Il nostro diritto allo spazio vitale

Il nostro diritto allo spazio vitale UNA NECESSITA' IMPRESCINDIBILE Il nostro diritto allo spazio vitale Nel punto ottavo del Manifesto programmatico del Partito Fascista Repubblicano è detto, tra l'altro, in merito alla politica estera: * Altro fine essenziale consiste nel far n''conoscere la necessità dello spazio vitale, indispensabile a un popolo di lf5 milioni sopra un'area insufficiente a nutrirlo ». Questo punto non ha avuto il meritato rilievo nella stampa italiana, assorbita dall'in I calzare degli avvenimenti e di tanti altri gravi e urgenti pro jMemi. .... ; . Ma è più che mai necessa T}0-,. secondo noi, tener viva 1 attenzione sul nostro diritto laI1° . spazio vitale, problema iche investe in pieno la vita del iP°P0,° ed è strettamente con|nesso alla stessa socializzazio,ne- ln quanto solo con l'au mento globale della ricchezza nazionale derivante da una più .equa distribuzione delle materie prime e dal colloca- I mento dei nostri prodotti su nuovi mercati la grandiosa riforma sociale attuata dalla Repubblica potrà recare frutti realmente notevoli. Un problema, perciò, che va collocato, per la sua importanza, subito dopo quello di assoluta preminenza e che tutti gli altri assorbe ed assomma: quello del ritorno al combattimento a fianco dei nostri grandi e camerateschi Alleati. Diritto sacrosanto Il nostro è un diritto fondamentale che i momenti ancora oscuri che attraversiamo non ci esimono, ma ci impon- 1 dl sostenere. Non si ri , su mai n DroDrie raeio r a o i a a e . i e à a o i e e e à a e i nunzia mai alle proprie ragioni di vita. Del resto, un esempio quanto mai eloquente ce 10 ha offerto il popolo germanico, il quale, anche nei tristi anni che seguirono al Trattato di Versaglia, affermò sempre 11 suo diritto alle colonie, che gli furono strappate dalla rapaoità anglo-francese, mascherata sotto l'ipocrita trovata del « mandato ». Ma vi è di più. L'imprescindibile diritto dell'Italia veniva, cosa strana, affermato, nel pieno periodo della negazione badogliana, proprio da alcuni stranieri neutrali nell'esaminare le conseguenze della caduta del Fascismo. Il portoghese Faria, nell'Accao di Lisbona del 12 agosto, scriveva che « la tragedia di una nazione che la geografia ha collocato fra lo stretto di Gibilterra e il ' canale di Suez » poneva problemi vitali che il rivolgimento politico acutizzava anziché risolvere. E Paolo Gentizon, il noto giornalista svizzero che dimostrò sempre tutt'altro che simpatia nei riguardi del Fascismo, scriveva sul Corriere del Ticino del 17 agosto: « L'Italia non era entrata in guerra per, ragioni ideologiche. Aveva pre-.so le armi per risolvere quei |_- . ^ . 1 . mproblemi che corrispondono ai bisogni fondamentali del Prie che derivavano da neo:s- e i e i a o 8 , i a e e e e o sita biologiche. A causa della propria vitalità demografica, vale a dire dell'aumento continuo della popolazione, la penisola, già povera per se stessa, cercava altrove le possibilità di nutrire la sua popolazione, le occasioni di' lavoro, d'azione per rimediare alla penuria di materie prime. La politica dell'Italia voleva dare al Paese una vita degna di essere %vissuta; era quella di un popolo che cercava di essere padrone del proprio destino. Il concetto di spazio vitale è recente, ma la verità che contiene è antica ». • E le citazioni potrebbero continuare. Tutto ciò mentre nell'Italia dei 45 giorni riaffioravano le teorie suicide del « piede di casa » e delle « avventure africane », e il famigerato santone degli economisti liberali, l'Einaudi, giungeva perfino all'aberrante affermazione che « il problema delle materie prime non esiste », essendo una « tragica invenzione degli attizzatori di conflitti ». Si era, però, dimenticato di aggiungere che l'Inghilterra, per la quale tanti illusi italiani erano in supina ammirazione, non ha fatto altro, in questi ultimi secoli, che accaparrare materie prime e territori, contrastando, con l'attizzare appunto tutta una serie di conflitti, le sacrosante aspirazioni di altri popoli che, come il nostro, volevano, senza toglierle nulla del suo, conquistarsi un posto al sole per le loro necessità di vita. Si era anche osato sostenere che 1 territori da colonizzare erano inutili per noi (per gli altri si) dal momento che le nostre masse esuberanti avreb bero potuto emigrare. E anche qui si voleva dimenticare che, a parte il salasso che dalla massa emigrante derivava alla Nazione, furono precisamente gli Stati Uniti ad innalzare barriere insormontabili alla nostra emigrazione, e ciò ben prima dell'avvento del Fascismo. Risveglio del popolo Il problema del nostro spa zio vitale è, dunque, nell'ordine fatale delle cose. Il popolo italiano, oggi ancora in gran parte narcotizzato dal sottile veleno del sabotaggio propinatogli diabolicamente per alcuni anni, e disorientato dalla propaganda nemica e uà quella antifascista ad essa asservita, ancora percosso e avvilito per il colpo dell'8 settembre, non può comprendere questa verità, ma appunto per ciò è più necessario insistervi. Non dimentichiamo che questo popolo, per ora assente .e intontito, è quello stesso che fu unanime attorno al Duce all'epoca della conquista dell'Impero, quando il tarlo massonico-giudaico non si era an- . , |mune dl Tripoli registrava au- mi 3 monto un onmonln Hi oir- cora insinuato nel suo organismo. Se oggi incomincia appena ad aprire gli occhi sflU'immensità del tradimento di cui è stato vittima ad opera della cricca monarchico-badogliana, molti segni, primo f r* tutti la crescente affluenza volontaria di giovani ai reparti in armi, ci dicono che il risveglio non sarà lontano. Allora comprenderà, oltre il resto, anche il perchè della nostra guerra, non voluta da noi, ma impostaci dalle cosiddette democrazie per soffocare ogni nostro anelito di espansione, e soprattutto per cancellare le traccie della gigantesca opera colonizzatrice del Fascismo che, per essere a sfondo squisitamente sociale, segnava una palpitante condanna dei loro sistemi di sfruttamento capitalistico. Bisogna, infatti, affermare ben forte che il diritto allo spazio vitale ci deriva, più ancora che dalla nostra esuberanza demografica e dalla necessità delle materie prime, dalla grandiosa capacità costruttiva della nostra razza e dalla missione civilizzatrice assolta da noi in modo tale da metterci senz'altro all'avanguardia delle altre nazioni colonizzatrici. , Dl fronte alla grettezza sfruttatrice d'un imperialismo che non lascierà traccie durevoli dopo la sua scomparsa, sta la mole grandiosa delle realizzazioni italiane. Nei troppo brevi anni di pace che ci furono concessi dopo la conquista, abbiamo creato,, in un paese come l'Etiopia (così retrogrado che vi erano ignorate le costruzioni in muratura e l'esistenza della ruota), intere città, costruito migliaia di Km. di strade meravigliose, oltre a un complesso imponente di opere che neppure il ritorno del negus è valso a demolire. Già circa 300.000 italiani si erano stabiliti, pur in un tempo così ristretto, nell'A.O.I. e non è difficile immaginare che in pochi altri anni sì sarebbe creata laggiù una seconda Italia, in gran parte autarchica, che avrebbe costituito un baluardo di energie e di spiriti tale da poter resistere a qualunque assalto esterno. Era appunfo ciò che l'Inghilterra non voleva, pur non pensando noi ad alcuna minaccia nei suol confronti. Nella Libia, che se non venne spartita prima del 1911 fra Francia e Inghilterra non fu per un riguardo verso di noi, ma soltanto perchè giudicata troppo desolata e improduttiva, eravamo riusciti, con una tenacia veramente unica, a dar vita alle steppe e a « cavar sugo dai sassi ». E il ritmo del popolamento, a parte le due spettacolose migrazioni di coloni, era già tale, nell'ultimo anno di pace, che il solo Co- nualmente un aumento di circa 5000 italiani, dei quali un ™.f''*:?, ??£ eccedenza dina- ò e e e - scite e il rimanente per afflusso dalla Madre Patria. Missione civilizzatrice Ma, oltre a questo aspetto sociale e costruttivo, la nostra colonizzazione differiva profondamente da quella delle nazioni plutocratiche, perchè tendeva, non a sfruttare, ma ad elevare le popolazioni indigene. Come Roma dopo aver assoggettato i popoli li associava al proprio destino, cosi la colonizzazione fascista aveva trovato la giusia via fra la sprezzante crudeltà inglese della «Colour line» e la smodata assimilazione francese che aveva, fra l'altro, portato un senegalese aL posto di Sottosegretario. iM fatica degli indigeni era da noi giustamente valorizzata, mentre si moltiplicavano le iniziative e le opere per migliorare le loro condizioni fisiche e culturaili. • Così, accanto ai candidi villaggi agricoli creati in Libia per i nostri contadini, diversi ne erano sorti, ed altri stavano sorgendo, per i mussulmani. E che noi sapessimo affezionarci le popolazioni native, è provato da molte manifestazioni di cui parleremo altra volta. Tornare all'Africa è, perciò, un nostro imperioso dovere. Un dovere che si imporrebbe nnche se per dannata ipotesi, la guerra dovesse essere vinta dai nostri nemici, perchè un popolo di 45 milioni di lavoratori non potrà mai essere condannato al soffocamento. Ma noi, crediamo, invece, fermamente nella vittoria del Tripartito, In seno al quale stiamo per riprendere degnamente il nostro posto. E se a questa vittoria daremo ancora, com'è nostra ferma convinz'one, un contributo sensibile, riavremo le terre temporaneamente perdute e quelle altre che dovranno completare l'Impero che la titanica fatica del Duce era riuscita a darci. Poiché al tavolo della pace, al quale, dopo aver riconquista:o l'onore e la stima al cospetto degli altri popoli, potremo assiderci fra i vincitori, riacquisteranno il loro valore anche i tre anni di guerra da nei g.à combattuta, e durante i quali (nonostante i sabotaggi dello Stato Maggiore.culminati agl'infamia dell'8 settembre) abbiamo recato, per la magnifica collana di eroismi dei nostri combattenti, un peso di grande valore sulla bilancia del Tripartito. Non dimentichiamo, dunque, le terre d'oltremare. E il nostro popolo abbia presente che le leggi sociali della Repubblica, che danno all'Italia un nuovo primato nel mondo potranno recargli tutto l'auspicato benessere soltanto quando riavremo il nostro Impero. G. Z. Ornato

Persone citate: Duce, Einaudi, Faria, Paolo Gentizon