PESCIANI D'OGGI di Concetto Pettinato

PESCIANI D'OGGI PESCIANI D'OGGI Durante quell'altra guerra li chiamavano « pescecani». Beninteso, era quella la traduzione italiana di un appellativo francese. Questa volta i Francesi dissero marche noir, e noi ripetemmo : « mercato nero ». Confessiamo che la prima qualifica ci piaceva più della seconda. Ci piaceva di più perchè colpiva dritto come una fucilata, mentre quella che ne ha preso la successione tradisce un certo qual desiderio di confondere le carte in tavola, annegando nel nero le responsabilità e facendovi perdere le tracce dei colpevoli. L'altra guerra fu vinta mercè due vocaboli che, al momento critico, agirono sul corpo dei popoli dell'Intesa come due iniezioni antitetaniche. Questa volta ambedue i vocaboli sono stati relegati in soffitta. Di « imboscati » non si parla più, perchè il termine porrebbe in imbarazzo troppa gente. Ma non si parla più nemmeno di « pescica ni », il che a tutta prima sembrerebbe meno facile da comprendere, mentre in realtà è altrettanto logico Venticinque anni addietro si dava infatti la caccia al l'imboscato: oggi lo si coltiva. Venticinque anni fa non si dava la caccia ai pè scicani, prova ne sia che dalla guerra ne esciron vivi a milioni, ma si sputava lo ro addosso: oggi dei pesci cani non si parla, perchè agli occhi di molta gente, e osiamo dire di buona parte delle loro vittime, sono de> gli eroi nazionali. Tramontato così il pesce cane, è sorto il mercato nero. Ma il pescecane aveva un no me, un cognome e un indirizzo: il mercato nero si vanta anonimo e irreperibile. Il pescecane si faceva segnare a dito e votare al fuoco eter no, lui, sua moglie e i suoi eredi sino alla settima ge nerazione: il mercato nero ha un'aria gentile e filantro pica, un'aria da Cireneo che per poco non induce la gen te a prenderne le difese Non abbiamo forse sentito esclamare le mille volte: « Guai se non ci fosse il mercato nero ! Come fa remmo a vivere? ». Il mer, cato nero è un po' come l'Austria di una volta, che se non ci fosse stata, biso> gnava inventarla. A rischio di attirarci l'osti lità dei fautori dell'istituzio ne, confesseremo, comunque che non abbiamo maggior tenerezza pel mercato nero di quel che non ne avessimo pei pescicani. Non abbiamo maggior tenerezza perchè per noi l'uno non è in realtà più anonimo e irreperibile di quel che fossero gli altri. Il .mercato nero non è figlio dell'operaio o del piccolo impiegato che va a cercarsi in campagna i due chili di patate, la mezza dozzina di uova o l'etto di grassi che non gli danno con la tesse ra: è l'opera dei produttori agricoli e degli intermediari. Ora i produttori agricoli si sa chi sono e dove stanno di casa, e si dovrebbe anche sapere quanto nroducono. Il produttore agricolo, che in tempo di pace può esser considerato uno speculatore come un altro, in tempo di guerra, è un debitore della nazione. Dell'entità del suo debito testimonia, senza bisogno di astruse perizie, la sua produzione media de gli anni normali. Si potrà arzigogolare sul rapporto foraggi-bestiame, esposto a subire in ogni momento il contraccolpo di una situazione anormale del mercato e degli scambi, ma a scarse discussioni dorrebbero prestarsi gli altri grandi cespiti dell'azienda rurale: cereali, vino, oli, erbaggi, frutta. Sono dominii da ritenersi esplorati da un pezzo, in un paese che da molti anni praticava il regime degli ammassi e che, attraverso la sua molteplice azione per l'incremento della produzio. ne, aveva avuto mode di sorvegliare molto davvicino lo stato delle culture nelle varie regioni. Se le derrate previste non si trovano più, se gli ammassi restano vacanti, e evidente che il debitore rurale non consegna più alla nazione quello che le consegnava prima. Imputare questi ammanchi alle sole requisizioni militari non ha senso. La ragione del fenomeno è molto meno rudimentale e, oseremmo dire, più scientifica. Le derrate scompaiono o si rarefanno per un motivo analogo a quello che in Brasile e in Argentina, per esempio, spinge i produttori a bruciare il grano nelle locomotive o a buttare il caffè nell'Atlantico e che in qualche paese europeo spingeva in altri tempi ì pescatori a riversare in mare le ceste di pesce quando se n' era pescato troppo: la volontà di tener su i prezzi. Il mercato nero non è l'effetto di una vera e propria carestia: è il risultato di un ducilo a morte fra prezzi politici e prezzi economici. La merce scompare perchè il produttore ha maggior interesse a vzmtliem n a o a à a l i n r venderne poca ad alto prezzo che non molta a buon mercato. La merce scompare perchè il produttore la tesaurizza più volentieri delle banconote che potrebbe incassare vendendola. Allorchè non può tesaurizzarla, il produttore la consuma. Se osserviamo davvicino il tenore di vita delle classi rurali in tempi di « carestia », vedremo, infatti, che esso è molto più largo che non in tempi di prosperità. Giacchè quando dominano prezzi economici il contadino rinuncia di gran cuore al burro e all'oca per portarli al mercato; ma allorchè dominano i prezzi politici, mangia da sè l'uno e l'altra, imprecando — per poco che ci sia qualcuno a sentirlo — contro la nequizia dei tempi. In tutti i paesi che hanno fatto delle rivoluzioni o che hanno attraversato delle crisi con ripercussioni monetarie si è sempre verificato lo stesso fenomeno: le città stentavano a nutrirsi, le campagne nuotavano nella abbondanza. Decine di rivolgimenti sociali sono nati in campagna e morti in città. Ma in Italia l'accapigliarsi dei prezzi politici e dei prezzi economici ha fatto sì che gli agricoltori, •beniamini della fortuna, abbiano avuto agio di sfruttare la crisi in due modi, anzi in tre : quando vendono in piaz za, quando vendono al mer cato nero, e quando non vendono affatto. Nel primo ca so si ha il fenomeno dei cavoli e delle carote a 8 lire, del carciofo a 10 lire, del cardone a 20 lire, delle me le a 26 lire, delle noci a 40 lire, del vino scadente a 18 lire, e così via. Nel secondo caso si ha quello del burro a 20 lire l'etto o dell'olio a 1000 lire il fiasco. Nel terzo caso si ha la latitanza del prodotto tesserato. C'è forse bisogno di dire che il contadino fa un buon affare in tutti e tre i casi e che il consumatore non lo fa in nessuno dei tre? Il disordine regnante sul mercato ha avuto l'esito paradossale che non sia oggi più una contraddizione, per il produttore italiano, riescire nel duplice, inverso gioco di prestigio di occultar le derrate e insaccar banconote, sottraendo insieme alla circolazione materie prime e mezzi di pagamento, cioè facendosi, in omaggio ai propri interessi privati, due volte causa di malessere e di impoverimento pubblico. Il che sarebbe ancora poco, se al pescecanismo rurale non si alleasse il pescecanismo urbano, l'arrembaggio sfrenato dei prodotti da parte degli intermediari. Fattore di crisi, questo, di gran lunga più odioso e funesto del primo, giacchè, oltre ad avere di fronte al paese attenuanti morali e benemerenze di classe che all'intermediario mancano totalmente, l'agricoltore è uno, mentre gli intermediari sono parecchi; l'agricoltore è alle prese con una macchina di controllo — dagli uffici di alimentazione agli uffici annonari, dal Consorzio alla Zootecnia — incresciosa, e talora inutilmente incresciosa, alla sua stessa tradizionale pazienza mentre l'intermediario non è alle prese con nessuno; l'agricoltore ha un domicilio e paga le tasse, mentre l'intermediario ha il dono della ubiquità ed è ignorato dal fisco; l'agricoltore suda nei campi mentre l'intermediario passa la vita al caffè. Se entrambi concorrono a creare il mercato nero, la vera incarnazione di questo è il secondo dei due : il « bagarino ». E' il bagarino che, senza licenze di esercizio nè inscrizione nell'albo, nè preparazione professionale, incetta burro e formaggio nelle cascine recitando sull'aia la parte del Diavolo tentatore, è il bagarino che fa sparire dalle farmacie l'olio di ricino, la glicerina e il bismuto necessari a eseguire la ricetta del medico per offrirli a quintali ó a tonnellate al capitalista desideroso di « impiegar » del denaro, è il bagarino che, in forma di avvenente donnetta o di servizievole amico, ti vende in una camera d'albergo il taglio d'abito a 7 mila lire o sulla soglia del parrucchiere la scatola di saponette a 500 lire. Questo bagarino, dovremmo proprio rinunziare a mettergli la mano addosso? Siamo convinti, al contrario, che, con un po' di buona volontà, nemmeno per lui la bazza durerà a lungo. L'agricoltore verrà messo a dovere accertando attraverso gli organi sindacali il volume reale della sua produzione e obbligandolo a consegnare al mercato ufficiale le percentuali dovute, pena una requisizione di bestiame e delle ammende pecuniarie adeguate, cui potrà aggiungersi il rifiuto delle ordinarie assegnazioni di concime, mangime, benzina, ed even¬ mrtvc tualmente, come suggerirebbero alcuni, l'obbligo di procedere a un deposito cauzionale che garentisca le regolari consegne agli ammassi. Ma l'intermediario, per lo meno il grosso intermediario, non più difficile da identificare, con un po' di buona volontà, di un filibustiere comune, potrà venir colpito, e duramente, almeno in sede fiscale. Esisteva una volta in Italia una Guardia di Finanza che sapeva assolvere assai bene l'ufficio suo e che oggi, sospeso il traffico marittimo e il contrabbando costiero, non dovrebbe aver molto da fare. Perchè non mettere a frutto, in collaborazione con la G. N. R., il concorso di "quest'arma, che all'epoca di un generale Nasi, dì un ge nerale Di Benedetto rese già al paese servizi eminenti? pescicani del mercato nero ci guadagneranno almeno di non vedersi incollati al muro, come è giusto destino dei traditori della patria. E sarà questo, per loro, sempre un ottimo affare. Concetto Pettinato

Persone citate: Di Benedetto, Giacchè, Nasi

Luoghi citati: Argentina, Austria, Brasile, Italia