Roosevelt e le "talpe cieche,,

Roosevelt e le "talpe cieche,,La "Corrispondenza Repubblicana,, Roosevelt e le "talpe cieche,, Roma, 17 gennaio. Pubblichiamo la nota n. 28 ella Corrispondenza Republicana, dal titolo Roosevelt e e talpe cieche, trasmessa ieri era dal Radio-Giornale: Una piuttosto larga esperiena polemica ci permette di afermare che, prima di dedicare n commento a un qualsiasi mportante discorso pronuniato in sede nemica, occorre possedere il testo ufficiale del discorso stesso. In base a queta premessa, avendo ora sot'occhio il messaggio che Rooevelt ha inviato al Congresso, n data 12 gennaio, siamo in grado di esaminarlo e di vederne il contenuto anche oltre e righe e le parole. Ci guardiamo bene dal trarne deduzioni arbitrarie o esagerate; anzi diciamo subito che la volontà del Presidente di continuare la guerra contro quella che egli molto vagamente definisce, non si sa bene perchè, la schiavitù umana, è nettamente riaffermata e sigil ata da una richiesta di nuovi stanziamenti per la rispettabile cifra di cento miliardi di dollari. Tuttavia non mancano ombre in questo quadro; e le ombre non devono essere lievi e fugaci se Roosevelt si dirige in un tentativo di disperderle con la sua dura, pungente e, dal punto di vista democratico, poco riguardosa polemica. Si ha l'impressione che il cosiddetto morale della popolazione statunitense non sia più quello di una volta, quando il colonnello Knox proclamava megafonicamente che per liquidare il Tripartito bastavano soltanto tre mesi di guerra. Dopo questo preambolo, lasciamo parlare Delano, il quale, dopo aver lanciato i suoi strali contro certe anime sospettose, continua col dire: « Queste anime sospettose temono che io e Hull abbiamo fatto degli accaparramenti sul futuro, ciò che potrebbe impegnare questa nazione a clausole segrete. A quéste anime sospettose, tanto per usare un termino educato — è sempre Delano che parla — mi piace dire che tanto Churchill quanto il maresciallo Stalin e il generalissimo Ciang Kai Scek, sono perfettamente a conoscenza delle disposizioni contenute nella nostra costituzione. Lo stesso dicasi per Hull e me ». Non ci interessa sapere se le anime sospettose siano state alleggerite da queste parote_ tanto più che, dopo le anime sospettose, sono chiamate al proscenio dal messaggio roqse- vetiiano le talpe cieche. « Esl ste — ha proclamato Roosevelt — della gente nel nostro paese che si rintana come le talpe cieche e cerca di diffondere il sospetto che se le altre nazioni vengono incoraggiate a rialzare il loro tenore di vita, il tenore di vita americano dovrebbe necessariamente essere riabbassato. La verità è perfettamente all'opposto ». Qui Roosevelt ha vei-amente ragione, e le talpe cieche hanno torto. A noi basta sottolineare l'esistenza negli Stati Uniti di questi sotterranei ro- j «'tori che devono essere nume- 11 pesocisedeinliaeginLildfivgRdvugvRpctotnlasspcfidfcmfstabss1nsmcacdltmFdspe a e l - e . o r e i a o a i o o a o i rosi se Roosevelt sente il bisogno di scoprirli e bollarli. Deve essere sempre a cagione dell'esistenza delle talpe cieche se Delano fa questa singolare confessione: al ritorno da Teheran egli forse si aspettava un'accoglienza trionfale. E invece, che delusione! Udite. E' Delano che parla: « Ritornando dai miei viaggi, devo confessare che mi trovai quasi spaesato allorché trovai molti sintomi di false vedute a Washington. Essi consistono nel dare la massima importanza alle cose di minor conto e di conseguenza ridurre ai minimi termini il primo e più grande problema». Ecco, che il presidente Roosevelt, americano al cento per cento, si senta spaesato a Washington, è veramente il colmo. E quale è la ragione di questo singolare fenomeno di spaesamento ce lo dirà poco più oltre Roosevelt con un linguaggio di cui bisogna ricono scere l'estrema franchezza. « C'è — dice Roosevelt — il contagio che dilaga in seno al Senato e ai caffè di Washington, che rappresentano questi particolari gruppi in qualità di oppositori alla basilare necessità di non considerare la guerra prima di tutto come una possibilità di guadagno per loro medesimi a tuno danno del loro prossimo, guadagno sotto forma monetaria o sotto forma dì preferenze politiche o sociali; questo agire da. egoisti è grandemente dannoso in tempo di guerra. Esso serve a creare della confusione, intacca il morale, ostacola il nostro sforzo nazionale; esso intorbida le acque e quindi contribuisce al prolungarsi della guerra ». E' perfettamente comprensibile che cosi stando le cose, — e se lo dice lui non vi è motivo di dubitarne — Roosevelt si senta alquanto spaesato, anzi molto spaesato, perchè poco dopo egli rincara la dose coi seguenti testuali termini: « Se v'è stato mai un periodo di tempo — esclama Roosevelt — in cui si è manifestata la necessità di subordinare l'egoismo individuale o di gruppo all'interesse sape-c partigianeria, le intérruzio m del lavoro, l'inflazione, traffici, come pure l'abitudine a criticare e l'abitudine al lusso, sono tutti elementi che possono infirmare il morale denostri eroici soldati pronti a dare la vita al fronte per noche ce ne stiamo qui ». Davanti a un quadro del genere tracciato da Roosevelt, e davanti alia sua evidente ma poco democratica insofferenza della critica verrebbe la voglia Idi concludere: ma allora tutto , i e : o l n e e , . e e e _ e l - o e 11 mondo è paese. Sarebbe però una magra ridicola consolazione, alla quale rinunciamo. Seguiamo invece Roosevelt nella successiva parte del suo discorso nella quale insorge contro la dannosa follia dovuta alla troppa fiducia, all'entusiasmo eccessivo che egli considera mortali nemici in quanto la strada per ragiungere gli obbiettivi finali: Loma-Tokio-Berlino è — dice il presidente — lunga e piena di insidie. Cosicché, tale soverchia fiducia ha generato un improvviso crollo nella produzione di guerra quando — è sempre Roosevelt che confessa — in due mesi la produzione dei velivoli diminuì di circa mille unità perchè si credeva che la guerra fosse ormai finita e vinta ». Invece — prosegue Roosevelt — annunziando il progetto di servizio nazionale, che è poi il servizio obbligatorio del lavoro, la guerra contìnua e deve essere condotta nel modo più totalitario, parola questa di pura marca fascista introdotta forse per distrazione nella terminologia presidenziale. Ma probabilmente non è cosi, perchè, volgendo alla fine del suo discorso, il Presidente accenna chiaramente al fravi pericoli di una reazione i destra che suscita in lui, come egli ha detto testualmente, gravi inquietudini e gli fa dire: «In verità — è Roosevelt sempre che parla — se una tale reazione 3i sviluppasse, allora è certo che, sebbene abbiamo vinto i nostri nemici sul campo di battaglia all'estero, noi avremmo introdotto 10 spirito del fascismo qui da noi ». Dove fsi vede che il fascismo è veramente duro a morire; muore magari in un continente per risorgere in un altro. Infine, sottolineando ancora una «volta la. necessità dell'unità interna e interalleata Roosevelt proclama che tale necessità fu magnificamente espressa da Beniamino Franklin quando disse: « Ned dobbiamo rimanere tutti insieme o certamente noi saremo tutti separatamente impiccati ». Con questa, diciamolo pure, non allegra immagine, si chiude il discorso senza la consueta perorazione à base di immancabile vittoria. Voi potete trarre altre deduzioni dal discorso che vi abbiamo integralmente riportato e commentato. Ben lungi da noi l'idea di affermare che 11 discorso di Roosevelt è indice di una crisi profonda. Ci limitiamo a dire che non è tutto oro quello che luce nemmeno nel paese che ha nelle sacrestie delle sue banche tutto l'oro del mondo.

Luoghi citati: Berlino, Roma, Stati Uniti, Teheran, Washington