Arriba España!

Arriba España! Arriba España! AH» ore 15 è giunto un or-Iliiine importante : pare che il reggimento con tutta la Divisione Frecce Nere debba trasferirsi a VUlayojosa presso Alicante. Vado al Comando di reggimento ed esamino su la carta l'itinerario ; si tratta, nella migliore delle ipotesi, di circa cinquecento chilometri da percorrere, forse di più. •Il C.T.Y., come tutte le altre unità dell'esercito di Franco, sta dislocandosi sul territorio di nuova occupazione, ieri a rosso», e naturalmente un movimento co9Ì vasto non può avvenire se non gradatamente, poiché le ferrovie non sono ancora in efficienza e le strade ed i ponti sono rotti lungo tutta la linea, già di combattimento, attorniante il territorio finora posseduto dai comunisti di Negrin. Sono, infatti, recise le arterie che da Madrid, "entrò propulsore, si dipartono a raggiera in tutte le direzioni ; così pure tutto il parco rotabile ferroviario è accentrato in Madrid, Valencia e nei vari centri più o meno importanti di questa immensa zona di occupazione e occorrerà riattivare i ponti, prima di tornare a un traffico regolare. Partiamo, dunque. In treno o con una colonna di automezzi? Difficile dirlo: il certo è ^he il nostro trasporto potrà aver luogo solo per tempi successivi, se si vorrà che tutti i reparti compiano il movimento in buon ordine. Verso le ore 18 il Colonnello mi manda a chiamare e mi comunica che invia me quale furiere per gli alloggiamenti del reggimento, con un Alfiere per battaglione. Si sta, così, per iniziare un viaggio direi quasi, avventuroso, in una zona occupata solo in parte dalle truppe di Franco, dove reparti nemici si smobilitano allegramente per conto proprio ; ciascuno è preoccupato di risolvere il problema del trasporto per raggiungere casa propria. Già a Jepes ho la prima visione di questo spettacolo nuovo, che mi ricorda la triste affluenza dei nost i prigionieri di guerra dai campi di coneentramento austro-ungarici, nel 1918. Stranieri nella propria terra, cenciosi, ai quali le popolazioni per una improvvisa ostilità tutto rifiutano, spesso costretti a rubare per sfamarsi. Obbligati a combattere per un'idea che non capivano, non sentivano, spesso odiavano, eccoli oggi abbandonati all'ira, alla vendetta e, quel che è peggio, all'odio delle popolazioni che li vedono passare. Sono i rappresentanti dell'odiato bolscevismo, e tanto basta. Debbono fare la strada a piedi per tornare alle loro case, spesso senza scarpe e senza la speranza che qualcuno li soccorra. Ne ho incon trati già molti sulla rotabile Jepes-Ocana, accasciati, sfì ujti dalla fatica, dalla fame e dalla febbre. Ma chi ci bada? Spagnoli tra spagnoli, peggio che se fossero in un paese straniero, debbono sentite tutta l'angoscia di una immensa tragedia, la vergogna di una inferiorità morale, di cui spesso non sono neanche colpevoli. Un giorno si chiederà loro, vedendo i segni di una ferita o di una mutilazione: — Dove avete combattuto ? Ed essi risponderanno : — Con la brigata tale. — Ah, eravate con i ro6si ! Capisco — risponderà ironicamente quel tale. Angoscia, quindi, perenne angoscia per una buona metà del popolo spagnolo. O tacere, o mentire per sottrarsi ad un peso morale insopportabile. Oppure anche fare atto di contrizione, ma spesso senza essar creduti, perchè giudicato un espediente... Il nostro reggimento è accampato poco fuori di Jepes, lungo la 6trada Ocafia-Jepes. All'imbocco del paese, dove sostiamo, abbiamo le cucine dei battaglioni. Un filo di fumo indica il luogo, e più ancora l'odore del rancio che si 6pande all'intorno. Sono le 18; i nostri stanno per terminare la cena. Tutti i soldati, con la loro brava cacciatora grigio cenere e i pantaloni color giallo bruno, stanno mangiando la zuppa fumante. Oltre il piatto di minestra, hanno frutta, formaggio e una razione di vino. Sfmbrano allegri, soddisfatti, sicuri del fatto loro, contenti che presto se ne andranno a casa a rivedere la propria famiglia. Ma più in là vedo, alla rinfusa, un gruppo d'esseri macilenti, con le scarpe di corda, rotte, i pantaloni a brandelli, i capelli arruffati e la barba lunga. Sono forse prigionieri di guerra? Non credo. Ormai non si fanno più prigionieri. Chi saranno? Guardano con avidità e soggezione i due pentoloni, ove molta minestra è rimasta, jnejilre il ranciere la scodel- caodlltddmpresScmafsdtnvicfgtsacsed la e la versa in marmitte da ? ! e à o è e e e campo, per distribuirla, poi, alla popolazione. Ma nessuno osa alzarsi, nessuno osa chiedere nulla, sebbene gli stimoli della fame lo mordano. E' l'avvilimento, l'abbattimento. E' lo sfacelo dei corpi e delle anime. Io li guardo; essi mi guardano come se leggessero nei miei occhi l'emozione che provo. Ma non parlano. Sorrido loro. Uno del gruppo, entrato un po' in confidenza, si alza e risponde al sorriso. Sorrido di nuovo. Pare un cane, che, a muso basso, dimenando la coda, si avvicini ad uno che sa che non vuol fargli male. Altri seguono il suo esempio. E' un sollevarsi di cenci, un accorrere sforzato, strascicato di larve umane. Nessuno parla. Si muovono come automi, quasi fossi io a guidarli col mio sguardo. 'Dico al cuciniere spagnolo: — Date loro da mangiare ; chissà quanta strada hanno fatta. Ho l'impressione che l'argomento non persuada affatto il mio uomo. Vedo che scuote la testa e si avvicina alla marmitta di mala voglia come per eseguire un ordine senza convinzione, contrario ai suoi principii. Lo richiamo e gli dico: — Di' un po' : cosa fai tu a casa? — Il muratore, mio coman dante. — Dove sei nato? — aggiungo. — A Menda — risponde, guardandomi attonito. — Se invece di nascere a Merida, fossi nato ad Alba facolavtedtrcbtofefeteccmgpclameggrraLanlafandvpgasptmrprnfbszctlacete, con novanta probabilità s. ... i* ttddgmdimsppmszgstviacsmgisi! cento saresti tu pure fra questi disgraziati straccioni, reclutati per forza. ' Non credi ? Egli mi guarda interdetto, poi riprendendosi, perchè l'uomo vuol sempre avere ragione, risponde : — Mala nutrie, mala sverte, mi comandante! Mi guardo attorno ; gli altri del battaglione mi guardano. Leggo negli occhi di questi guerrieri che fino a ieri hanno lottato e rischiata la vita per una giusta causa un oscuro senso di solidarietà verso di me. Frattanto i rossi, per un senso quasi magico della disciplina, si sono messi per tre. "Pochi di loro hanno un recipiente per prendere la minestra. Mangeranno in tre, in quattro nello stesso piatto ; che importa? Sono difficoltà da nulla. La fame tien luogo di tutto. Sebbene non sappiano una parola d'italiano, hanno già compreso molte cose, e mi osservano con sguardo amichevole. Hanno perduto quel 6enso inumano che abbatte e mortifica l'uomo stretto dagli stenti, facendone un essere inferiore. Risorge in essi il senso della dignità. Si sentono i vinti di una grande partita, non più, però, degli schiavi. Intanto si scodella la minestra, vedo bocche avide riempirsi fameliche di pasta e fagioli. Altri aspettano il loro turno. I nervi si tendono al profumo emanante dal pentolone e gli occhi spiano avidi il mestolo dal cuciniere. — A rriba Esjmfia, una, grande, libre! — grido con tutto il mio fiato. Essi mi guardano, quasi increduli. — Arriba! — rispondono poi tutti insieme, vincitori e vinti. — Anche costoro sono vostri fratelli, spagnoli, figli di Dio ! Tocca a voi redimerli — dico ai legionari che mi si stringono intorno, rivolgendomi specialmente al caporale di cucina che mi contempla i ancora stupito. — Dovete re- zcntltinnlsoszoce•dimerli, eì, se davvero volete essere grandi ! L'uomo mi guarda a bocca aperta, il mestolo in aria. Ha la faccia unta e sudata, ma i suoi occhi parlano il linguaggio del convincimento: — Tiene Unteci, raion, mi comandante — conclude con voce velata. — Usted tiene macho enrazón! Vedo qualche occhio inumidito, qualche gota bagnata. E' un momento di commozione intensa. Una misteriosa corrente di simpatia ci avvolge tutti, come un gruppo di fratelli che si ritrovano dopo una lunga assenza. Maurizio Bassi

Persone citate: Alicante, Maurizio Bassi, Negrin, Valencia

Luoghi citati: Alba, Madrid