La rinunzia di Michelangelo di Marziano Bernardi

La rinunzia di Michelangelo "Grato m'ès il sonno e più l'esser di sasso..., La rinunzia di Michelangelo Rifiutare una critica rivolta ai soli valori formali e di gusto, per tentar di definire 1» specie di un'anima nel suo atteggiarsi di fronte al mondo e agli eventi, c il prevedibile compito degli studiosi di arte di domani: almeno di quelli che l'attuale tragica esperitila di vita avrà fatto consci dei reali valori dello spirito. Tutto, probabilmente, sarà allora semplificato: prima d'ogni altra cosa quel linguaggio astratto, convenzionale, ermetico, disumano che sembrò intelligentissima conquista dei nuovi o lettori » d'opere d'arte, e che apparirà agli scampati dalla bu feti ra, assetati di concretezza e di chiarificazioni sia del sentimento che dell'intelletto, un povero gergo, un misero cifrario, trastullo di una cultura ormai priva di maschiezza. Se questa facile profezia non fallirà, il rinnovato bisogno di confrontare le opere sulle tappe di un cammino interiore in cui la biografia morale predomini, ancora una volta ci consiglierà quel punto di vista, scelto per capire e giudicare la qualità dell'arte, pel quale oggi si affetta tanto disprezzo. Di nuovo un pizzico di p&cnlotjismo ci aiuterà ad intendere i motivi essenziali dell'umani tà propria dei grandi artisti, ed a scoprire in essi le loro idee sulla vita, causa,— in ultima analisi — d'una determinata espressione. Un'anticipazione di questo metodo sembra contenuta ne" brano che Valerio Mariani nel suo bel libro su Miche Vangelo (Torino, Utet, 1943) 17- dedica al Giorno; s ... se ci si attarda a percorrere il gran corpo con lo sguardo ne vediamo emergere una vita palpitante, piena, sensual .mente arricchita d'una sazietà antica: vi 6ono particolari... che segnano il punto massimo in cui Michelangelo è potuto giungere>ne'la gioia puramente plastica del nudoper questo ancor più singolare, come maschera tragica, torna a comparire il volto sbozzato, al di sopra delle palpitanti membra: esso sembra, a tratti, non. appartenere alla grande figura giacente, ma sorgere da estreme, favolose -lontananze, come in agguato ». Singolare maschera tragi ca, dunque. Ma singolarità connessa soltauto a prodigioso estro, a un'invenzione continua del proprio linguag gio figurativo che di volta in volta — insofferente di vincoli — si trasmuta per meglio affermare il diritto della personalità creatrice di fron te ai vari or casi » della necessità espressiva? E perchè allora quell'invenzione? Che cosa la muove, la suscita, la rende inevitabile nell'intimo cuore dell'artista? Come mai nel Tondo Doni quella lucente cristallina purezza di con torni, quello snodarsi a spirale della Sacra Famiglia armoniosamente atteggiata, quella linea netta e tepa fino a sembrare incisa, quel colore che ignorarlo sfumato ; e poi, progressivamente, tanto nella scultura che nella pittura, quel volontario rinun ziare — specie dopo la Vòlta della Sistina — all'antica, gioia plastica cui anche il .Woelfllin accenna? In una medesima opera, fra lo più alte mai create, il Giorno, ecco riuniti il trionfo d'una plasticità prepotente e la suggestione segreta, così nostra, così moderna, del « non finito »: tanto che, a meno d'invocare la spiegazione un po' troppo semplicistica, addotta ad esempio dal Giimm, dell'or incompiuto », quasi parrebbe di trovarsi davanti a un'incoerenza stilistica ; ipotesi assurda in Michelangelo. Comunque,- la antitesi espressiva permane la stessa, ma più acuta ed evidente perchè offerta da una sola statua, che si può riscontrare confrontando il David col San Matteo. A proposito di questa ultima ecultura il Bertini (Michelangelo fino alla Sistina, Torino, Einaudi, 1942) osservi ch'essa « non è finita soltanto rispetto a uno schema uaturalistico ». D'accordo: ma perchè nel Giorno lo schema naturalistico è valido pel corpo e non è valido per la testa? Anche il Mariani riesamina la questione del « non finito » michelangiolesco, ed acquieta il dubbio critico con la rinunzia a contrapporre in Michelangelo due stili: quello, poniamo, del Bacco, e l'altro, che' tanto ne appare dissimile, della Madonna che è al Bargello. E il Carli da • canto suo (Michelangelo. Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1942) saga o cemente mette in guardia dall'interpretare il <r non finito » del Buonarroti come la testimonianza < di una sublime sconfitta interiore dell'artista ». Infatti dal Prigione sfinito del Louvre, opera plasticamente compititissima, emanarti, la malin conia e il pessimismo»; mentre dal San Matteo, « che è appéna un abbozzo », erompono « la gagliarda fede, la sicurezza vittoriosa ». Con tutto ciò, il problema di quella testa, che su un corpo degno di far riscontro al David* 0 agli Ignudi della Sistina, anticipa di tre secoli e mezzo gli ideali di Rodin, resta insoluto se lo si mantiene sul piano dei puri valori fi gurativi. Ma il Mariani stesso, che per il colosso « cavato » pri ma dei trent'anni dal blocco di marmo sconciato da Ago stino di Duccio ha ricordate le stupende parole di Pico della Mirandola nel De ho nunis digmtcte : a Io ti po si nel mezzo del mondo per che tu meglio vedessi ciò che v'è nel mondo, perchè tu, come autonomo artefice, ti foggiassi nella forma che meglio t'aggrada »; il Mariani stesso, parlando del' llruto, riscontra nel ritratto dell'eroe romano « una tra duzioue più consapevole, qual'è quella che il pensiero stesso di Michelangelo poteva aver maturata, qon 1 duri anni d'esperienza vissuta ». Eccoci dunque a quel fa moso a pensiero » michelangiolesco, espressione tanto abusata, eppure indispensa bile a indicare la qualità di un genio. Torna esso fatalmente come sintesi d'una vita conscja ormai del proprio destino e dell'eterna tragedia umana. c Grato m'è 11 sonno, e più l'esser di I sasso mentre che '1 danno et la vergogna Idura... ». Solo il rimpianto della Iv berta perduta ispirava al Buonarroti la marmorea ri sposta della Notte all'estetizzante vacuo epigramma? Da quando la sua visione del mondo s'era compiuta, da quando la conoscenza dell'a ntmo umano gli aveva sciolto ogni velo sulla realtà dell'esistenza, tutto, intorno a lui, gli appariva in una luce ■l'insanabile tristezza; e U'.h amara pietà per la miseria degli istinti lo md liceva a evadere, con l'aiuto di Vittoria Colonna e degli altri ami ci romani, nella sfera pUcate di un amore ideale. La su blime certezza Vici destini dejl'uomo signore' dell'uni verso, umanÌ6tiCHinente tradotta nell'energia formidabile del David, s'era trasformata nel dubbio grave riflesso dal Giorno, in cui, se il corpo si modella aucora in/oxme fiduciose, il voltò ormai si disfà nelle nebbiose lontananze d'una materia greggia, nelle- misteriose suggestione de' « non finito ». Più tardi, nell'ultima Pirtà, l'immagi-. ne del divino strazio fonderà in un sol blocco la 'Vita e la Morte, quasi facendo di quésta il sostegno de'l'altra: purificazione assoluta d'ogni attaccamento terreno, annulla mento della nostra breve vicenda nell'eternità. Aveva ottantanni; e a Giorgio Vasari scriveva: « Non nasce in me pensiero che non vi sia dentro sculpita la morte » Perciò nell'ultimo suo nudo «•gli, « che aveva bruciato la sua vita per l'adorazione della^vivente bellezza d'un nudo », non vedeva più che una forma disfatta dal mar?:rio; e. rinunziando al a gusto plastico della figura umana da luì travolta sotto la spinta d'una irraggiungibile assoluta spiritualità », trasferiva le sue gigantesche energie, che nè l'età nè i travagli nò le immense fatiche avevan potuto fiaccare, nelle immani membrature della Cupola. i Ne, plnger nè scolpir fie pili che quieti l'anima, volt* a quell'amor divino ch'aperse, a prender noi, 'n croce le [braccia »' Tale l'addio dato dal vecchio artista, con- malinconia sublime, a quell'arte figurativa in cui aveva espresso, dai nudi per il cartone della battaglia di Cascina ai nudi degli efebi dipinti sulla Volta, l'ideale umanistico della forma, il trionfo della bellezza, l'immagine stessa della volontà. Forma, bellezza, volontà di questa co9a caduca, ciecamente sospinta e ingannata, che è l'uomo: vanità delle vanità per chi, come Michelangelo, nelle sue tappe spi rituali sempre più profonde e assorte, tendeva l'orecchie all'eco dell' Ecclesiaste. Nes sima a sconfitta interiore n. bensì una poscienM sempre ' amara, una conoscenza re più delusa. Aveva più sempr varcato i cinquautacinque anni quando, nello sdegno per 'a perduta libertà, non finiva la testa del Giorno (Che puoi più guardare, o Glnrn", che senza dolore si rifletta sul tuo viso?). Ne aveva ottantanove quando scolpiva la 'Pietà Rondatimi, ed essendo il Vasari andato da lui di notte per un incari :o di papa Giulio III, lasciava cascare la ucerna di mano perchè l'amico non vedesse il suo lavoro, e gli diceva: « Io sono tanto vecchio, che spesso la morte mi tira per la cappa, perche io vadia seco, e"questa mia persona cascherà un dì come questa lucerna, e sarà spento il lume della vita ».'Si spense, infatti', di lì a poco. Ma se anche foss'egli vissuto dieci anni di più, come Tiziano, mai quella Pietà sarebbe stata or finita »: che la desolante esperienza della miseria umana aveva mutato la sua idea della forma. Marziano Bernardi

Luoghi citati: Bergamo, Cascina, Pico, Torino