I GIOVANI

I GIOVANI I GIOVANI E' un fatto incontroverso che la gioventù italiana di leva si e fatta molto tirare l'orecchio prima di rispon dere alle recenti chiamate alle armi. Quanto a stabilire chi porti la colpa di questa infedeltà all'antico genio di Curtatone e Montanara, i pareri, invece, sono discordi. Cerchiamo di evocarli brevemente al lume di un onesto buon senso. E diciamo subito, per amor di giustizia, che dissentiamo da coloro i quali, abbandonandosi a un eccessivo semplicismo, vorrebbero senz'altro mettere la condotta dei nostri renitenti sul conto della vigliaccheria. I giovani d'oggi non sono meno coraggiosi di quelli di una qualunque altra delle generazioni che ci hanno preceduto, o, per dir meglio, non sono meno capaci di coraggio di quel che siano stati i loro predecessori. Distinzione sottile, forse; non però così sottile che non la possano intendere tutti. La capacità del coraggio, la attitudine al coraggio è una cosa, il coraggio in. atto è un'altra cosa. Negare la prima agli Italiani, giovani o vecchi che siano, sarebbe un insulto verso decine, centinaia di migliaia di morti le cui ossa imbiancano, vegliate dalla gloria, e non importa se da una gloria avvolta di gramaglie, nei cimiteri di mezza Europa e di mezza Africa. Ci guarderemo bene dal rendercene colpevoli. Quello che manca a molti, a troppi giovani dell'Italia odierna è il coraggio attuale, ossia la voglia d'essere coraggiosi nelle circostanze presenti, nello speciale momento storico attraversato dalla patria. E', insomma, di una deficienza morale contingente, e non congenita, che noi facciamo carico ai nostri giovani. Il che ci sembra al temDo stesso meno grave e più grave. Meno grave, perchè trattandosi di difetto non congenito, è sempre lecito coltivare la speranza di vederlo sparire ; più grave perchè se i torti nei quali incorriamo per disgrazia naturale possono giustificare una certa indulgenza, quelli nei quali incorriamo di nostra libera volontà diventano colpe e come tali non meritano se non punizione. Rinunziamo, dunque, a parlare di coraggio e parliamo semplicemente di volontà di battersi. La questione da risolvere è, di conseguenza, una questione politica assai più che non una questione morale. Molti giovani hanno tentato sino a ieri — e tutti sanno perchè diciamo sino a ieri: oggi, invece, la maggior parte dei distretti formicolano di reclute! — di sfuggire ai loro obblighi di leva prevalentemente perchè in sospetto circa la bontà della causa che erano chiamati a difendere. E' chiaro che nessun paese in condizioni normali lascerebbe mai ai giovani la facoltà di decidere della bontà o meno delle cause adottate dagli anziani. L'Italia repubblicana — ormai si dovrebbe averlo capito — non sarà su questo punto meno esigente di qualunque altro paese. Ma l'Italia repubblicana, o, per non usare restrizioni, l'Italia, non è, purtroppo, un paese in condizioni normali. II solo fatto di vederla spezzata in due metà è apparso a molta gente ragione bastevole per esitare sul da farsi, e non v'ha chi ignori il proverbio che dice : « nel dubbio astienti ». L'asino del famoso Buridano si astenne e ne morì. Siamo sicuri che la stessa tattica avrebbe, nel caso nostro, identici effetti. Ciò non toglie che essa continui a trovare degli adepti, non foss'altro che in sede di raziocinio, e continuerà a trovarne fintantoché quella spaventevole bipartizione non sia cessata. Continua a trovarne perchè non c'è bisogno d'essere l'asino di un illustre filosofo nè di esser stati citati in un canto del Paradiso per risolvere una antinomia con l'inazione. L'inerzia è la più elementare delle forze naturali, e tutti posseggono la dose d'intelligenza occorrente per restare con le mani in mano quando non sanno se convenga loro di più fare l'una cosa o l'altra. Quello che i « buridànidi », se ci si consente il neologismo, dovrebbero comprendere, è che il loro atteggiamento non costituisce una ispirazione del cielo nè una trovata machiavellica ma rappresenta il grado più rudimentale del raziocinio, l'abiccì dell'arte politica. Prova ne sia che da quando questo atteggiamento ha prevalso l'Italia si trova allo sbaraglio. Da quando gli Italiani, giovani o vecchi, hanno creduto che il colmo della saggezza stesse nel lasciare Inglesi e Tedeschi farsi la guerra fra l'Alpi e il Lilibeo limitandosi a starli a guardare come si fa all'arena durante una par tita di calcio, la patria non ha più avuto requie e le rovine si sono accumulate. Persistiamo nello stesso conte¬ gno e vedremo queste rovine sommergerci! Ai nostri giovani, comunque, noi non rimproveriamo la rudimentalità della politica alla quale sottoscrivono, e che è stata loro suggerita dai vecchi: rimproveriamo la volontà di fare della politica, ossia di comportarsi come i vecchi. Essi non peccano per mancanza di coraggio ma peccano per insufficienza di giovinezza. L'astensionismo da essi coltivato non costituisce un errore soltanto perchè si tratta di una condotta poco intelligente, che ha per risultato la distruzione dell'Italia all'ingrosso e in dettaglio, ma perchè infligge una smentita allo spirito ed alle caratteristiche naturali della loro età. Le quali stanno nello slancio generoso dell'animo, nell'assenza di riflessione paralizzante, nella inaccessibilità al calcolo e nella ripugnanza a seguire i consigli degli uomini che invocano il privilegio dell'esperienza. Ora questa infedeltà ai difetti giovanili è il frutto inatteso ma prevedibile dell'educazione impartita' loro da vent'anni. Abbiamo troppo detto e ripetuto che bisognava far largo ai giovani e che il mondo doveva essere dei giovani. Le nostre intenzioni erano eccellenti, in una epoca in cui quel che premeva sopra ogni cosa era liberarsi della sclerosi sociale e spirituale contraria al rinnovamento della nazione : ma i giovani ne conclusero che sino a quel giorno fossero stati vittime della più nera ingiustizia e che la loro vera destinazione fosse non il lottare e lo spendersi senza risparmio per farai un posto al sole bensì il sedere, per diritto di nascita e senza molestia, a una mensa già apparecchiata. L'inquadramento nelle organizzazioni giovanili, che si riprometteva di fare della gioventù italiana una falange d'eroi, e che, se quella gioventù fosse stata diversa, vi sarebbe forse riuscito, ne fece all'opposto una generazione abituata a venir promossa d'ufficio, una gene razione di impiegati in erba o in potenza, una generazio ne attaccata sin dall'infan zia al grado, alle preceden ze, alla nomina, all'organico e, diremmo quasi, allo stipendio. I giovani si sentirono importanti molto prima di esserlo. Risultato: si ritennero infallibili, si dettero delle arie, dettarono legge in famiglia, presero la scuola sotto gamba e perdettero, cioè, quel che forma il pregio capitale della gioventù: la malleabilità intellettuale, la freschezza morale, lo zelo e la verginità del catecumeno. Divennero estremamente difficili da condurre e incresciosamente tetragoni agli sforzi educativi dei loro padri, ma in pari tempo si risentirono dell' esempio di questi ultimi in quel che meno faceva al caso loro: la prudenza bilanciante, lo spirito calcolatore, le preoccupazioni dell'interesse, lo scetticismo, la diffidenza. Ne vediamo oggi le conseguenze. Il genitore italiano non riuscì più a farsi ascoltare dal figlio, ad eccezione di quando gli parlava il linguaggio degli affari, specie se gli affari erano poco puliti. Sorse e maturò, di rimando, nei giovani quello strano cinismo che parve, ed era infatti, immeritato guiderdone alla diligenza sconfinata, alle cure assidue, alle spese ingenti votate loro dal regime, ma che in sostanza è stato, in ogni tempo e presso ogni popolo, la caratteristica dei ragazzi viziati, dei « figli di papa », di quanti dalla nascita sanno di avere dietro di sè qualcuno che al momento buono interverrà per cavarli d'impiccio, « sistemarli » e far loro fare carriera. E, poiché il connotato classico dei ragazzi viziati è l'ingratitudine verso chi li vizia, doveva fatalmente anche venire il giorno in cut i nostri giovani, dopo essersi serviti del Fascismo, si sarebbero rifiutati a servirlo. Quale la conclusione? Rimettere, senza drammi ma con fermezza, i giovani al loro posto, che non è mai stato a capo tavola. Educarli a imparare prima di insegnare, a rispettare prima di esser rispettati. Riabituarli a un minimo di modestia. Toglier loro di capo che nella vita si possa riuscire altrimenti che mercè un lungo sforzo. Dir loro che al mondo non esistono scorciatoie, tranne quelle passanti per la galera. Non commuoversi troppo se hanno dei momen: ti duri da attraversare, anzi procurare che ne abbiano, giacché sono quelli i soli che formino un carattere. Far loro gli occhiacci quando non pensano se non al profitto, allungar loro qualche scapaccione quando si lasciano cogliere a invidiare il genio dei Rockefeller della borsa nera, e lasciarli senza frutta o addirittura senza companatico quando, pretendono intendersi di politica e dar lezione di saggezza a chi li governa. L'unico modo che i giovani abbiano di fare della politica consiste nel fidarsi di quella che vien fatta per loro da chi vede più lontano di loro. La vera politica dei giovani è la Poesia, perchè è la loro poesia, non la loro astuzia e nemmeno le loro meditazioni, che fa la grandezza dei popoli. Concetto Pettinato Dopo il barbaro bombardamento anglo-americano di Montecassino. Il sessantenne rappresentante del Priore dell'Abbazia sì trova fra i pochi scampati. Ecco alcuni soldati germanici che aiutano il reverendo, indebolito dalle fatiche e dalle privazioni, a salire nell'automobile che lo condurrà verso Roma. Di fianco alla macchina la tragica figura di una donna scampata alle incursioni.

Persone citate: Concetto Pettinato, Montanara, Rockefeller

Luoghi citati: Africa, Curtatone, Europa, Italia, Roma