FIGURE E FIGURINE nell'epistolario di Bellini

FIGURE E FIGURINE nell'epistolario di Bellini Retroscena nella vita d'un grande compositore FIGURE E FIGURINE nell'epistolario di Bellini Sommano a duecentosettantadue le lettere autentiche di Bellini, ora raccolte da Luisa Cambi in un volume che ha i pregi delle buone compilazioni, cioè l'accurata ricerca e lettura dei testi, il rilievo delle vartanti e delle lacune nei precedenti epistolari, i rimandi, qualche notizia delle persone citate. Le rettifiche anch\ nel campo biografico non vengono mai groppo tardi. E il corredo ricco e sèmpre utile. Il volume è da consigliare a chi desidera la più familiare vicinanza dell'artista carissimo, a 'Chi è curioso della sua attività, del modo di vivere, della società. ' Bellini, parla molto di sé, schietto sempre, perfino nelle astuzie occorrenti a un operista, molto anche delle sue fatiche, pochissimo della sua estetica. Leggendo, bisogna pazientemente annodare i fili delle osservazioni, delle frasi, delle parole, e tesserli, cosi come occorre collegare idealmente un'aria e una cavatina e un duetto successivi d'un suo personaggio pei intenderne la continuità .stilistica, lo sviluppo psicologico o la caratterizzazione. «lina canaglia » Fra ~ i tratteggi quelli dei cantanti sono i più vivaci e conseguenti, e meglio descrittivi della mentalità e delle condizioni teatrali circa il 1830. Passando da una città all'altra d'Italia e di fuori, alcuni cantanti trasmettevano, gazzettini ambulanti, notizie e anche pettegolezzi tali da destar amarezze e rancori. Una che inacerbì l'animo di Bellini contro il conterraneo Pacini fu madamigella Carolina-Ungher, alquanto celebre. Era ungherese, ma i giornali la dicevano tedesca e descrivevano grossa e bella, « con il corpo a linee tondeggianti e il portamento regale ». Egli la prese in uggia quando recò a Milano da Napoli una lettera di Pacini, che magnificava il successo d'una sua opera, e la consegnò, insieme a una tsommetta», a un giornalista, Gaetano Barbieri, direttore de / teatri, incline a « cambiar parere » grazie al danaro, e spia al servizio dell'Austria. Da quel giorno, il Barbieri cangiò l'ostilità al Pacini in ossequio. Intrigo, trappola, raggiro, gridava Bellini, prevedendo volgersi contro di lui gli attacchi del Barbieri, e pertanto, fiducioso nel trionfo del « vero merito"»', guardava « indifferente, con sprezzo, tali manovre*, non degne di uomini d'onore ». Per questo e per aver a sua volta sparlato di Pacini e della Tosi, e forse attribuito a Bellini le sue maldicenze, Bellini giudicava la Ungber « una canaglia », aggiungendo sentenziosamente: « è una cantante e. perciò caparfe di tutto ». Più tardi, nel '32, a Parigi, ascoltandola come Imogeny nel Pirata, non ebbe a dolersi di lei. In quell'occasione l'autorevole Revue musicale notò che mentre i suoni gravi risultavano ampi e gradevoli, quelli acuti riuscivano nella veemenza sforzati, strozzati, e attribuì tale spiacevolezza alla vastità dei teatri italiani, la Scala, il San Carlo, che costringeva i cantanti a dar più di quanto potessero. Era questa un'opinione diffusa in quel tempo. In realtà la maggior cagione dello sforzo vocale era il nuovo stile musicale, che all'ultima eredità del bel canto sostituiva l'impeto gagliardo dell'espressione drammatica, e che con l'accrescimento della istrumentazione e la propulsione dell'accento romantico diventò via via più accaldato, slanciato, come in Meyerbeer e in Verdi. Ma nel caso della Ungher si trattava d'uno specifico difetto. La sua voce, certamente robusta fino ai limiti acuti del registro di contralto, scemava in quello sopranile. A un buongustaio, quale Stendhal, sembrava priva di dolcezza e di- vellutato, e Bellini stesso, riascoltatine i « distorcimenti * nella Parisina di Donizetti, francamente esclamava: « Non posso persuadermi come la Ungher possa piacere in qualsiasi opera! Ogni tuono che emerge è una stilettata! ». E all'annuncio d'un'altra esecuzione del Pirata se ne accorava: « Che cattiva notizia... Non può quella donna cantare il soprano affatto affatto. Vorrei che ella se ne persuadesse una volta per sempre... ». Nasce te ipsam... O ingenuo Bellini! «Un angioletto» La Malibran invece ha nell'epistolario come nel cuore di Bellini un posto eccelso. Egli l'udì la prima volta a Londra, sembra, nel "33. Al Drury-Lane si eseguiva La Sonnambula in inglese. Vi assistette, invitato da una gran dama, e stentò a riconoscere la sua musica, congiunta alla lingua a lui sconosciuta, finché venne in iscena la Malibran. Il calore de! canto nella frase Ah, m'abbraccia fu si ardente ch'egli, scordando la rigida correttezza dell'ambiente, cominciò a gridare: « Viva ,e brava ». Il pubblico si domandava sorpreso chi mai osasse tale rumorosa e inusitata acclamazione. Riconosciutolo, lo applaudi freneticamente. Affidare a lei le sue opere era certezza di successo. Già aveva ritoccato per altri cantanti alcune parti. Più volentieri avrebbe adattato le sue melodie allo capacità d'una cosi bella voce, (e la Pasta insinuava scherzosamente ch'egli era innamorato cotto anche della graziosa e fine persona). Il Pirata, La Straniera, « accomodate », le si ad- dicevano « benone ». Sperava riprendesse la parte di Beatrice di Tenda. Avrebbe aggiunto arie nei Puritani, tn modo che ella ne diventasse « la colonna principale », e abbassato le tonalità inadatte al suoi acuti. « Sospirava un'occasione », cioè un'opera scritta espressamente per lei, per « porre in mostra 1 suoi immensi mezzi... e dimostrarle la ammirazione pel suo talento ». Le affidava anche la cura di altri cantanti, per infonder loro « un poco del suo genio angelico ». Perchè era proprio « un angioletto ». Divinità Oltre che per la voce e 11 canto, la Malibran si distingueva per la musicalità, (« diavoletta, dalla sera alla mattina t'impara un'opera Intera»), per l'entusiasmo, («trovandosi a pranzo in una casa cantò da otto ore di sera sino a un'ora dopo mezzanotte senza riposo alcuno»), e per l'amicizia a tutta prova, ( «la sua condotta... mi ha fatto desiderare... di coprirla di baci a dispetto di tutto il mondo... Spero d'incontrarla e non so che avverrà per parte mia»). E ricambiava: « Voglio che la nostra amicizia sia fraterna... ed amarci e dircelo, e che la nostra amicizia,, fondata sopra la più cara stima, dlvenghi preziosa. Quindi, d'ora innanzi, ciò che la Malibran imporrà, Bellini eseguirà! ». Il fidanzato di lei, Charles De Bériot, non s'ingelosiva se egli le inviava « un bacio di riconoscenza ». Altissima e riconoscente era l'ammirazione di Bellini anche per Rubini. Non s'adombrò di sentir mille volte avvicinato, anzi congiunto, il suo nome a quello del tenore, cene per una riconosciuta concomitanza della creazione, quai'eru il sin- folare punto di vista del pub lieo di quel tempo. Punto errato, non occorre notarlo, perchè la bellezza d'un'opera d'arte sopravvive alle contingenze, e le stesse opere di Bellini, eseguite da cantantLassai diversi dal pochi per r'quali furono scritte, continuano ad aver fortuna. Le casuali condizioni del teatro venivano considerate elementi perenni dell'arte e favorivano illusioni. Si temeva perfino che Bellini, scrivendo una seconda opera per Rubini, si ripetesse, mentre un altro cantante lo avrebbe indotto a nuovi accenti. Un timore, questo, che poneva In dubbio nientemeno la varietà d'ispirazione e d'invenzione a seconda delle passioni e dei caratteri dei personaggi. Altissima ammirazione, dicevamo, e parole trascendentali. La sortita di Rubini ne! Pirata ? « Sembra di vedere un angiolo, perchè egli la diceva d'un divino incomprensibile, ed il canto era d'un effetto sorprendente nella sua gran semplicità nell'espansióne dell'anima ». La « divinità » di quel tenore era imprescindibile. « Come farò io senza Rubini, se pure farò una musica divina? Il suo canto dava quell'angelico suono alla mia musica, e perciò dubito molto della mia opera». Se. tanta era l'adorazione del maestro, im maglnate l'idolatria e la prepotenza, del pubblico: « Senza Rubini io sono precipitato... Qui non vogliono che Rubini, e dicono tutti- che fischieranno quante opere andranno in scena senza Rubini ». I giornali facevano eco, ora ripetendo la immagine mite dell'angelo, ora tratteggiando il tenore come un atleta, « vincitore d'ogni ostacolo colle sue robustissime note di petto..., soverchiando i cori, l'orchestra, gli applausi... ». Ma non in queste cannonate stava la grandezza di Rubini, bensì nell'espressione. Quando l'acutezza della voce scemò. Bellini provvide ad abbassare di mezzo tono alcuni Eezzi della Sonnambula, e Ruini « fu trovato sublime e pel suo canto (..: ogni nota toccava la più profonda fibra del cuore) e per l'anima ed azione che mise in tutta l'opera ». Un grazioso episodio, anzi « una cosa stravagante e senza esempio » avvenne durante una rappresentazione dei Puritani a Parigi nel '35. Stando Rubini in iscena, « gli fu gettato un biglietto e molte voci gridavano nello stesso tempo. Lise», linea... Rubini raccoglie la lettera, legge fra di sè e rivolgendosi al pubblico dice: Messwurs, avec grand plaìsir Tutto il teatro allora prorompe in grandissimi applausi. Io corsi a domandare ciò che diceva la lettera: era di molti abbonati che pregavano Rubini di cantare fra un atto e l'altro l'aria del Pirata... ». Adesso qualche divo usa cantare non un'aria di Bellini in una serata belliniana, ma una romanzetta o canzone da film in mezzo o alla fine, poniamo, della Carmen, o del Trovatore... A Della Corte

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