Responsabilità degli industriali

Responsabilità degli industriali LA CRISI ITALIANA Responsabilità degli industriali In che grado sono responsabili i settori industriali italiani della crisi che ila Patria attraversa? Esiste o meno questa responsabilità, è reale, accertata o demagogica? Fino ad oggi di una responsabilità dei capi dell'industria italiana si è parlato in. modo alquanto vago. Si è rintracciata, ricostruita la responsabilità del generale, dell'ammiraglio, del diplomatico còme del gerarca più o meno gallonato. ' Bisogna affrontare il fatto della responsabilità degU industriali non solo per evidenti ragioni di giustizia, ma anche e soprattutto per il prepotente bisogno di chiarificazione. E diciam questo perchè è d'uopo non dimenticare che la legge sulla socializzazione delle industrie non deve nè oggi nè mai esser considerata come una semplice sanzione contro gli industriali. Chi cosi la considerasse snaturerebbe le finalità della legge. Esiste, dunque, ed in che grado questa responsabilità degli industriali e più precisamente di quei quindici venti personaggi che fino a ier l'altro manovravano le leve dell'industr'a italiana e la controllavano? Si deve, purtroppo, rispondere affei'irntivamente all'interrogativo solo che si pensi a'l'azione di governo operata da Mus-ollni dal 1935 ad oggi. Intendiamoci bene: il 16 dicembre 1939 il Ministro degli Esteri dichiarava esplicitaments che la guerra ci aveva colti in anticipo sui nostri piani di irrebustimento dell'attrezzatura nazionale e Mussolini confermava più tardi che non eravamo entrati in guerra il 1° settembre 1939 per il semplice fatto di non esservi adeguatamente preparati. Ma è fuori dubbio e storicamente irrefutabile che nulla fu tralasciato dal Governo, con moniti e con tangibili appoggi, per sollecitare l'industria itarana a bruciare le tappe parfco'srmcfite con quella politica che fu chiamata dell'autarchia. Il 18 novembre 1939 in sede di riunione della Commissione Suprema per l'autarch'a. Mussolini, a poco più di due mesi dall'inizio''del confi tto. p; cisò: «Adesso ognuno può vedere quanto fossero ridicole eerte discussioni sulle « convenienze economiche » d' tale o di tal'altra iniziatiquanto fosse piuttosto ac cademica la questione dei costi interni ed esteri... Adesso soprattutto ognuno — anche il cervello più opaco — può constatare che la divisione fra economia di guerra ed economia di pace è semplicemente assurda. Non c'è una economia del tempo di pace ed una economia del tempo di guerra... ». Queste erano affermazioni categoriche, consuntive all'inizio del conflitto. Ma oggi noi possiamo constatare come sia esistita una discrepanza, una dissonanza profonda tra azione di Governo ed azione degli industriali. Dobbiamo dire che a questa categoria mancò l'energia e l'animo. Fece difetto la sensibilità politica, la convinzione dell'utilità dello sforzo richiesto, primeggiò non sappiamo perchè e prese piede la forma, l'idea di una guerra di corta durata che non avrebbe richiesto nè un'attrezzatura industriale più vasta, nè una nuova distribuzione degli impianti, nè una maggiore produzione di succedanei; nè soprattutto una maggiore coscienza di doveri. Venti anni di azione governativa non sono stati rivolti a f8re dell'Italia un ordinato ed eccellente paese agricolo, ma anche e più un capace complesso industriale. Se gli italiani che tanto facilmente obliano, obnubilano e chiacchierano, avessero la pazienza grande e salutare di sfogliare un qualsiasi bollettino statistico, s'accorgerebbero di questa verità solare. Orbene era lecito dopo ciò supporre che davanti al fatto guerra l'industria italiana si rivelasse alla altezza della situazione, fosse, per dirla in lingua d'oltr'alpe, à la page. Se taluni singoli e singolari sforzi e resultati si fossero generalizzati, potremmo 1 rallegrarcene. Ma non fu cosi. In questo esame, forzatamente sommario, è necessaria una premessa rispondente, in modo pieno, alla realtà per chi conosce la « forma mentis », alquanto diffusa nel settore industriale. E' un segreto di Pulcinella che gli industriali italiani non sono andati a nozze molto volentieri con il progressivo costante sviluppo delle riforme sociali. Non potendovisi apertamente opporre essi, attraverso i loro organismi tecnici, più o meno confederali, più o meno privati, con una consulenza tecnica abilmente propinata agli enti ministeriali sono giunti a smussare, tagliare e rinanco snaturare quei principi socialmente innovatori che dove, vano essere consacrati in legge. Alti funzionari di taluni ministeri tecnici incaricati di delicate funzioni politico-economlche-lpgislative furono, per anni, premuti, dibattuti, fuorviati dalle idee e dalle convinzioni di questo o df quello • industriale. Quelli che gli industriali chiamavano « colpi » furono in tal modo da essi « parati ». Ciò stabilisce, di per t-ù^J1 asPetto della responsabilità « politica » della categoria industriale. Ma altri aspetti si aggiungono. Numero uno: mancata aderenza alla politica espansionista dell'Italia, anche in senso esclusivamente economico. Quando il Governo italiano invitò talvolta certi gruppi industriali e finanziari nostri ad interessar^Lvoi^milan °JSaniami esteri, vfLlt? ' '^aeal 001 "ostro confinanti e dove veniva da noi pdrcgrepsnfailrdItincum1«dNimsrpcecaPcmddldndsnnlEissmacemgfinaszs(lmczFtedsetgdtfcmtzdCbpltDfitcgnnpascMtstcdsodp praticata una attiva politica di amicizia, questi gruppi, o risposero negativamente o chiesero tali e tante garanzie governative da far naufragare un giusto nostro postulato politico con 'danno per il paese che perse quel mercato e non accentuò la zona di influenza. Numero due: ostilità alla politica di autarchia. Qui il caso,, sotto il profilo della responsabilità, è clinicamente disperato per gli industriali. Il Governo non poteva far altro che un calcolo politico, gli industriali non facevano altro calcolo all'infuori di quello di un semplice tornaconto economico. Mussolini nel novembre 19-39 aveva asserito che il « fato » imminente delle armi doveva dominare V economia. Non possiamo dire che 1 più importanti settori industriali siano stati coscienti di questa realtà. Si disse e si ripetè da parte industriale che l'autarchia era in corso, -quando non era vero. Si costituirono società che per anni, dicesl per anni, rimasero sulla carta. Per troppi industriali l'autarchia — altra nefasta « forma mentis » — era eguale a « per dita ». Possiamo contare tulle dita di due mani al massimo le materie « chiave » che, producendo autarchicamente, il nostro paese possedeva non diciamo all'inizio, ma nel corso del conflitto stesso. Ma nemmeno queste materie erano nella quantità e misura volute dai piani di produzione. E* che gli industriali italiani invece di fare il loro dovere si misero a fare quelle disqui sizloni sul tornaconto econo mico che Mussolini — come abbiam detto — stigmatizzò e condannò nel '39. E al calcolo economico s'aggiunse — eie mento preponderatamente negativo — quello politico. Le pratiche per l'autarchia furon messe, come suol dirsi, in « sofferenza » ed al Governo di' Roma che ha sempre avuto il tbrto di essere eccessivamente longanime e paziente, furon avanzate richieste di centinaia di milioni (provvedimenti pubblicati nella Gazzetta Ufficiale e vivamente discussi e taluni criticati per la notevole ampiezza, in sede di Commissione di Finanza al Senato), di facilitazioni fiscali, di macchinari ecc. ecc.. Come se il Governo dovesse mettersi a fare l'industriale. Si potrebbero far nomi e cifre, come pure sarebbe interessante elencare quegli impianti industriali che, dopo tre anni di guerra guerreggiata, erano ancora in corso di costruzione, mentre l'allea to aveva addirittura già tras formato gli impianti di grandi complessi industriali in paesi da esso conquistati. Possiamo porre la domanda — ripe tiamo — se l'eccessiva lentezza non scaturisse da qualche diverso orientamento politico. Ciò pone in pieno la responsabilità politica dei grandi imprenditori. Questa responsabilità rappresenta un grave punto nero nella storia italiana. Dai soliti ambienti economicofinanziari furon criticati a suo tempo i grandi impianti di elettrificazione delle Ferrovie che il Regime fascista coraggiosamente intraprese. Nessuno però si è mai posto onestamente la domanda sul come noi da quattro anni a questa parte avrem/mo potuto tirare avanti se ogni 365 giorni avessimo dovuto importare parecchi milioni di tonnellate di carbone per le sole ferrovie. Ma la .visione politica ha esattamente preso il sopravvento su quella economica e fu fortuna nostra. Oggi finalmente colla legge sulla socializzazione delle imprese, ogni capo ha la sua responsabilità politica, E ciò è salutare. Valgono anche oggi, come non mai, le parole di Mussolini: si tratta, dell» potenza militare e quindi de!"l'avvenire della Patria. * * *

Persone citate: Mussolini

Luoghi citati: Italia, Roma