palliativo verso la propria opinione pubblica è, quindi, fallito. Verso i neutri ed i nemici, poi, le parole del vecchio tirap.edi di Roosevelt non possono trovare alcuna .eco. Tutti ormai — e l'hanno dimostrato turchi, spagnoli, irlandesi, finlandesi, argentini, boliviani, ungheresi, romeni e bulgari — alle sirene di Washington e di Londra più non credono. £nzo ArnaIdi