Quegli "amici" dì Radio-Londra di Concetto Pettinato

Quegli "amici" dì Radio-Londra Quegli "amici" dì Radio-Londra Chi ascolta Radio Londra vive, forse, nella pia illusione che l'Inghilterra di Churcnill e dell'arcivescovo di Canterbury arda di sviscerato amore per gli Italiani e per l'Italia. « Ci bombardano, pensa l'infelice, ma ci adorano. Ad ogni bomba che lasciano piovere sulle nostre case, sulle nostre chiese, sui mstri ospedali, sui nostri edifici storici, sulle vie popolose delle nostre città il loro cuore sanguina, i loro occhi si riempiono di lagrime. Come serbar loro rancore per ingiurie inflitteci contro voglia, in omaggio alle spietate leggi della guerra? ». Non c'è, infatti, bisogno di chiamarsi Benedetto Croce, nè di essersi eroicamente dati alla macchia, per sentirsi inteneriti dalla sollecitudine paterna con cui, dalle, varie stazioni della rete radiofonica che ci han tesa dattorno, questi signori ci addottrinano, ci ammoni scono, ci erudiscono, ci consigliano, ci stimolano, ci confortano. Quanta premu< ra! Quanto zelo! Quanta misericordia! Si direbbe, a sentirli, che il pensiero dell'Italia non li lasci dormire dallo struggimento e che la loro prima idea nell'alzarsi, e l'ultima nell'andare a letto sia sempre quella: «Cke, cosa possiamo fare per gli Italiani?». Ci insegnano perfino come • si fabbrica una bomba con una semplice bottiglia, cqme^i immobilizza un carro armato, come si fa deragliare un treno, come si impedisce a una locomotiva di rifornirsi di acqua, come si bucano i pneumatici delle automobili in corsa, come si ostacola la circolazione delle derrate, come si fomentano le agitazioni operaie, come si diffonde la stampa clandestina, come si attenta alla vita dei galantuomini. Stare .in ascolto quando parlano è meglio che andare a scuola.' Sanno tutto, loro: che cosa pensiamo, quanto soffriamo, di che cosa abbiamo bi sogno, quali sono i nostri veri interessi, a cjual partito dobbiamo appigliarci, di chi dobbiamo diffidare e in chi possiamo rimetterci ad occhi chiusi. Un precettore, un'aia, ima balia non potrebbero dar prova di maggior vigilanza e di più trepide cure. Nella nostra Sciagura possiamo davvero dire di esser stati fortunati: abbiamo trovato, finalmente, degli amici, della gente disinteressata che ci vuol bene per noi stessi e che ha traversato i mari, ha reclutato un esercito di dieci popoli, ha armato centinaia di navi, ha fatto sudare milioni di operai apposta per cavarci d'impiccio, per rimetterci l'ordine in casa, per restituirci la pace, assicurarci di che far bollire la pentola e far tornare il sor riso sui volti dei nostri bimbi e delle nostre donne! Co me non votar loro gratitu dine eterna? . Ebbene, decidiamoci a dire a questi troppo ingenui Italiani che le dichiarazioni d'amore di Al bione sono un brevetto d'im becillità a nostro carico. Se a Londra ci credessero un popolo intelligente non farebbero, a nostra intenzione, la propaganda che fanno. Stevens e i suoi accoliti di Algeri, di Bari e d'altri luoghi pretendono, novelli Pier l'Eremita, presentarci la campagna* d'Italia come una necessità ineluttabile — Deus lo vult —, una fatalità storica dalla quale dipende la vita o la morte delle « democrazie » e desumer^ ne che i sacrifici impostici sono fatti nell'interesse del mondo, e quindi anche nel nostro, concludendone che saremmo il più egoista e il f>iù ingrato dei popoli se non i sopportassimo- allegra: mente e col cuore' colmo di riconoscenza. E' ora di far giustizia di questa panzana. La campagna d'Italia, al punto in cui stanno le cose, e pel nemico una campagna inutile. La campagna d'Italia è un'operazione sbaglia ta, pressapoco come lo fu, a suo tempo, la spedizione dei Dardanelli, voluta anch essa da Churchill e anch'es sa condotta con cocciutaggi ne, violenza e scempio d uo mini e di mezzi degni di mi glior'causa. Su un piccolo fronte montuoso, con tre mari alle spalle, si gettano divisioni su divisioni, si rovesciano masse di ferro e di fuoco, si concentrano i mezzi di offesa più notenti: flotta, carri, artiglierie, aviaizione. Ma sperano proprio, a Londra e a Washington, di decidere la guerra in casa nostra? Troppo onore, signori! Possiamo comprendere* che le plutodemocrazie considerino il loro prestigio impegnato nell'operazione e vogliano fare il possibile per salvare almeno la' posta. Ma come la spedizione dei Dardanelli non ebbe sull'andamento dello guerra del Quattordici che un'influenza ac¬ ctrdqrfmcrSentnocrpgprRcin i n ! e r a ¬ cessoria, sebbene fosse stata perduta, altrettanto si dirà probabilmente domani della campagna d'Italia, quand'anche dovesse condurre gli- anglo-americani, col fiato nei denti, fino a Roma. Comunque essa vada, la campagna d'Italia non servirà mai a far vincere la guerra ai due cugini atlantici. Se dall'Adriatico a Cassino e da Cassino alle Pontine non scorresse già da troppo tempo il sangue generoso dei nostri camerati tedeschi, ogni stilla del quale ci brucia l'anima di vergogna, di rimorso e di commozione, perchè solo il nostro sangue dovrebbe santificare le pietre che servono a sbar rare al barbaro la strada di Roma, diremmo addirittura che la campagna d'Italia è, malgrado le ingenti forze impegnatevi, una speculazione politica più che una operazione militare. Come operazione militare; infatti, che cosa potrebbero attenderne i nostri nemici? Tutto quanto essi ponevano ripromettersi dalla guerra in Mediterraneo lo hanno già avuto. Hanno avuto l'Africa, hanno avuto la Sicilia, hanno avuto la Sardegna, la Corsica, Napoli, Taranto, Brindisi, la libertà del mare, la libertà dell'aria. Non hanno ancora Roma: ma quand'anche l'avessero, sarebbero essi per questo di un sol punto più innanzi sul cammino della vittoria? A chi si vuol far credere che per entrare a Berlino la via migliore sia proprio la più lunga, e quella che passa attraverso le due più grandi catene montane del continente? A chi si vuol far credere che i generali ingle si e americani non abbiano ancora capito, dopo le dure prove di questi .ultimi mesi, che sbarcare un corpo di truppe non basta per trasformare un'offensiva in una passeggiata militare ? La campagna d'Italia non e un mezzo per vincere la guerra, è uno stratagemma per farla durare. Essa serve ormai unicamente per non fare il secondo fronte. La sua principale missione è quella di permettere agli anglo-americani di assor dare il mondo con lo strepito delle loro gesta belliche esonerandoli dal cimentarsi sulle coste occidentali d'Europa con un'operazione che si risolverebbe per essi in un cattivo affare tanto in caso di successo quanto in caso di fallimento: in caso di fallimento, per le ragioni che ognuno intende da sè; in caso di successo, perchè il suo primo risultato starebbe forse nell'impedire ai Tedeschi di contrastare più oltre il passo alle orde di Stalin, vale a dire nel promuovere l'invasione sovietica del continente; e in ambo i casi perchè, vinta o perduta, un'offensiva in Occidente si tradurrebbe nella devastazione, dei territori sui quali verrebbe a svolgersi e che non sarebbero più, stavolta, territori italiani, ma francesi, o belgi, o olandesi, cioè di Governi amici, o piuttosto complici e per giunta privilegiati, perchè protetti dall'omertà massonica. E' a questi principii di mero tornaconto tattico che, col solito cinismo anglo-sassone, si sacrifica l'Italia. E' nella lusinga di logorare localmente la Germania, senza tuttavia, beninteso, metterla in» condizioni di non poter contenere più oltre la pres^ sione sovietica. — « Non ci mancherebbe altro! », pensano i conservatori inglesi è per gettar polvere negli occhi del compagno Stalin, è per risparmiare i feudi inalienabili del Grande Oriente, è per tenere comodamente in riserva, al caldo, gli eserciti .accasermati nelle Isole britanniche che si continua a far generosamente, a forza di mercenari, la guerra in casa nostra, a bombardare le nostre città, a calpestare il nostro suolo, a massacrare eroi quali quel colono di Borgo Bainsizza, nell'Agro Pontino, morto difendendo con l'arma in pugno la prò pria soglia, a fomentare il malanimo e la discordia nel nostro popolo, a reclutare e pagare sicari che piantino pugnali e frecce nel corpo straziato della penisola. Altro che amore sviscerato! Altro che paterna sollecitudine. Non fateci ridere. L'unica prova di benevolenza che il colonnello Stevens potrebbe dare ai suoi pupilli italiani starebbe nel tener loro domani, dopo il solito «Buona sera! », un discorsetto di questo genere: « U siamo convinti che continuare la guerra nell'angusto e interminabile corridoio as segnatovi in domicilio da la sorte non ci servirà a nulla. La guerra con la Germania non possiamo vincerla qui. Abbiamo dunque aeciso di trasportare la nostra offensiva altrove e di lasciarvi in rgrpuvtnlegtutblufvatdndpsspcspanmosAassvacbrnpvssRspaTeràcconteVàndòc'rdi te-l nere, con le truppe strettamente indispensabili, le posizioni di cui già disponiamo. Vi abbiamo fatto abbastanza male così. Rinunziamo a farvene dell'altro. Vogliateci benèTe tanti saluti a casa! ». Non esitiamo a confessare che se l'emerito speaker tenesse un linguaggio simile, comprenderemmo, una volta tanto, .la parzialità votatagli dai suoi uditori italiani. Ma nè Stevens nè le altre balie asciutte della sua risma ci diranno mai nulla di simile, e le loro emissioni di propaganda continueranno imperterrite a prometterci, tra un sospiro e una lagrima, tra un consiglio e un rimbrotto, bombe e desolazione, lutti e sangue, odio e carneficina, solo perchè ciò conviene, in questo momento, al giuoco politico e diplomatico delle cosiddette grandi democrazie. Fino a quando noi, Italiani, avremo la dabbenaggine di starli a sentire a bocca aperta e di dir loro grazie ner soprammercato ? Concetto Pettinato

Persone citate: Benedetto Croce, Churchill, Stalin, Stevens