Rileggere il Tasso di Francesco Bernardelli

Rileggere il Tasso NEL QUARTO CENTENARIO DELLA NASCITA Rileggere il Tasso Popolare fastoso romantico -- Un critico aggressivo, ossia le " considerazioni „ di Galileo Galilei -- Leggenda e verità ~ L'immedicabile piaga Cade tra pochi giorni il quarto centenario della nascita di Torquato Tasso: 11 marzo 1544. Bene; se ne consiglia la rilettura. Leggere poeti, oggi, antichi poeti? No, non è atteggiamento letterario. Si risalgono i secoli, e per età tristi o liete, appassionate o frivole, ci accompagna, di generazione in generazione, il cantore di Clorinda, di Tancredi, di Armida. Qualcosa di ben nostro, cavalleresco elegiaco musicale, un certo modo romantico di intendere gli eroi — noi che non siamo un popolo di romantici —, una certa sognante immaginazione — noi che ai sogni volentieri opponiamo ironia diffidenze e lucida ragione. —, qualcosa di indefinibile, forse il respiro vasto sonoro commosso della popolarità, risorge, luminosamente, dalle profondità della storia, come da cieli fastosi e tersi di una favolosa infanzia. Tasso: il pili popolare dei poeti italiani. Accuse, difese I gondolieri di Venezia se ne rimandavano le ofc tave, alternando il canto sul le acque verdi dei canali, tra miraggi di giardini di palagi di amori; i boscaioli dell'Ap pennino lo ricantavano, battagliero, eroico; a Napoli, testimonia il Leopardi, con tanto ardore si parteggiava per que sto o quel guerriero della G<? rusdlemme, che, dopo la let tura, « quistionando, talora vengono alle mani, e fino si uccidono». E il Carducci delicatamente distingueva in questo culto del poeta, più e meglio che la memoria, l'affetto. La critica accusò il Tasso di rettorica, di uno stile insieme languido ed enfatico, sfarzoso e minuto. De Sanctis scrive ch'egli « sonò" la tromba dal primo- all'ultimo verso », e il Galilei, polemista dallo scatto vigoroso e celiante, insolentisce gli eroi tasseschi, « tutti creduli e corrivi », eroi che basta un'occhiata per intendere che « son pure finzioni ». Ma alla popolarità del Tasso, gli eroi-personaggi., gli eroi teatrali più che verosimili, e l'intonazione alta, declamata, e l'echeggiare delle trombe, in certo modo forse giovarono. Non soltanto è giusto il motivo, e il monito, cui qualche critico accennò, che a tanta e cosi spontanea, e nell'artificio quasi ingenua eloquenza, si deve consentire se si vuol entrare appieno nel mondo poetico tassesco. Questa è una raffinatezza. Ma si è pur riconosciuto che con mezzi insieme macchinosi e puerili, con una cotale amena falsità diprospettiva, il Tasso, complicato di spirito, sincero di cuore, ha introdotto nel nostro popolo, ha divulgato e reso prestigioso e amabile quello che si dice linguaggio poetico — un linguaggio a sè, che ci distacca deliberatamente da noi stessi, e ci solleva sui nostri affanni, sul rimpianto, sulla malinconia, e trasfigura in bellissime immagini, spettacolose e sentimentali, il vario e drammatico gioco della vita. Mondo lirico, petrarchesco, dice ancora il De Sanctis; e linguaggio rettorico, ma stupendamente persuasivo, perchè dentro c'è l'anima di lui, e quel suo senso di ciò che è patetico, della grazia d'amore, crucciosa estatica dolente, o e e e e Malizia e poesia Non v'è dubbio che il Galilei nelle Considerazioni al Tasso (furono pulilicate l'anno scor so dal Le Monnier) abbia usato acerbità e malizia; ci senti, con la giustezza dell'osserva zione particolare1, un gusto beffardo. Il particolare, la minuzie tra grammaticale e stilistica, offre sempre al critico facile spunto, pronto bersaglio; e nel particolare si potrebbe quasi sempre consentire. Siamo ancora al di qua della poesia, siamo su un terreno — elocuzione logica verosimiglianza — in cui la secca ragione esercita intero il sltccrtc a l suo potere. TI Galilei, poi, all'intarsi©, rotto breve concettoso, del Tasso, a certe sue genericità (abuso della voce cose, abuso della voce grande), oppone la divina, serena concretezza e trasparenza dell'A riosto; all'incertezza irrequieta, labile, a volte inespressiva, alle intenzioni spesso inadempiute, dell'uno, l'arte sovrana, tutta spicco e acquisto di lucidità, dell'altro. Non è difficile dargli ancora ragione. TI Galilei procede per tratti lepidi e piacevolezze. El si mostra a I soldati, e ben lor pare Degno de l'nlto grado, ove l'han posto, E riceve i saluti, e '1 militare Applauso in volto placido, e composto... « e figuratevi — egli commenta — il nastrarsi di Goffredo a' soldati, come la sposa al parentado, e riceve il buon prò con la bocca piccinina e gli occhi bassi... ». Grazioso, piccante. Oppure è l'idillio di Erminia tra i pastori. E Galilei salta su: « Questo è un pastore da recitare in Arcadia in qualche tragicommedia pastorale, e non da parlare in una epica poesia; cosi ragiona In punta di forchetta!... », e invoca il decoro, il verosimile e l'imitazione. Ma quando poi s'imbatte in Tancredi, in quei suoi stupori d'innamorato, in que gli smarrimenti: «Oh che innamorato da mele cotte! » e sclama aggressivo, e: « Dio mi dia pacienza con questo omo! Ah, Tancredi vigliacco, questi son gli atti eroici che tu fai! ». E allora, ditemi, che resta di Tancredi, della ' sua trepidazione, dell' assorta dolcezza, che resta di quegli che si disse essere la figura stessa, trasposta e vagheggiata liricamente, del poeta, quegli che; malinconico Ideale cavaliere, fu dal De Sanctis detto « presentimento di-una nuova poesia? ». L'inabitata piaggia H fatto" è che la mente di Galilei era tutta chiarezza, e la mente del Tasso tutta ombre. Non potevano intendersi. Era il Tasso una di quelle nature che convertono subito, di istinto, ogni ordine di sensazioni, di stati d'animo, di speranze, in patimento; nati a una troppo intensa felicità idilliaci, avidi di vita, avvinti alla vita dai legami teneri e crudeli, di cui parla Bossuet, il loro spirito insaziato, insaziabile, si ritrae precocemente, ad ogni occasione, nell'oscura ansietà della morte. Nostalgie, rimpianto, vaga -aspirazione, indefinito, indistinto desiderare: sono questi gli aspetti benigni del loro male; poi viene di peggio, il terrore, l'immaginazione che si disperde, si corrompe, s'inabissa. Non è la pazzia del Tasso che interessa noi moderni, ma il carattere particolare, tra la coscienza anche troppo lucida e i vaneggiamenti, di quella pazzia. Ombra reale e salda - ti parve il nulla, e il mondo - inabitata piaggia... E Leopardi non ci aggiungeva del suo. Anche al Tasso, pellegrino, errante, sempre In fuga dagli uomini e da sè stesso, anche al Tasso tutta la vita era come un vasto deserto: amori, amicizie, affetti, perduti, naufragati in quel suo male sospettoso, arcano, in quel vano soffrire. V'è una leggenda del Tasso che ben gli si addice; di lui cortigiano degli Estensi, di lui innamorato di principesse, perseguitato da principi. Quanto yi sia di vero, d'accertato in questa storia, la erudizione ha detto approssimativamente. Ma 1 fatti hanno qui scarsa importanza: importa eh' egli fu davvero, nell'agitata fantasia, l'amante, come fu osservato, dell'irraggiungibile, don na o chimera, importa ch'egli uon fu compreso, nè poteva esserlo. Se ogni creatura è sola, insuperabilmente sola, è proprio di questi ammalati sentire fino in fondo, con furore e lacrime, l'inesorata solitudine. Tanto più sentita quanto più bisognosi essi di soccorso. Separati dal mondo, incomunicabili, e pur divisi in sè stessi, doppi, accompagnati dal demone segreto che li sovrasta e li sopraffa. Liberarsi. Il Tasso era di quelli che nella leggiadria del sogni come nell'urto tragico del destino non cercano che la liberazione di se stessi, e sempre ritrovano l'immagine dell'altro, dell'incubo, che, esso si, tra voluttà e peccato, più atrocemente che principi o tiranni, li tiene prigioni. Dall'ospedale di Sant'Anna scriveva al gran medico Girolamo Mercuriale: «ho certa opinione di essere stato ammaliato ». E' il male misterioso, quasi diremmo sacro tanta parte divora di ciò che è intrinseco, necessario all'uomo; una forza petulante e malvagia gli toglie scioltezza e responsabilità, rompe gli argini delja coscienza, i freni armoniosi dell'immaginazione. Ammaliato E quanto più il poeta si sforza di tenere intenta la mente, tanto più è ferito e sconvolto dalle aberranti immagini. Colpa, responsabilità; e quello che dobbiamo a noi stessi, alla nostra libertà. Un'angoscia che è la vita stessa insorgente dal l'inconscio contro di noi: norv sono forse questi gli insistenti motivi della moralità e della poesia moderne? Ma non vorremmo cadere nell'abusata definizione che dell'ultimo vate «d'Italia grande, antica», fece il primo dei poeti moderni. Quanti sono nella storia della letteratura i primi poeti dell'età moderna? gli ultimi del l'antica ? Ci accontenteremo di ripetere che, fra Rinascimento e Barocco, Torquato Tasso fu il più caro alle folle dei romantici italiani. E per quel suo romanticismo, che non è una condizione storica, ma uno stato dell' anima,' per quella sua tristezza e malinconia, gli venne pur fatto di evadere dagli oscuri orrori in paesi di luce, In luoghi soavi, voluttuosi, celesti. E il popolo anche qui, e non solo tra i colpi di spada, lo riconobbe, lo fece suo. Non et destò si elio garrir gli augelli non «enti lieti e salutar gli albori, e mormorar il nume e gli arboscelli, e con l'onda scherzar l'aura e coi fiori... Tasso eroico, e Tasso elegiaco e pastorale. Rileggiamolo pure; che ove. la sua poesia giunge, là si trova il mormorio perenne, il limpido canto, della natura e dell'anima. Ma al Tasso in fuga tra angeli e ninfe accenneremo un'altra volta. Francesco Bernardelli

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