Il segreto della prosperità di Concetto Pettinato

Il segreto della prosperità Popoli poveri e popoli ricchi Il segreto della prosperità Un operaio, anzi un gruppo di operai, ci scrivevano giorni fa confidandoci di essere stati vari anni a lavorare all'estero e di esservisi trovati bene, mentre, tornati in Italia, vi si trovano male, e protestandosi scandalizzati che si possa esortarli a prendere le difese di un paese dove si sta male contro i paesi dove si sta bene. Abbiamo sempre avuto un debole pei nostri operài, dei quali ci è occorso " studiare, appunto, in più d'una occasione la vita all'estero, specie in Francia, e che abbiamo sempre considerati l'elemento più ricco d'avvenire della società italiana. Potremmo aggiungere che quello che a suo tempo ci,portò verso il Fascismo furono la Carta del Lavoro e le realizzazioni sociali intraprese dal Partito intorno al 1927, allo stesso modo che quello che oggi più ci lega d'affetto al là Repubblica è l'indirizzo sociale che essa vuol darsi e il piano arditissimo di sta' tizzazione e di socializzazione cui si è impegnata. Non siamo, dunque, sue cubi del « grasso borghese » nè teniamo bordone agli « sfruttatori del popolo ». Siamo, noi medesimi, ed è il nostro unico orgoglio, uomini di lavoro, dolorosamente consci dell'inferiorità del tenore di vita dell'italiano a paragone del suo contemporaneo straniero e impazientissimi di vederla cessare, e pronti a tutto Eer assecondare lo stailirsi in Italia di uno stato di cose che soddisfi finalmente il nostro senso della giustizia e dell'armonia sociali. Non abbiamo mai coltivata la comoda filosofia di quei servitori dell'ordine vigente che, nel nome di Cristo, predicano agli umili la supina ', rassegnazione, tacciandoli di basso materialismo non appena manifestino la pretesa di viver meglio, e promettendo loro il benessere a ritardamento, la pacchia nel mondo di là. Al contrario, abbiamo sempre cordialmente invidiato quei fortunati paesi dove l'operaio, il contadino, il piccolo impie^ gaio possono permettersi fl lusso di un comodo alloggio, di un vitto sano e abbondante, di un ve stiario decoroso, di letture e di passatempi adatti, essendo sempre stati dell'opinione che nessun paese sia felice e nessuna civiltà gran, de quando l'uomo del popolo sta male. Nè -trovaron mai grazia ai nostri occhi quegli annosi farisei a detta dei quali non si dovrebbero pagar troppo gli operai ne lasciare guadagnar troppo i contadini perche ciò non serve se non a procurare agli uomini i mezzi di frequentare l'osteria e alle donne quelli di portare calze di seta! La coscienza nazionale di un popolo nasce proprio col possesso della prima dose di superfluo, e i lussi degli umili non ci hanno mai fatto paura. Non diciamo questo, ben inteso, per farcene un vanto. Non siamo i soli Italiani a pensarla così e, se proprio non dovessero essercene altri, ce ne sarebbe .pur sempre almeno uno, quand'an-» che parecchia gente finga dimenticarsene, e uno che vale per molti: Mussolini. Ma, chiudendo la parentesi, rispondiamo al gruppo di operai cui accennammo in principio che il loro ragionamento pecca—per eccessivo semplicismo. E' vero, purtroppo, che nei maggiori paesi civili si sta meglio che non in Italia, ma limitarsi a una constatazione di tal genere non significa nulla. Perchè un popolo viva bene non basta apporre una firma sotto un decreto o sotto mille: bisogna fare del suo paese un paese prospero. Ora giungere alla prosperità non costituisce, per uno Stato, un affare di ordinaria amministrazione : forma l'opera di secoli, il frutto degli sforzi e dei sacrifici di molte generazioni. L'Inghilterra è un paese prospero, la Francia e un paese prospero, gli Stati Uniti sono un paese prospero : ma credono sul serio 1 no stri operai che quella prò sperita sia stata acquistata per virtù di miracolo ? La ricchezza britannica, che al momento in cui scriviamo non rappresenta forse più essa medesima se non un abito mentale sostenuto da un consorzio di creditori ipotecari, data, a dir poco, dalla seconda metà del secolo XVIII e venne creata con le lagrime e il sangue degli operai e dei contadini sulle basi gettate un secolo e mezzo avanti, al tempo dei Tudor, dallo schiavismo dei negrieri di Bristol e di Liverpool. Prima di colpire d'ammirazione l'immigrato italiano, l'Inghilterra moderna riempì d'orrore e d'odio il lavoratore britannico. I fasti di quell'utili tgRn a i e o e tarismo benthamiano di cui gli ultimi epigoni ci parlano oggi dai megafoni * di Radio Londra riempirebbero di confusione più d'uno dei nostri incauti panegiristi delle libertà d'oltre Manica. Ne*vogliam qualche esempio? Nel 1814, con la caduta di Napoleone e la fine della guerra continentale, cadono le restrizioni che il sentimentalismo settecentesco aveva poste all'impiego inumano della mano d'opera. Nel 1815, su diecimila lavoratori delle filande scozzesi i due terzi constano di donne e la metà dell'altro terzo la forniscono, per pochi pence, i fanciulli. L'anno appresso i giudici di pace vengono autorizzati a sciogliere come sediziose le riunioni di più di dodici popolani. Nel 1819, coi massacri della cosidetta « Peterloo », incomincia il terrore bianco. Nel 1825, mentre i profitti dell'aristocrazia manifatturiera ingigantiscono, le paghe degli operai, si assottigliano sino a ridursi, in certi distretti, a quattro pence e mezzo il giorno. Nel 1830 nascono le Troie Uniona, ma la magistratura dichiara illegali i loro tentativi per far migliorare i salari. Nel 1833 gli industriali si rifiutano a dar lavoro a chi non rinneghi per iscritto.il tradunionismo. Nel 1841 dodicimila famiglie di Manchester e un quinto della popolazione di Birmingham vivono della carità pubblica. I cinquant'anni migliori dell'egemonia mondiale inglese uscirono, insomma, dalla miseria nera del nascente proletariato. Per arricchire, gli industriali dovevano produrre su larga scala, ma per produrre su larga scala dovevano vendere a buon mercato, e per vendere a buon mercato dovevano pagar male gli operai. Fu dunque, contro questi ultimi, una lotta senza quartiere, avallata dalla più spietata delle morali, la morale del Taigeto e di Carlo Darwin : «Chi non è in grado di sopravvivere, sparisca». Se la « canaglia » trovava la propria sorte trr^po dura, seguisse, tutt'al più, i consigli di Malthus e di John Austin : imparasse il birth control, limitasse le nascite ! Gli Inglesi non limitarono le nascite, ma si rassegnarono a sgobbare e a soffrire affinchè l'industria nazionale conquistasse i mercati dei due emisferi. E quando li ebbe conquistati fornirono allo Stato le entrate necessarie per dotarsi della prima flotta del mondo. E quando ebbero la flotta permisero ai loro uomini di governo, da Palmerston a Disraeli e da Joe Chamberlain a, Lloyd George, di piantare la bandiera nazionale ai quattro capi del globo. La prosperità inglese fu il guiderdone di questo immane sforzo collettivo, al quale i capi concorsero con l'accortezza e la esperienza, ma le masse con la fatica, la costanza, la lealtà, i risparmi, lo slancio, la poesia. E che dire della Francia? Anche in Francia, nel 1938, l'operaio poteva offrirsi ij lusso di una buona bistecca a colazione e una a pranzo. Ma per giungere a tanto aveva dovuto sopportare virilmente secoli di stenti e combattere guerre su guerre, era passato come la salamandra attraverso innumerevoli incendi, aveva patito disfatte è se n'era rialzato, aveva riportato vittorie e si era visto strappare il frutto delle medesime,' ma aveva finito col racimolare un Impero e ora mostrava : denti a chiunque osasse rivendicarne un pezzetto, sebbene in realtà vi nuotasse dentro come in un vestito troppo grande. Gli Stati sono come le famiglie: diventano ricche quelle dove non si ha paura del viver duro e non si attende la fortuna dal gioco del lotto. Noi Italiani, dalla metà dell'Ottocento, ci siamo rimessi a lavorare di lena: ma abbiamo tuttora il fiato corto. Le difficoltà ci spaventano, uffa speculazione fallita ci abbatte, un'impresa di vaste proporzioni ci disorienta: le vicende e i patemi di animo della nostra storia africana insegnino. Si vorrebbe la prosperità, la ricchezza, il benessere : ma guai a chiederci di pagarne il prezzo! Tutto dovrebb'essere gratuito. Aite le paghe, bassi i costi, attive le industrie, facili i mercati, sana la moneta, equilibrato il bilancio pubblico, buone le relazioni internazionali: ecco il nostro ideale. La saggezza popolare direbbe: la botte piena e la moglie ubbriaca! Senonchè, per disporre di tante ragioni di felicità bisogna averle meritate, e per meritarle non basta essere un buon operaio, un bravo contadino, un impiegato scrupoloso, una massaia diligente. Le virtù private sono una cosa, le virtù civiche un'altra. L'emigran- te che va all'estero, come i nostri interlocutori di cui sopra, è nove volte su dieci una brava » persona, atta a occupare con profitto un posto di-fiducia in uno stabilimento di Brooklyn o di Detroit, di Aubagne o di Lilla, facendovi onore al lavoro italiano : ma, quale cittadino, l'Italia non ne cava nulla. Egli segue là legge del minimo sforzo: va ad allinearsi sui ranghi di popoli che hanno già fatto, lottando e dolorando, la loro fortuna, e procura di approfittare, quatto quatto, dei vantaggi della situazione, pressapoco come l'ebreo, che corre il mondo in cerca di una nazionalità, di un mestiere, di un nome al coperto dei quaii prosperare col minimo di spese d'impianto. Ma per l'Italia è perduto; e quando non è perduto e ci torna, vi si trova male e non vede l'ora di andarsene un'altra volta. Signori, se per dannata ipotesi la guerra non saremo^noi a vincerla, domani potrete liberamente sciamare attraverso il mondo e andarvene a godere gratis frutti della prosperità ame ricana, australiana, Canade se, eccetera. Buon prò vi facciano! Se vi attirano le miniere inglesi t quelle sudafricane, i cantieri edilizi per la ricostruzione dell'Inghil terra e gli impianti indù striali per la ricostruzione della Russia, il piano Beveridge e lì liberta di sciopero, ques.a nostra povera Italia, cAe oggi vi offre la più audace e la più bella delle riforme sociali, sarà probabilmente troppo -povera per distogliervi dal rispondere al loro appello. Laggiù vivrete meglio, può darsi, e darete pagati in moneta alta. Ma ricordatevi che i grandi popoli non si sono mai fatti mettendo le proprie braccia al servizio altrui. I grandi popoli si fanno soffrendo, i "randi destini nazionali si foggiano a forza di sangue, di lotte e di sacrifici, e nessuno ha ancora scoperto l'arte di appropriarseli di contrabbando. Concetto Pettinato

Persone citate: Beveridge, Disraeli, Joe Chamberlain, John Austin, Lloyd George, Mussolini, Tudor