I fiori della steppa

I fiori della steppa I fiori della steppa Illllllllllllllllll MIMIIIIIIMIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIMIIISergio Efimovic non aveva Ilepiù visto il vecchio Grigori da oltre vent'anni. Da quando, esattamente, il padrone era tornato a Popovka per riprendersi le terre. Era stato un giorno memorabile, quello. Dopo la rivoluzione d'ottobre, i contadini di Popovka avevano formato un comitato e s'erano divise le terre. A presidente de-1 comi tato era stato eletto Vladi■ miro figlio di Grigori. Ai contadini che si congratulavano con lui, il vecchio Grigori diceva : — Non so come finirà questa storia ! Il padrone non ce la darà per vinta tanto facilmente. Ritornerà ! *' E, difatti, una quindicina di giorni appresso, il padrone ritornò con uno squadrone di cosacchi. I contadini erano stati avvertiti nella notte e per tutta la mattina successiva avevano lavorato a scavare trincee attorno al villaggio. Verso mezzogiorno, venne segnalato un cavaliere che a prima vista, e nella controluce, sembrava un'apparizione diabolica ondeggiante fra cielo e terra. Poi, a poco a poco, si precisò. E tutti ri conobbero il padrone sul suo cavallo bianco. Dopo, apparvero altri cavalieri, i cosac chi, i cui berrettoni di pelo e le sciabole luccicavano al sole. E si lanciarono al galoppo, gridando per incoraggiare se stessi ed impaurire i contadini, che li attendevano acquattati nelle trincee. Quando l'orda fu a» cento metri, partì una scarica. Due cavalieri caddero a terra, mentre gli altri, che non si aspettavano resistenza, si sbandarono, ila un quarto d'ora dopo, rinserrate le file, tornarono all'attacco. E an cora furono respinti. Credei! do di aver vinto, i contadini presero a gettare grida di gioia e a lasciare le trincee. Vladimiro si mise a correre da una trincea all'altra rac comandando che non si faces sero illusioni : — Possono tornare ! Magari ci preparano un tranello Per carità, state attenti ! Non aveva finito di dire questo che i cosacchi sbuca rono sulla destra ed egli ven ne tagliato fuori e circondato da un gruppo di cavalieri, mentre un altro gruppo si lanciava all'inseguimento dei contadini che, presi alle spalle, 6Ì dispersero p«r i eampi. La resistenza continuò in una sola trincea. Il padrone, frattanto, era sceso da cavallo ed era andato a sedersi per tèrra ad una cinquantina di metri dall'isbà del vecchio Grigori e donde poteva seguire con una certa sicurezza la lotta nell'ultima trincea. E lì due cavalieri appiedati gli portarono Vladimiro. — Lasciatemelo qui. Que- trLeogegirainnountavonianglpavodiinSosavtampqfichsengbdccpatpcddnrTpfilavpdccgtmscrtlfipaslVlmmmtttafsitlrlcsto me lo cucino io — brontolò I nalzandosi e gli tirò un calcio | tnel ventre. I cVladimiro cadde a terra e l'altro, per divertirsi, prese a sparare per terra attorno alla testa del figlio di Grigori. Dopo un quarto d'ora di questo macabro gioco, il padrone tornò a sedersi e, affinchè Vladimiro disteso per terra non si muovesse, gli mise due dita al collo. Ad un certo momento, però, l'attenzione del padrone venne tratta verso destra. Dovevano esserci dei contadini sbandati. Difatti, si sentirono dei colpi di fucile. Per vedere meglio, il padrone si chinò tutto sulla destra. D'istinto. Vladimiro cercò di sollevarsi per vedere anche lui. L'altro, accorgendosene, lo spinse giù con la mano, ma senza voltarsi. Nella ricaduta, la sinistra di Vladimiro restò afferrata al giubbotto di pelle del padrone. Come spinto da una forza segreta, egli fece leva «il giubbotto. Di contraccolpo, si sollevò e con la destra sferrò di slancio un pugno alla tempia sinistra del padrone che stramazzò sulla schiena, lasciandosi sfuggire di mano la rivoltella. Prenderla, puntargliela sulla fronte fu per il figlio di Grigori un attimo. Indi, saltò sul cavallo bianco e galoppò verso la trincea dove ancora ei combatteva. Verso sera, lo scontro era finito. Il gesto di Vladimiro aveva galvanizzato le ultime resistenze e riaccese le estreme energie. Sì che la vittoria fu dei contadini. Di Popovka, della lotta col padrone, di Grigori e di suo figlio, Sergio Efimovic, emigrato in Ucraina, non aveva più sentito parlare. Quando, un giorno, lo vide passare in una°lunga colonna di nomadi e lo chiamò. Non tra cambiato: la stessa barba sfilacciata e gialla come un vello di pecora, gli stessi occhi rossiErni e gli arabeschi di rughe Gli ai davano gli stessi anni di allora. Sessanta? Settanta' Ottanta? Non aveva età Più' tardi, il vecchio Grigori narrò la sua stona: _ Dunque, — egli disse come se continuasse un racconto - le terre, restarono a, contadini, ed ognuno lavoro a e sue rispettando quelle al- rui e rispettando le trincee Le trincee restarono e, ad ogni primavera, vi cresceva erba e vi spuntavano i fiori gialli della steppa. Si lavorava tranquilli. Di quando n quando, arrivava qualcuno dalla città, saliva sopra una tavola e gridava: « Contadini, unitevi ! Le terre sono vostre «.^Passarono degli anni. Verso il mio settantesimo anno, arrivarono dalla città gli ste?si uomini, ma accompagnati dai gendarmi stavolta, salirono sulla tavola e dissero ai contadini: a D'ora in avanti, le terre sono dello Stato ». Il mio Vladimiro osservò : « Ma voi stessi non avete detto che sono dei contadini? » L'uomo che in quel momento era sulla tavola replicò: « Sono dello Stato, quindi di tutt; ! ». A questo punto, Sergio Efimovic, le cui idee bolsceviche non erano cadute, osservò : — Naturale ! La costruzione dello stato collettivo integrale sarebbe stata impossibile se la campagna non fosse diventata anch'essa un'officina ed i campi come le officine non fossero diventati proprietà dello Stato. — Sarà come tu dici ! — ammise Grigori. — Ma col tempo, i contadini di Popovka dovevano accorgersi che ' le terre potevano essere di tutti, ma non certamente dei contadini. Il grano ci ve niva portato via e il bestiame requisito. Si moriva di fame. Tanto che, al principio della primavera, i contadini si rifiutarono di incominciare lavori nelle fattorie colletti ve e, con la forza, ripresero possesso delle terre. Subito dalla città mandarono non la] cavalleria cosacca, ma macchine di ferro con grossi cingoli, a Andiamo nelle vecchi» trincee!» gridò il mio Vladimiro. E i contadini si appostarono nelle trincee. Le macchine di lontano incominciarono.a sputare fuoco. I contadini scapparono ed jl fuoco li falciò come il grano. Mio figlio rimase nelle trincee con pochi altri. L'erba era già alta e molti fiori gialli della steppa erano sbocciati qua e là. Anuka, moglie del mio Vladimiro, accorse accanto a lui: «Ti potrà accadere del male. E' meglio stare insieme ! ». Sempre sparando, le macchine si avvicinavano lentamente. Erano delle grosse tartarughe di ferro, chiazzate di giallo e di ocra. Quando arrivarono contro la trincea, fecero uno sforzo. La terra smossa tant'anni prima s'era indurita e presentava un certo ostacolo alla marcia. Ma l'ostacolo fu facilmente superato. Le macchine travolsero la terra e livellarono la trincea. Mio figlio e sua moglie I non s'erano mos*i. Io vidi tut | to questo dalla finestra da I cui un giorno avevo assistito e e a ò i al combattimento contro 1 cosacchi. Mi avvicinai più tardi. Le carni di Vladimiro e quelle di Anuka, sua moglie, erano impastate con la ferra della trincea, con le erbe ed i fiori gialli della steppa Il vecchio contadino raccontò tutto questo senza che la sua fisionomia impassibile si trasformasse. Le sue ciglia giallastre avevano soltanto qualohe battito fugace. E concluse : — Vi ho fatto sopra il segno della croce e sono partito ! Quando ebbe finito, solo Sersio Efimovic prese la parola : — Sembra che tu reciti! — commentò, incredulo. —Quello che tu hai detto sembra una favola imparata a memoria. Ma il vecchio Grigori si limitò a rispondere: — Caro compagno, vi sono delle realtà che rassomigliano a delle favole e delle favole che rassomigliano a delle realtà. Paolo Zappa

Persone citate: Paolo Zappa, Sergio Efimovic, Vladi

Luoghi citati: Ucraina