Breve discorso alle donne d'Italia di Concetto Pettinato

Breve discorso alle donne d'Italia Breve discorso alle donne d'Italia Quando parliamo di uomi-1 ani, non dobbiamo dimentica- ere che fra gli uomini ci sono le donne: e, strano a dirsi, le donne sono sempre state, nelle ore di disperazione, l'ancora di salvezza dei popoli. Ai popoli colpiti dalla sciagura avviene come a molte famiglie nell'avversità: mentre il padre si abbatte e si perde d'animo, la madre crolla il capo, si rimbocca le maniche, si leva di buon mattino, sgobba e salva la situazione. Non sappiamo se il maschio sia davvero più nervoso della femmina, ma il certo è che il primo perde più facilmente piede nella realtà che non la seconda. La favola antica pretende che Anteo ripigliasse forza curvandosi a toccar terra: se consideriamo che la Terra era sua madre, ne concluderemo che già nell'ombra dorata dei miti aleggiava la coscienza della misteriosa funzione che fa. delle figlie d'Eva l'accumulatore d'energia destinato a ricaricare i motori umani. Dal mito, la figura della donna salvatrice di uomini passò nella leggenda, poi nella storia. Ester scampa il suo popolo dallo sterminio e lo conduce al trionfo. Giuditta, assediata fra le mura di Betulia, decapita il generale assiro troppo accessibile ai suoi fascini e libera la patria. Le madri spartane restano nella memoria dei posteri pel maschio rito — « O con questo o su questo ! » — della consegna dello scudo ai partenti per la guerra. A Roma, alla massiccia autorità dello Stato basta che la donna sia una calma e un po' frigida Cornelia, e spesso le si domanda anche meno, paghi se si po■ tra incidere sulla sua stele funebre la frase sacramentale: « Casta fuit, domita servavit, lanam fecit ». Ma a datar dai disordini dell'età media la donna risale a cavallo, e abbiamo una Cinzica dei Sismondi che chiama Pisa alle armi e la sottrae al Saraceno, poi un'Angelica e una Bradamante, uscite dal ciclo della cavalleria per accamparsi, con la spada in pugno e le belle chiome sfuggite all'elmo luccicante, sul mondo corrusco dell'Ariosto. Giovanna d'Arco spazza, a sua volta, la Francia dagli Inglesi e la mère Royaume salva Ginevra dalle scale dei Savoiardi. Le donne .che importano a noi sono, comunque, quelle del Risorgimento, quelle che aiutano i loro uomini a fare l'Italia: Adelaide Cairoli e Rosa Raimondi, madri di eroi; Maria Drago, madre, incitatrice e collaboratrice di Mazzini, il cui carteggio col figlio è uno dei più begli esempi di elevatezza morale e d'italianità forniti dal nostro Paese e che meriterebbe prendere il posto di tanti insulsi romanzi al capezzale di tutte le italiane; Anita Garibaldi, che a San Pancrazio, in divisa di ufficiale della Legione, si batte allato al marito; Cristina Belgiojoso, che vende i propri gioielli per aiutare il Genovese nella spedizione di Savoja e che il 6 aprile 1848 entra in Milano sventolando un tricolore, alla te sta di un battaglione assol dato a Napoli e trasportato a sua spese in Liguria. Nè con questi prototipi l'epopea della donna-patriota, della donna-soldato finisce. Non^ tornano oggi, infatti, di moda i reggimenti di donne, come nella Scizia delle Amazzoni? La Russia sovietica ha i suoi. I partigiani serbi hanno i loro. Sulle rupi della Bosnia e della Croazia i nostri soldati trovavano ieri non di rado belle figlie del paese, montanare o studentesse, cadute faccia al nemico coi fucile mitragliatore tra le braccia e uno specchietto da due soldi nella tasca dei pantaloni alla zuava. I cetnizi, gli anticomunisti jugoslavi, vantano una lunga lista di eroine immolatesi a gara coi loro fratelli per difendere un'altura o portare un ordine. In Inghilterra e in Germania una vera donna-soldato non pare sia ancora scesa in lizza: ma il primo dei due paesi impiega già migliaia di ragazze nella difesa antiaerea e nei servizi ausiliari, il secondo le annovera a decine di migliaia nelle immediate retrovie del fronte: infermiere, telefoniate, vivandiere, magazziniere, cuoche. Nemmeno nella tradita e calpestata Sicilia, ch'è tutto dire, è mancata una piccola amazzone: quella Maria D'Ali che a Trapa: ni si era messa a capo di un gruppo di patrioti per organizzare la resistenza agli invasori. E come credere che la Sardegna, dove, fra tanche e nuraghi, trentamila uomini conducono oggi la guerriglia, non abbia anch'essa in linea qualche taciturna vergine dal fucile a tracolla? Perfino nella pacata e ponderata Torino un gruppo di fanciulle ha osato l'altr'ieri presentarsi rvnpFdzibiEafssvtcspsdEdqtnumsbbotiifns al Distretto per chiedere di essere arruolate; e un vete i r a o a i rano dell'altra guerra, un vecchio sergente, uno che nel 1893 in Sicilia comandò per mesi, da solo, contro i Fasci di Barbato un plotone di richiamati, ci scrive, senza la menoma intenzione ironica: «Fatemi dare mn battaglione di donne da istruire! ». . Un battaglione di donne! E perchè no? Il governo americano, che alle donne il fucile non lo dà, ma che si serve di loro per attirare a sè le reclute, popolandone le vicinanze dei distretti, i cortili delle caserme e le pellicole di propaganda militare, si è impegnato a gettare in pasto le nostre figlie e le nostre sorelle alla sconcia foia dei suoi soldati d'ogni pelle. Ebbene: perchè non mandarle loro incontro davvero, queste donne, ma inquadrate, incolonnate, con dei buoni caricatori alla cintola e un buon fucile a tracolla? Siamo'in uno di quei momenti di perplessità e di sconforto dello spirito pubblico in cui le donne potrebbero con relativa agevolezza operare il miracolo della metamorfosi dell'acqua torbida in vino generoso. Dopo Caporetto, la organizzazione improvvisata dal LombardoRadice per portare sino in fondo alla penisola la buona parola e ricreare l'atmosfera necessaria al salvamento della patria si valse con profitto di larghi concorsi muliebri. Che sia proprio impossibile scoprire oggi, nelle nostre città, madri, sorelle, amanti disposte alla medesima bisogna, atte a comprendere e a far coni prendere che nell'odierno stato dell'Italia non si possono combattere due guerre di liberazione, l'una a nord, l'altra a sud, nè si può restare inerti a veder battersi gli stranieri, ma che si può ancora salvarsi combattendo una guerra sola, quella dichiarata il 10 giugno 1940, che non è la guerra del fascismo o la guerra dei Tedeschi ma la guerra della logica e del buon diritto europei, la guerra del pane, la guerra dei poveri? Le più belle lettere che ci pervengono sono lettere di donne. Degli alpini ci hanno scritto, commossi, di essere stati fermati in gruppo per via e baciati da fanciulle entusiaste. .Perchè non provarci a chiamare a raccolta queste isolate ? Non ne faremo dei battaglioni di cetnize nè tanto meno di partigiane, ma potremmo, grazie a loro, dissipare il torpore funesto che pesa sulle famiglie, restituire la fierezza e la dignità ai giovanotti che ingombrano, inutili, i marciapiedi. Dovremo davvero aspettare che sia troppo tardi, perchè una scintilla di italianità scaturisca dai cuori intorpiditi dal sospetto e dall'egoismo ? Dovremo aspettare che l'Italia intera sia preda inerme dello straniero, che le illusioni seminate dai causidici del Triangolo abbiano convinto anche i ciechi della loro disastrosa fallacia e che la servitù e l'impotenza ci abbian sepolti del tutto come ai tempi del Lamartine perchè dalla folla delle nostre donne balzi fuori una nuova Cristina, una nuova Anita? Ma allora anche le eroine non serviranno più a nulla. Aspettare è vano, donne d'Italia! Lasciate che siano « attendiste » quelle Francesi che già da un pezzo non mettevano più al mondo figliuoli, che avevano abdicato all'orgoglio di depositarie dell' avvenire, che si erano confinate nella effìmera felicità della « coppia ». Ma voi, che avete riempito il mondo dei vostri figli, che avete popolato col vostro sangue le Americhe, l'Europa, l'Africa, che siete state esempio universale di fedeltà, di costanza, di attività, di disciplina morale, voi che nel 1936 gettaste nei crogiuoli della Patria le vostre fedi nuziali, neghereste voi oggi il vostro cuore a questa Italia nei sudori dell'agonia? Non vi chiediamo di combattere, donne, ma di lasciar almeno combattere gli uomini, di non tirarli indietro pel lembo della giacchetta, di non portar loro di nascosto in caserma un vestito borghese affinchè saltino il muro, di non accarezzarne le tentazioni di rinuncia, di non lusingarne i facili scoramenti, di non dividerne lo scetticismo, di non ascoltarne i mormorii. Voi, che avete sempre avuto dimestichezza con la vita dura, scegliereste proprio questo momento per perdervi dietro il sogno della vita comoda ! Vi credete ben chiuse e asserragliate nelle vostre case, a dispetto delle bombe, tra il focolare, il letto e la lucerna, e sussurrate a voi stesse: « Qui sono tran- uhnirsscdsdtquillaV Nascondiamoci bene, fasciamo passar la bufera, facciamoci piccini affinche nessuno ci veda ». Ebbene, il vostro calcolo è quello dello struzzo che cela il capo nella sabbia. Non esistono più interni di case, in Italia, non esistono più porte chiuse, non esistono più spranghe, nè catene di sicurezza. Siamo tutti in piazza, a cielo scoperto, allo sbaraglio, da quando mariti, figli, amanti, fratelli, disertando il loro posto, hanno buttato l'arma e sono venuti a nascondersi chi nelle vostre sottane, chi fra le tonache dei frati, chi sui monti, chi nel folto delle città. La vostra responsabilità, donne d'Italia, è grande quanto quella degli uomini. Ma salite finalmente in soffitta, staccate il fucile dal chiodo, spingete il vostro uomo là dove batte il cuore della Patria! E non batte in vai di Lanzo, affé d'Iddio, nè in vai d'Ossola, nè in vai d'Intelvi, nè nel Biellese, nè nel Varesotto: batte a sud di Roma, batte in quel Mezzogiorno, in quelle isole dove un popolo ormai disingannato, si divincola impotente sotto il tallone dell'invasore, e non può più fare gran cosa per aiutarsi da sè, ma guarda quassù, guarda voi, guarda noi, nella speranza che almeno noi si sappia compiere il miracolo e si corra a liberarlo. Continueremo noi ad ! gggrY. qUand° d SÌ i asPet^ • l Concetto Pettinato