Il lavoro associato destini delle aziende La guerra dei proletari di Concetto Pettinato

Il lavoro associato destini delle aziende La guerra dei proletari L'ULTIMO COLPO ALL'ECONOMIA LIBERALE ini delle aziende ai La guerra dei proletàri guerra dei proletari I provvedimenti emanati dal Consiglio dei Ministri in applicazione dei principi della Dichiarazione IX della Carta del Lavoro nonché del programma di Verona concretano, per la cronaca e per la storia, la fisonomiajdella Repubblica sociale ita liana, provando luminosamente anche ai più increduli come il titolo assunto dal nuovo Stato non sia una vuota etichetta adottata in un'ora critica per conciliarsi il favore delle masse, bensì l'espressione genuina del carattere, dei fini, dei metodi che informeranno d'oggi innanzi la struttura del Paese. In attesa della Costituente, è questo un grande passo compiuto verso la materializzazione giuridica e tecnica del meccanismo sociale della Repubblica. L'ordinamento disposto potrà venir ulteriormente precisato o perfezionato nei suoi particolari, ma le linee maestre di esso già esistono e non lasciano dubbi di sorta sul potente anelito di giustizia e di umanità che le anima. L'economia liberale è audacemente battuta in breccia. La Rivoluzione del 1922, fermata sulle sue posizioni di partenza dal sabotaggio clandestino organizzato dal capitate e presa d'assalto il 25 luglio con quel colpo di Stato di cui nei saloni di uh noto albergo romano un folto gruppo di capitani d'industria attendeva l'esito con impazienza febbrile nella persuasione che da quel giorno daterebbe, lo smantellamento totale e definitivo di tutto quanto il Fascismo aveva fatto o tentato di fare per la classe operaia, ripiglia la propria marcia in avanti. Lo scopo del provvedimento del 13 gennaio è duplice : frenare l'elefantiasi plutocratica e associare il salariato ai profitti del capitale. Salvi restando i diritti legittimi di quest'ultimo, lo Stato, con l'avocare a sè l'esercizio delle industrie-base, si assicura il controllo di quei sopraprofitti che in Italia, per l'ara un esempio, hanno permesso in tre anni di guerra, di veder crescere da 3 a 38 il numero dei miliardari. Non si avrà più, così, il fenomeno tipicamente liberistico della formazione di patrimoni giganteschi, insindacabili, inafferrabili, in misura adeguata, dallo stesso fisco e talora .jstii a rientrare nel circolo della produzione o atti a pesare dannosamente sulla stessa politica del Paese, quali piccoli Stati nello Stato. In pari tempo viene sancita l'entrata ufficiale del lavoro, per la porta grande e non più per la scala di servizio, nella ben munita cittadella degli utili. La Repubblica italiana salta a pie pari le migliorie sociali accordate o reclamate negli altri paesi, realizzando in pieno quello che altrove non è ancor oggi se non un tema di vane logomachie o di aspirazioni accademiche. Operai, impiegati e tecnici cessano dr essere, tra noi, dei semplici fornitori di lavoro per diventare piccoli azionisti e, in certo qual modo, piccoli capitalisti, direttamente interessati al buon rendimento dell'azienda. I negatori d'ogni progresso, i fautori dello statu quo, coloro che lottarono venti anni per impedire al fascismo di applicare il suo programma di realizzazioni sociali esumeranno per la circostanza tutti i vecchi luoghi comuni che dal tempo di Giolitti in qua costituiscono la bibbia degli avversari degli esercizi di Stato: pericolo di nuove pletore burocratiche, diminuita elasticità e sensibilità dell'industria, crisi dell'iniziativa, accresciute difficoltà di bilancio, ecc. Non bisogna lasciarsene impressionare. Anzitutto la gestione statale è contemplata, com'è logico, solo per le industrie maggiori, quelle dove il rendimento è certo e la gestione relativamente agevole, quelle che rispondono a grandi bisogni nazionali e che con criterio moderno potrebbero venire assimilate a servizi pubblici. In secondo luogo, nel disegno del Consiglio dei Ministri tali inconvenienti appaiono già severamente contenuti. Le sorti dell'azienda, così pubblica come privata, vengono affidate al consiglio di gestione, il quale, essen do eletto dal personale del l'azienda stessa, offre tutte le garanzie di compecenza: di oculatezza e di econcraicità necessarie a garentirne il retto funzionamento. Il consiglio di gestione sprigiona inoltre dal proprio seno, e questo anche nel caso delle industrie statizzate, il eapo dell'azienda, con la so la restrizione che in queste ultime è lo Stato a scegliere, pel tramite dell'Istituto di Gestione 'e Finanziamento, quello dei membri del consiglio che gli risulta più idoneo. Ora non v'ha chi non veda come il fatto di dover scegliere il capo dell'impresa fra i consiglieri eletti dal personale della medesima costituisca una limitazione considerevolissima degli inconvenienti che potrebbe offrire la nomina governativa di un capo di provenienza estranea, cioè suscettibile di rispondere a una designazione meramente politica. Dipenderà dalle aziende stesse non mandare al consiglio di gestione se non i loro elementi più capaci, onesti e degni di fiducia: limitato il campo di scelta agli uomi ni migliori, le eventuali in terferenze politiche ben poco potrebbero pesare, in pra tica, sulle sorti dell'indù stria statizzata; e la cura posta dal legislatore nel cir condare di tante garenzie la nomina dei dirigenti di essa sta appunto a documentare la serietà e la prudenza dei propositi che hanno presieduto alla grande creazione legislativa. Si noti, d'altra parte, che l'aver affidato al Capo dell' azienda, pubblica o privata che sia. la responsabilità politica, giuridica e tecnica del suo andamento nonché quella della produzione, della disciplina e della tutela del lavoro tempera, rispettivamente, gli eventuali effetti negativi del carattere collegiale impresso al governo dell'industria dall'esistenza di un consiglio di gestione. Il consiglio interverrà nella condotta degli affari, ma l'azienda continuerà ad avere un capo responsabile, di guisa che è da ritenere che non potrà mai veniz-le meno lo spirito di iniziativa né la genialità di concezione, né la fermezza di condotta necessari ad assicurare il suo buon funzionamento e il suo progressivo sviluppo. Fedele alla tradizionale politica mussoliniana della conciliazione degli estremi, i provvedimenti del 13 gennaio associano, insomma, i vantaggi della collegialità con quelli della direzione individuale, valendosi dell'una per temperare l'altra e viceversa. Ma il suo correttivo principale il nuovo regime delie industrie lo troverà in quella partecipazione agli utili che gli industriali avevano sempre temuto, sin qui, come l'ombra di Banco. La mano d'opera non éarà più, infatti, nell'interno dell'azienda, la sorda e cieca rivale del capitalista, ma ne diverrà, per forza di cose, l'alleata. La cointeressenza agli utili sblocca l'operaio,(dl'impiegato, il tecnico dal lo ro angolo morto, li associa ai destini dell'impresa, li introduce^ per mezzo del consiglio di gestione, nel segreto del congegno produttivo, permettendo loro di rendersi conto delle vicende dell'azienda, della sincerità dei bilanci, dell'incidenza dei costi sulle vendite, della necessità di intensificare o rallentare il ritmo della produzione, e così via. E quali sono i due meriti capitali di tale nuovo stato di cose? In primo luogo quello di rendere il lavoratore sensibile ai casi, buoni o cattivi, dell'organo di produzione al 'quale partecipa anziché confinarlo nell'indifferenza dell'agnostico, e di ridurre pertanto il pericolo dei con flitti e delle agitazioni so ciali non giustificati da reali opportunità generali. Introdotti nella conoscenza diretta dei misteri della gestione, gli operai si ren deranno conto delle difficol tà che essa può implicare, comprenderanno che i prò fitti non sono sempre il poz zo di San Patrizio e che le condizioni salariali debbono, nell'interesse di tutti, trovare il loro tasso equo nel le possibilità effettive, accertate dell'industria, nel le condizioni del mercato e nei margini consentiti dal la concorrenza estera, par ticolare, quest'ultimo di im portanza tutt'altro che - se condaria, come quello che a grado a grado potrà mettere la nostra classe lavoratrice nella condizione di capire il giuoco delle forze internazionali, di apprezzare più realisticamente perchè si verifichino gli urti fra gli Stati e perchè anche una guerra può talora rapnresentare una fatalità ineluttabile. In secondo luogo, quello di trasformare radicalmente la figura morale e materiale dell'operaio, di promuoverlo a una classe superiore, di farne una cellula cosciente dell' evento economico, a giorno di una quantità di dettagli della produzione di cui oggi è totalmente all'oscuro e cioè di avviarlo progressivamente a un miglior livello culturale, a un più vivo desiderio di istruirsi e a un più chiaro senso della propria dignità e della propria responsabilità. Se pensiamo che in Inghilterra almeno da tre anni il laburismo, da Morrison a Bevin, da Bevin a Citrine, si esaurisce in appelli, discorsi, ordini del giorno, comizi e articoli di giornale per ottenere l'applicazione dell'esercizio di Stato almeno a due o tre industrie principali, se non al-1 tro alle miniere e ai traspor- i ti, senza esser riuscito ad ot-1 tenere nemmeno la più lontana promessa di esaudimento, se pensiamo che tutto quanto il governo britannico ha saputo promettere ai lavoratori inglesi è contenuto in quel Libro Bianco dell' ottobre 1942 dove il ministro del Tesoro rendeva pubblico, ma rimandandone la discussione a guerra finita, un progetto di legge accordante all'operaio' in tutto e per tutto il lagdtTmrpagthuvstcl diritto di percepire un «sa¬ lario onesto » e assegnante al datore di lavoro l'obbligo di riconoscere ai propri dipendenti la facoltà incontrastata di far parte di una Trade Union, se consideriamo che il Times in innumerevoli articoli si affanna a predicare da anni che. gli alti salari del tempo di guerra non debbono fomentare illusioni, giacché « non hanno nulla a che fare con una partecipazione dei lavoratori agli utili dell'industria », non avremo difficoltà a riconoscere, per poco che ci sia in noi un briciolo di buona fede, l'enorme anticipo che le decisioni del Governo fascista repubblicano assicurano all'organiszazione sociale italiana in confronto dei paesi che ci fanno la guerra e vogliono la nostra morte, pretendendo farci passare per una terra di oscurantismo e di reazione cui solo la vecchia Albione potrà arrecare, a suon di bombe e di cannonate, la fiaccola della civiltà e della libertà! Se il capitalismo angloamericano dovesse davvero avere l'ultima parola in Italia, la nostra classe lavoratrice vedrebbe dove andrebbero a finire la partecipazione agli utili e le altre riforme rivoluzionarie valsele dalla Repubblica! Ma non abbiamo già detto le mille volte che la guerra contro l'Inghilterra è la guerra dei proletari, la guerra dei poveri, la guerra del pane? Concetto Pettinato

Persone citate: Bevin, Giolitti

Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Verona