La casa comune N. 6

La casa comune N. 6La casa comune N. 6 Nicola Antonio Sobilev era riuscito a stento a trovare una cameretta nella Casa comune N. 6 di via Sabato di sangue, ohe era poi il vecchio palazzo dei conti Bariscev. Come si sa, uno dei fenomeni di tutte le guerre e di tutte le rivoluzioni è costituito dalla crisi degli alloggi nelle grandi città. Nel 1918, con la guerra e con le due successive rivoluzioni, il fenomeno aveva as sunto a Pietrogrado un aspetto sbalorditivo. I palazzi privati dell'aristocrazia erano stati presi d'assalto e Ja gente viveva accampata in due o tre famiglie per alloggio. A Sobilev e alla moglie Varvaka Filippovna occorse un certo tempo per raccapezzarsi e distinguere Je famiglie, i singoli mariti e le singole mogli, perchè assai spesso capitava loro di imbattersi nella moglie di uno abbracciata al marito di un'altra. A pochi mesi dalla rivoluzione, gli inquilini della Casa comune. N. 6 e in generale tutti gli inquilini delle altre case comuni non avevano più pretese e speranze, null'altro che la voglia di lavorare un po' e di mangiare un po' meglio. Paramento parlavano di politica, quasi sempre parlavano della possibilità di trovare del pane per l'indomani. Ed accettavano qualsiasi occupazione, pur di tirare avanti. La guerra civile ancora in atto non li interessava, nè il commercio in fallimento e l'industria a catafascio. Eppure, avevano fatto con entusiasmo la rivoluzione. Ma i più l'avevano fatta con delle idee ingenue: che le cooperative promesse dalla propaganda distribuissero ca mangiare a gratis, che si potesse entrare in una bottegu e comandare quello che si desiderava senza pagare più nulla, mai più nulla. Avevano fatto la rivoluzione per questo. Altrimenti, non si sarebbero mossi, non avrebbero sfidato le cariche dei cosacchi e le randellate degli agenti. I più, a causa della rivoluzione, erano stati contaminati dalla rabbia dell'improvvisa ricchezza. Dalla rivoluzione non si accontentavano di poco, non attendevano un po' » di benessere, migliori condizioni di lavoro, una vita più umana, meno bestiale. No! "'i erano illusi di potere, o'no, diventare ricco, di 're, cioè, il posto di un .a rivoluzione venne e 'u&ioni se ne andaroi, un vile scoraggiali, prese, condannati com ai a non avere nemmeno ii 'avoro assicurato, malefiziati, inchiodati al tavolo della miseria, tornati più cenciosi di prima. E gridavano, chiacchieravano e non rimpiangevano mai abbastanza di essersi lasciato scappare l'attimo fuggente, quello di farsi ricchi. C'erano tanti palazzi da svuotare, tante botteghe da saccheggiare, tanti nobili e borghesi da ricattare che l'essere rimasti con un pugno di mosche li infastidiva e li corrucciava. Sii Alla prossima rivoluzione, ayrebbero anch'essi rubato quello che potevano, il più che potevano, perchè solo coloro che avevano rubato oro, argento e oggetti preziosi riuscivano a tirare avanti. Oh, che imbecilli non cercare l'oro, l'argento e le pietre preziose, invece di devastare alloggi e botteghe! Fortunati coloro che avevano avuto le buona idea di badare alle casseforti invece di fare baccano, di mettere da parte le argenterie invece di buttare i mobili dalle finestre e che non avevano esitato a tagliare le dita,ai cadaveri per tirarne via gli anelli e a strappare gli orecchini alle donne imploranti ! Questi erano stati i furbi. E adesso tutti li invidiavano ! * Aristarco Georgevic Piodelkin, quello della terza camera a destra nei corridoio, era stato'un furbo. Aveva arraffato anelli, orologi, pacchi di argenteria e persino tappeti e quadri d'autore. E, perciò, benché non fosse più giovane, poteva ricevere sovente delle ragazze. Aveva un magnifico tappeto, spesso come un materasso, sul quale le ragazze si accoccolavano con piacere. Sobilev, al contrario, era stato un cretino. Diceva., per scusarsi, che aveva avuto degli scrupoli, che eli faceva un certo senso fagliare le dita ai cadaveri ej strappare gli orecchini alle donne. Ma, in fondo, 9Ì pentiva amaramente di aver perduto il tempo a gridare, h tirare sassi, a buttare mobili dalle finestre, a partecipare a cortei e a fiaccolate. Sua moglie, Varvaka, non finiva mai di rinfacciargli quegli stupidissimi scrupoli. Per dispetto e anche per un pezzo di pane, Varva'ca andava sovente ad accoccolarsi sul tappeto di Piodelkin. Se Sobilev conoscesse o non i lunghi riposi della consorte sul soffice tappeto del vicino, nessuno 1 10 poteva dire con certezza. Sobilev e Varvaka, in ogni modo, partecipavano volentieri alle riunioni che, quasi ogni sera, avevano luogo nell'anticamera per bere e per ascoltare Gania Ivanovic, il suonatore di balalaika. Gania Ivanovic era un gigante con occhi di fanciullo. Ed era un bruto ed un fanciullo a comando. Gli dicevano di menare le mani ? Le menava senza pietà. Gli dicevano di suonare? Suonava di slancio. Le sue mani erano dure coni*1 pietre, ma, quando suonavano la balalaika, diventavano leggere come ali. Beninteso, era sempre Piodelkin ad offrire da bere. Ogni volta, tirava fuori un paio di bottiglie di vecchia vodka e le metteva sulla tavola con gesto presuntuoso. Teneva che gli altri apprezzassero la sua liberalità e la bontà della sua vodka. Siccome ciò non costava nulla, gli altri erano prodighi di elogi. E intanto, per essere coerenti con le parole, ingollavano bicchierini su bicchierini. Quand'era bevuto, Piodelkin aveva la mania di attaccare delle lunghe geremiadi sulla nequizie dei tempi. — Perchè ti lamenti, Aristarco Georgevic? — gli domandava qualcuno. — Non hai affastellato abbastanza? Piodelkin, che non s'era mai perdonato di non essersi procurato in quei giorni di ottobre un carretto ed un cavallo per affastellare ancora di più, scattava come punto da una vipera. Sì, non aveva rubato abbastanza ! Ed il sentirselo rinfacciare gli faceva venire i nervi a fior di pelle e una gran voglia di menare le mani. Sobilev trovava che 11 momento era buono per scaricare su qualcuno l'oscuro rancore della sua povertà. E copriva Piodelkin d'insolenze. Ne venivano fuori liti rumorosissime, il cui fondo era chiaro: la rivoluzione, invece di avvicinare gli uomini, li aveva allontanati. Prima erano tutti poveri e, benché poveri, si aiutavano a vicenda, uniti come una grande famiglia, la famiglia della miseria. Con la rivoluzione, l'incanto della povertà si era rotto. Avevano capito che non era il destino a segnare i poveri ed i ricchi e che, per diventare ricchi, bastava sapere approfittare delle circostanze e non avere scrupoli. Perciò rotto l'incanto della miseria, erano diventati dei tormentati e degli irrequieti. Si agitavano brancolanti di delusione e pieni di gelosia astiosa. Comunque, per mesi, nella Casa comune N. 6 non successero fatti gravi. La tragedia capitò all'improvviso a irnetà di marzo e non fu la conseguenza di una delle solite liti. Anzi, si può dire che la serata sarebbe trascorsa tranquilla, se la sedia di Varvaka non avesse scricchiolato in modo minaccioso. Per evitare di trovarsi a terra, la moglie di Sobilev andò a sedersi, innocentemente, sovra una panca dove stava Piodelkin. La musica, che Gania suonava in quel momento, era una canzone insidiosa, intessuta di malinconica nostalgia. La nostalgia della canzone prese Varvaka, la commosse e le portò un languido desiderio di carezze e di baci. Sì che, insensibilmente, reclinò il capo contro il petto de! vicino, senza pensare che costui non era il marito ma Piodelkin. Questi, per un po', sopportò il dolce peso senza farvi caso. Poi, alzò la mano e, macchinalmente, prese ad accarezzare il seno di Varvaka che era sodo e tremolante. A quella vista, Sobilev sbarrò gli occhi e si eresse contro Piodelkin, il quale, non avendo nessuna voglia di litigare, pregò Sobilev di lasciarlo in pace: non era stalo lui a cercare Varvaka, non sapeva che farsene e, se la voleva, che se la prendesse ! Offesissima. Varvaka gridò vendetta. E il marito si scagliò su Piodelkin. Avvinti, i due corpi traballarono, oscillarono di qua e di là e finirono per urtare a balalaika di Gania. Gania sollevò il capo seccato. Per alcuni secondi, seguì con l'occhio il viluppo umano. Poi, si alzò in piedi ed allungò le mani. Sicuramente, voleva separarli, separarli soltanto. E, difatti, un primo tentativo di staccarli, tirandoli per le braccia, fallì. Gania, allora, insinuò le mani fra i due e, prendendo il collo di ognuno fra l'indice ed il pollice, spinse con violenza. Sobilev e Piodelkin si staccarono di colpo. Per un istante, rimasero in piedi compiendo un giro su se stessi, poi ii piegarono sulle ginocchia e caddero afflosciati ed inerti, come burattini. Più tardi, venne la polizia, fece rimuovere i due cadaveri e portò via Varvaka che strillava e Gania Ivanovic che sosteneva di non averlo fatto apposta. Paolo Zappa

Persone citate: Aristarco, Aristarco Georgevic, Gania Ivanovic, Georgevic, Nicola Antonio Sobilev, Paolo Zappa, Varvaka Filippovna

Luoghi citati: Pietrogrado, Sobilev