Perchè la guerra non può essere perduta di Concetto Pettinato

Perchè la guerra non può essere perduta Perchè la guerra non può essere perduta Uno dei fattori che più gravemente ostacolano il rinascere della fiducia delle masse italiane nell'avvenire della Repubblica è la loro sfiducia nella vittoria del Tripartito. Nello stabilire la genesi della tragedia italiana del 1943 non bisogna perder d'occhio questo dato capitale. Se al quarantasettesimo me^e di guerra la piazza avesse, da noi, creduto nella vittoria come ci credeva al decimo, nemmeno le congiure più diaboliche, nemmeno gli intrighi più infernali avrebbero potuto nulla contro il regime. Gli Italiani non sono un popolo abbastanza disinteressato da fare una rivoluzione unicamente pel gusto di mettere un'ideologia al posto di un'altra. E d'altronde il 25 luglio non ebbe nulla che permettesse di prenderlo per una rivoluzione. Il 25 luglio fu il classico passaggio dal campo del presunto vinto in quello del vincitore putativo, cioè una manovra precauzionale, un gesto affaristico, un modo di salvare la posta o di coprirsi contro i rischi, qualcosa di analogo, su scala più larga, a quel genere di prudenza che spinge il savio cittadino a met tersi il distintivo di un partito quando questo partito è al potere e a toglierselo quando non c'è più. Vero è che il sabotaggio del nostro intervento mìli tare cominciò dal giugno del 1940, quando ancora nessuno avrebbe osato elevare il menomo dubbio sull'esito del conflitto, e può quindi esser considerato indipendente dalle vicende della guerra, fattore attivo e non passivo, causa e non effetto delle sciagure nazionali e come tale, tra parentesi, più d'ogni altro degno d'infa mia: ma il sabotaggio definitivo, la ragione immediata del crollo italiano ebbe natura politico - psicologica e fu conseguenza dei giudizi pessimistici formulati sull'evoluzione degli eventi bellici. Qual'è la frase che Vittorio Emanuele non cessava di ripetere, passeggiando avanti e indietro, durante il drammatico colloquio con Mussolini in Quirinale la mattina del 25 luglio? « La guerra è perduta! ». La guerra è perduta: in queste quattro parole c'è tutto: il colpo di Stato e il tradimento, il « quartarellismo » dei Quarantacinque giorni e l'armistizio, la resa della flotta e il collare dell'Annunziata al cugino Stalin, l'esodo verso la macchia e la renitenza alla leva, Radio-Bari e l'« attendismo ». Ora è vero che la guerra è perduta? La guerra non è perduta, e osiamo aggiungere che non lo sarà. La defezione italiana ha fatto il possibile per infliggere alla causa del Tripartito un colpo mortale, ma non, ci è riuscita. Considerata nelle sue grandi linee, l'azione bellica anglo-americana si dimostra ancor oggi, ad onta dell'offensiva su Roma, che virtualmente era scontata da molto tempo, priva di proporzione con la vastità dei compiti da assolvere. La falla aperta dalle nostre divisioni tradite e sbandate è stata colmata. L'abbandono dell'Africa, se ha permesso al nemico di assicurarsi la padronanza del Mediterraneo ha in compenso, ridotto i compiti difensivi della Germania. In Russia il fronte è stato arretrato ma non ha subito rotture nè ha dato luogo ad accerchiamenti di forze tedesche. Per di più, la proroga incessante dello sbarco anglo-americano in Occidente autorizza in sede politico - diplomatica sospetti singolari, qualcuno dei quali è trapelato dalla polemica anglo-russa a proposito delle pretese trattative di pace anglo-tedesche: quello, ad esempio, che i plutocrati inglesi comincino, malgrado la loro manìa di risolvere i problemi uno per volta, a rendersi conto della stupidità di aiutare la Russia a invadere l'Europa senza avere la menoma garenzia di poternela ricacciare al momento voluto. In Estremo Oriente, d'altra parte, la situazione è stazionaria, il Giappone si consolida sulle posizioni conquistate, gli Stati Uniti segnano il passo, la Cina è inattiva. Tirate le somme, il bilancio non è affatto quale se l'immaginano le varie centinaia di migliaia di Italiani che passano le loro serate a bersi a piena cannella le emissioni di Radio-Londra. Non è il caso di ballare dall' allegrezza, d' accordo, ma non è nemmeno il caso di disperare. La partita è tutt'altro che decisa, e anche un orbo vedrebbe che se l'Italia avesse fatta sul serio, nella guerra, la parte che le spettava, mobilitando sin dall'inizio cinque o sei milioni d'uomini e mandando la flotta a battersi quando un colpo bene assestato poteva compromettere irrimediabilmente s , i e e la situazione degli Inglesi in Mediterraneo, a quest'ora il punto critico della lotta potrebbe essere superato da un pezzo. Le deficienze italiane, che non furono tutte italiane, per verità, e che in parte vanno imputate ai concetti strategici generali prevalsi durante le diverse fasi del conflitto nei consigli del Tripartito ma che culminarono, per disgrazia nostra, nel bestiale armistizio dell'8 settembre, il quale fu italianissimo, le deficienze italiane hanno pesato e pesano gravemente sull' economia della guerra : ma ci rifiutiamo ad attribuir loro l'importanza di un fattore determinante per l'esito della medesima. Non dimentichiamo che se le isole britanniche fossero abitate da 50 milioni di Italiani anziché da 50 milioni d'Inglesi, all'indomani di Dunkerque Churchill a-, vrebbe dovuto mettersi una barba posticcia e calarsi con un lenzuolo dalla finestra, Giorgio VI si sarebbe rifugiato nottetempo, con la sua collezione di francobolli, a bordo di una dreadnought, il maresciallo Gort avrebbe preso d'urgenza l'aeroplano per recarsi alla Korwmandcmtur di Bruxelles a chiedere l'armistizio e a quest'ora l'Inghilterra sarebbe una repubblica sovietica e l'Impero, inglese avrebbe alzato, secondo i casi, bandiera indiana, australiana, araba, egiziana, canadese e chi più ne ha più ne metta. Fortunatamente per loro, invece, le isole britanniche sono abitate da Inglesi e a quarantatre mesi da Dunkerque la guerra dura ancora, re Giorgio è sempre sul trono, Churchill fuma sigari ed Eden non ha rinunziato a portare delle belle cravatte. Intendiamo dire con ciò che anche delle partite le quali a osservatori superficiali o a gente senza carattere, a tipi facilmente impressionabili, abituati a rassegnarsi tosto a subire la peggio appaiono volentieri compromesse o addirittura perdute, possono venir condotte a termine con successo per poco che chi le giuoca abbia dello stomaco, del sangue freddo e dell'intelligenza. Se i masochisti italiani, i quali soffrono, a quanto Dare, di un segreto debole per gli Inglesi — concepiti, con mentalità da domestici o da portieri d'albergo, sotto la specie del forestiero maniaco e danaroso che sverna a Capri e a Firenze e paga il conto con assegni sulla Banca d'Inghilterra — si applicassero ad imitarli quando agiscono invece di limitarsi ad ascoltarli quando parlano sulle onde corte, b cose andrebbero certamente meglio di come vanno. Comunque sia, vi insistiamo, non vanno affatto male cóme molti pretendono. Una circostanza da tener presente, oltre tutto, è che l'opinione dei disfattisti nazionali ed esteri secondo cui la coalizione avversaria sarebbe di gran lunga più forte del gruppo del Tripartito non riposa su nessun dato serio. Le materie prime non difettano, nel complesso, più agli uni che agli altri. Soltanto l'oro si trova tutto da un lato della barricata: ma da molti anni si è ormai scoperto che in regime d'autarchia la mancanza d'oro non impedisce a nessuno di trovare dei miliardi da spendere, e potremmo aggiungere che è proprio perchè lo si è scoperto che ci si fa la guerra. In quanto, poi, al potenziale umano, la prevalenza è nettamente dalla nostra parte. L'Europa conta infatti 530.760.000 abitanti, di cui 239.316.485 appartengono al binomio Russia-Inghilterra — comprendendo nel numero la popolazione della Russia asiatica — e 245.079.221 dipendevano ieri dall'Asse, e oggi dipendono dalla Germania. Circa gli Stati neutrali, Albania, Irlanda, Spagna, Portogallo, Svezia, Svizzera e Turchia europea, con una cifra complessiva di 46 milioni 364.294 abitanti, potremmo aggiungere che buon numero di essi, direttamente o indirettamente, lavorano e producono a loro volta per la Germania. Non abbiamo comprese nel calcolo le forze extra-europee; gli Stati Uniti, coi loro 131 milioni 669.275 abitanti e la loro vasta produzione, i Domini britannici, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Sud-Africa con i loro 30 milioni 932.233 di anime. Sènonchè, anzitutto le risorse di tali serbatoi umani richiedono, per entrare in lizza, un volume considerevole di trasporti, di guisa che ner ogni uomo e per ogni tonnellata di merce utile e necessario immobilizzare un certo numero di uomini e di tonnellate inutili. In secondo luogo, le forze in discorso sono, almeno in linea di principio, ampiamente bilanciate dal Giappone coi suoi 69.251.265 abitanti, accresciuti dai 183.893.598 abitanti del Manciukuò, della Corea, di Formosa, delle Filippine, dell'Asia olandese, della Birmania e della Tailandia, cui potremmo aggiungere ancora i 19.108.733 dell'Indocina francese. Tirate le somme, il potenziale umano dei due campi segna a nostro vantaggio una differenza di oltre 161 milioni di individui. Oseremo dire, in condizioni simili, che si abbia il diritto di parlar di guerra perduta? La guerra non sarà perduta, e meno che mai se sapremo sempre fare la debita distinzione fra l'episodio tattico e il quadro strategico generale del gigantesco duello impegnato. Giacchè in una lotta delle proporzioni di quella cui oggi assistiamo, e cui quanto prima torneremo a partecipare attivamente coi battaglioni dell'esercito repubblicano, anche uno scacco locale, anche una posizione evacuata, anche un esercito disfatto non sono nulla di più che episodi tattici. Concetto Pettinato

Persone citate: Churchill, Giacchè, Giorgio Vi, Mussolini, Stalin, Vittorio Emanuele