II piccolo fiore

II piccolo fiore II piccolo fiore Si discusse a luTtgo. quella sera,, in casa di Martiri Martinic a Gorloka, ma nessuno seppe dire di chi fosse la novella, la prima di un vecchio volume, al quale mancava il frontespizio e qualche pagina. Certo, non di Puskin perchè la storia si svolgeva dopo il 1870. Qualcuno prospettò la ipotesi che fosse di Cekov. Ma Cirillo Mikailovic, che ne aveva letto tutte le opere, lo escluse. Comunque, era una novella poco ortodossa per i tempi, tanto che tutti gli ospiti di Martin Martinic si meravigliarono che la censura zarista l'avesse lasciata passare. Narrava la storia di una ragazzina di nobile famiglia che s'era messa in testa di visitare i panettieri del forno di via Santa Catarina. A quel tempo, i fornai erano^ancora considerati e trattati da servi e conducevano una vita miseranda. La ragazzina, Nadia Feodorovna Juboviskaja, fece tanto i capricci che la madre, alla fine, dovette accontentar la e con l'istitutrice la mandò dal padrone del forno. Era costui un grosso uomo con una grossa pancia e dei grossi baffi girati all'insù e poi rivoltati all'ingiù come corna di bisonte. — L'eccellentissima contessa Juboviskaja — gli disse con sussiego l'istitutrice — vi prega di fare vedere i fornirei! i fornai alla giovane contesg sina che ho l'onore di accompagnare. Il padrone del forno ne re etò allocchito. — Per me, — rispose lisciandosi i baffi — non ho nulla in contrario. Ma non ve lo consiglio. Sono delle canaglie e... degli sporcaccioni... Si lisciò di nuovo i baffi e, abbassando la voce perchè la bambina non lo sentisse, aggiunse : — Stanno sempre con gli occhi puntati sulle donne che passano sul marciapiedi. Le guardano di sotto attraverso le inferriate per vedere le loro mutande... Sono degli spor caccioni... E squittì con un risolino esile ed acuto che stonava con il suo corpo grasso e la sua bocca da forno. Alla fine, ripetè : — Non sono gente da fare vedere alla contessina... — Ma la contessina insiste e, poi. questo è il desiderio della ignora contessa. Davanti ad un desiderio della contessa Juboviskaja, la istitutrice non discuteva. E nemmeno il padrone del forno discusse più a lungo. Fece passare le due visitataci nel retrobottega e accese una lampada fumosa. Attraversarono una parte del cortile e discesero per una scala i cui gradini erano smozzicati ed umidi. Il padrone raccomandava continuamente a Nadia di fare attenzione. — Non vorrei che... Una disgrazia è sempre possibile. Piano, pianino... Che San Spiridione vi protegga... Adagio... Finalmente , arrivarono senza guai in una cantina molto lunga, una specie di largo corridoio ad arcate basse. — Questo è il dormitorio... Il padrone alzò la lanterna Con l'aiuto della lampada fumosa, Nadia vide sopra alcuni tavoloni numerosi soprabiti di cotone imbottito, alcune pellicce di montone spellacchiate e dei fagotti. Poi, passarono negli stanzoni dei forni. Molti forni avevano le bocche aperte e le loro fiamme si riflettevano sui volti dei fornai accentuandone i tratti e deformandone le fisionomie, sì che parevano dei demoni che alimentassero le fiamme dell'inferno. All'arrivo del padrone, si levarono il berrettuccio che quasi tutti portavano sull'orecchio. Uno solo non se lo tolse. Aveva una faccia grinzosa, coperta da una barba ispida e caotica. Con il berretto in testa, costui si rivolse verso il padrone: — Proprio voi, si aspettava. Sono 11 ore di fila che lavoriamo e... Non ebbe il tempo di finire il suo pensiero che. sotto una violenta sferzata, il berretto gli volò via e la testa gli si pietro da un lato. Anzitutto, — barbugliò inpzktndtcsvslgqeemlgesebggpasssctcsdlc il padrone — ti insegno io a non salutare ! Circa le tue proteste, poi, vedremo... E, senza badargli oltre, alzò la lanterna e disse: — La contessina Jubovis kaja è venuta a trovarvi. Certo, non vi meritate tanto onore... Seguì un lungo silenzio. Nadia 6Ì sentiva guardata da tutti. Ma non erano sguardi cattivi. Ne erano soltanto sguardi di stupore e di meraviglia, ma sguardi umili e sottomessi, sguardi di benevolenza, di gratitudine e di ringraziamento. Mai nessuno di quelli che vivevano nel sole e nella luce era sceso fino ad , „: . i • , il i essi, sei a chinato bulla loro miseria, era andato a portare|loro un^orriso. Quest'era una grazia del cielo. Fuori, forse era già primavera avanzata se uri fiore così bello e fragile era sbocciato nel sottosuolo buio. E tutti sorridevano con gli occhi e con le labbra. Solo gli occhi dell'uòmo che s'era presa la frustata conservava no qualcosa di duro. Nadia avrebbe voluto parlare, sorridere a tutti e scusarsi presso l'uomo della scudisciata. Ma nessuna parola le venne alle labbra e nemmeno un sorriso Un nodo la soffocava in gola Ed era talmente confusa che finì per incespicare in una fascina di legna. Stava per cadere, quando l'uomo che s'era presa la scudisciata si chinò velocemente e la tenne su. Nadia provò allora un'impressione inattesa. Le grosse mani callose dell'uomo le parvero leggere. Quasi non si accorse di essere stata toccata e sostenuta. Alzò turbata lo sguardo. L'uomo le sorrideva con un largo sorriso degli occhi, mentre le sue labbra pronunziavano : — Non farti male, piccolo fiore ! E continuò a sorriderle, limile e dolce come gli altri, gli altri che. adesso, sospendendo per un attimo il lavoro, fissavano il compagno con sguardi di gelosia, gelosi di lui che l'aveva tenuta e seccati di non essere stati loro ad aiutarla perchè non cadesse. E con voce frettolosa borbottavano che essi pure sarebbero stati capaci di sorreggerla 6enza farle del male e senza sporcarla con le loro mani sporche. A casa, Nadia non si sentì di mangiare. — Che hai? — le domandò la madre. — Niente, ma non ho fame. — Non si ha fame quando si è malati o si vogliono farp i capricci. — I capricci sono da escludersi — -intervenne ['istitutrice — Voleva vedere i fornai e stamattina li ha veduti — Ed è per questo che non mangio! — replicò Nadia. — Certo, erano dei brutt' tipi. Facevano paura! — A me non hanno fatto paura, ma pena... La contessa si mise a ridere Nadia non aveva mai veckito la madre ridere così. Con la forchetta, la piccola prese una pagnottella e disse : — Per fare questo pane debbono lavorare e soffrire... — Sentitela, conte! — rise forte la contessa. — Fa della demagogia. A sua volta, la madre sollevò un pezzo del fagiano servito a tavola e lo sbandierò davanti alla figlia: — E' come se' io non mangiassi il fagiano pensando che era un ber fagiano e che, po- - B. ' ' Ibrutti. Cile cosa ha che fare, pa- veretto, è finito nella della... — I\Ia i fornai — osservò Xadia — non sono fagiani, sono uomini. — Che uomini'... — gridò ia madre. — Sono servi!... — Sono pur sempre degli... La madre le troncò la frasr =ulle labbra. — Sono quello che sono. Sono nati servi e restano servi. Si rivolse al marito : — E' come nascere belli o conte, chi è nato brutto? — Nulla ! — rispose il con te. — Rimanere brutto. — Vedi, cara mia. Non c'è nulla da fare. Sono nati servi ed il destino di servi è di lavorare e soffrire. Lascia li al loro destino e mangia con buon appetito ! Paolo Zappa

Persone citate: Cirillo Mikailovic, Martin Martinic, Nadia Feodorovna Juboviskaja, Paolo Zappa, Puskin

Luoghi citati: Cile