IL RITORNO

IL RITORNO IL RITORNO "»«'""<"« i lìiiiiiliiiiiiiii illumiNessuno <ìi quei nomadi,(aquali m'ero fermato lungo la strada di Jagodny sul Don, l'aveva conosciuta. Ma tutti erano concordi nell'affermare che Vera Andrejevna Putilova era bellissima. Era anche la più ricca fanciulla di Pietrogrado. Ma s'era fatta bolscevica per amore di un giovane studente. E aveva rinunciato alla ricchezza, aveva rinnegato il padre e la madre, aveva partecipato a vari complotti ed era finite in Siberia. 11 padre, Andrea Jvanovic Putilov, il celebre mercante di cannoni russo, collega di Zaharov, di Schneider e di Krupp, ne era morto di dolore. Dopo la rivoluzione d'ottobre, tornata a Pietrogrado, Vera Andrejevna non aveva nemmeno pensato di recarsi nella sua vecchia casa. Ma un giorno, sul finire deH'autuii<no, lei si trovò senz'accorgerei davanti al palazzo dei Putilov. Era stato semplicemente il caso a portarla lì oppure un segreto richiamo, l'istintivo impulso di tornare nel posto dove si è nati, dove si è vissuti per cercare cose perdute, cose o ricordi « tutto quanto ha costituito la vita? Vera non avrebbe saputo dirlo. Guardò il palazzo. Come certi uomini, anch'esso sembrava precocemente invecchiato. I cornicioni screpolati, i calcinacci caduti, i vetri rotti-erano le rughe che in un attimo l'uragano della rivoluzione aveva scavato sul suo volto di pietra. Sul portone, una donna con le mani sul ventre, chiese sgarbatamente a Vera che cosa cercasse. Cercava il suo passato. Si era illusa che tutto fosse finito. Invece, non era vero. Già altre volte aveva dovuto constatarlo. Qualcosa la legava, ancora al passato, qualcosa di profondamente vivo e insopprimibile : il sangue. Era legata dal sangue ai suoi genitori e al loro ricordo: al padre morto, alla madre di cui ignorava la sorte. Il suo era il loro 9angue. TJn atomo della loro vita e del loro essere carnale e spirituale era stato l'origine della sua vita e del suo essere. Quest'era il legame. E nulla, nessuno e nemmeno la volontà più risoluta possono «ciogliere un- legame del genere, così invisibile eppure presente, così fluido eppure resistente, immarcescibile perchè è la vita stessa. Si può gridare, offendere, ingiuriare. Ma si resta legati. Si può fuggire lontano, staccarsi da tutto, nascondersi. Ma, piano piano, il filo riaffiora, il nodo si ricompone. E allora eono pentimenti e nostalgie. Sovente, sono rimpianti: Vera pensava confusamenbe a tutto questo nei brevi momenti in cui rimase davanti a quella che era stata la sua casa e che, dopo la rivoluzione, doveva essersi cambiata in una diinora collettiva. Esitava ad entrare. In lei la volontà ed il sangue lottavano. Ma fu il sangue ohe vinse. Sotto il portone, provò una viva inquietudine amara. Dov'era sua madre ? Stava ancora lì, ridotta per vivere a servire, lei che per 80 anni era sempre stata servita? Se fosse stata ancora lì, come l'avrebbe accolta? Quali parole si sarebbero dette? Vera voleva e no, voleva quest'incontro. Lo allontanava da! suo pensiero e lo desiderava. Per avere la forza di salire, si diceva che non era possibile che sua madre fosse lì. Era fuggita. Forse, la bufera l'aveva travolta... Nell'atrio, il grande lampadario di .ferro battuto aveva i vetrali infranti. La statua ai piedi dello scalone, una autentica statua greca che era costata un patrimonio, non esisteva più. Sul piedestallo, Vera non ritrovò di essa che una mano mozza. La mano stava poggiata sul dorso, con il palmo aperto, quasi tesa in un gesto di saluto, come se cercasse un'altra mano per stringerla, come se cercasse la sua..., come se fosse la mano di suo padre, fissata lì nell'immobilità della morte hi un estremo gesto d'amicizia e di perdono. Vera salì lo scalone a fatica. Aveva come una palla al piede. Erano i ricordi che l'attardavano. Sul pianerottolo, una statila d'i patrizia romana giaceva rovesciata per terra. Nella caduta, la testa s'era staccata dal busto. Qualcuno l'aveva spinta fino all'angolo opposto. Ed ora stava lì, con gli occhi rivolti al soffitto, occhi bianchi nel marmo e freddi, gli stessi occhi bianchi e freddi di sua madre, mentre la chiamava per l'ultima volta: « Vera, figlia mia!». Vera spinse la porta leggermente. Nell'anticamera, più nulla o quasi nulla di quello che c'era stato. Le pareti stinte tradivano la traccia degli oggetti scomparsi: un grosso pendolo, un cassettone, tre armature medioevali. Un'armatura, si nascondeva spaurita in un svCelCmfsapttevddcilnsmdtgUIptbragclodzmtlAovcCqdcscm minili immiimimiiimimiiiiiiimimiiiii angolo. Teneva un braccio a o a i l a a , a i o n i n sollevato. Dal braccio pendeva un asciugamani sporco. Con passo tremante, Vera entrò nel salone da prauzo, lacosidettan sala Caterina ». Cortine,.^ tappeti, mobili, mensole dorate, tutto via o fracassato o strappato o insudiciato. Solo dei letti, degli armadi sgangherati e molti paraventi fatti d'uno scheletro di legno ricoperto di cartone. Attorno ai letti, donne e marmocchi. Le donne sedevano su sedie sbilenche che dovevano essere state le sedie della sala da pranzo, alte com'erano di schienale. Ma il cuoio era stato tagliato. Se ne vedevano le tracce nelle sottofodere da cui usciva in molti punti l'imbottitura. Le donne lavoravano. Chi rattoppava panni, chi puliva legumi, chi faceva la enlza. Una allattava un bambino. I marmocchi ruzzavano sul pavimento, seminudi. Due o tre portavano la carnicina a brandelli. Uno correva tirandosi dietro uno straccio arrotolato come quelli che si gettano ai cagnolini per giocare. All'apparire di Vera, le donne alzarono appena gli occhi. I marmocchi non se ne dettero per intesi. Vera avanzò di alcuni passi. Poi, si fermò incerta, confusa, stordita. E ancora nessuno badò a lei. Come se non esistesse. Avrebbe voluto parlare. Ma ogni volta le parole le morivano sulle labbra. E, poi che cosa avrebbe dovuto dire? Che cosa chiedere? Dire che quella era la sua casa? Chiedere dove fosse sua madre, che ne era avvenuto? ila non sapeva ormai già che quella casa non era più sua, che sua madre non era più lì, che forse era morta ? Sempre con passo esitan te, s'avviò verso il salone dei ricevimenti. Qui, la realtà di ieri e quella d'oggi si mescolavano in un imprevisto grottesco. Stracci, scarpe rotte, sedie sgangherate, letfi sfondati, miseria e miseria trionfavano sotto gli affreschi magnifici e le decorazioni sontuose del soffitto. MentreVera osservava un amorino piangente in cospetto di un saldo guerriero intento a rapire una fanciulla, un parlare sommesso e concitato le fece voltare la testa. Sulla destra, vicino ad Un letto sfondato, un uomo tentava di abbracciare una ragazza. La ragazza si agitava e resisteva. O piuttosto fingeva di agitarei e di resistere, perchè di colpo si denudò e l'uomo le fu sopra. Vera si allontanò in fretta. Attraversò un corridoio e si riconobbe nella galleria d'arte. La raccolta dei Putilov era la migliore raccolta privata di Pietrogrado. Adesso, la maggior parte dei quadri mancava. I pochi che rimanevano erano sfregiati, squarciati, bruciacchiati. Vera cercò le opere care al suo cuore : un minuscolo Frate Augelico, un Goya, un piccolo Corot. Non c'erano più. Del Goya non restava che la cornice. In un angolo vide degli stracci. Si chinò d'istinto e ne raccolse uno. Era la tela del Goya. Aveva servito per strofinare il pavimento. Vera la riconobbe a6teuto. E quasi le vennero le lacrime agli occhi. Tuttavia, pensò di portarla in salvo così com'era. Stava per arrotolarla, quando una grossa voce maschile esclamò alle sue spalle: — Che prendi, compagna? . Si volse spaurita. Un (linone stava sulla soglia deliagalleria, sbracato, con le maniche rimboccate. Lì per lì, Vera non seppe che cosa rispondere, che scusa trovare. II valore del dipinto la inquietava. Temeva' d'essere stata colta in flagrante atto di furto di un bene ormai appartenente alla comunità. Nondimeno, non tardò a riacquistare il proprio sangue freddo. — Che vuoi che prenda? — rispose con indifferenza. — Degli stracci ! L'uomo scoppiò in una risata fragorosa. — Hai ragione, compagna! Non ci' («stanò che degli stracci. Anche tu sei arrivata troppo tardi. Una tentazione prepotente le venne di domandargli chi avesse portato via tutto e se almeno qualche cosa di bello fosse stato salvato. Ma si trattenne. Spinse una porta ed entrò in quello che era stato il salotto privato di sua madre. In questo salotto, c'era un ritratto che l'aveva sempre turbata: un ritratto della madre dipinto da Giovanni Boldini. Dna veste attillata di seta rosa le disegnava le forine ehe i toni ealdi della pittura facevano maggiormente risaltare. Il dipinto rappresentava la contessa Putilova sotto una luce che Vera soffriva a raffigurarsi : un'acuta e torbida sensualità fluttuava negli ocelli, siili" labbra e per tutto il corpo aotsvptzntppcVsDcadtsssimnbcsdcctvdsrPVgdella madre. Di rado, ella iiiimiimmmimimimii if aveva osato levarvi sopra gli occhi. Li levò adesso. Il volto era intatto. Ma giù, sui seni, sul candore rosa della veste spiccavano due grossi punti al nero-fumo... Vera fuggì dal salotto, attraversò di corsa alcune stanze, senza nulla vedere, senza nulla sentire. Correva d'istinto verso la sua vecchia camera per cercarvi un rifugio, un po' di quiete come un tempo, come quand'era bambina... Vi entrò di corsa. La porta si spalancò con un colpo secco. Da un pagliericcio disteso contro la parete, un uomo ancora giovaue scattò in piedi. Il naso largo e schiacciato, là* lunghezza del labbro superiore, la fronte "bassa e sfuggente gli davano un aspetto scimmiesco. Per un istante egli guardò Vera come sbalordito dall'apparizione improvvisa. Le sue ciglia batterono forte e la sua bocca era rimasta dischiusa. Poi, si mise a ridere e, ridendo, si avvicinò "alla ragazza con le braccia te6e e, prima che l'altra accennasse un tentativo di fuga, l'afferrò alla vita. La lotta si svolse rapida e violenta nello spazio ri stretto. Iva porta, urtata, si rinchiuse con un colpo sordo. Per sfuggire alla stretta, Vera si dibatteva, tentava di graffiare e di mordere-l'assalitore. Questi la serrava alla cintola. Avrebbe potuto, se voleva, spezzarla come un ramoscello. Ad un certo punto, allungando il collo, l'uomo cercò di baciarla. Di colpe, Vera sollevò le mani, le porfò al collo dell'uomo e, spasmodicamente, fece pressione sul la carotide piantandovi "der tro le unghie. Un rivolo cai do le fluì lungo le dita. La stretta dell'uomo si allentò. Di contraccolpo, le forze crebbero in Vera e le sue unghie si piantarono più rabbiose nelle carni di lui L'uomo allargò la stretta e si ritrasse. Era libera. Allora fuggì dalla camera. Riattraversò le altre stanze, la galleria la anticamera, si precipitò per lo scalone. E lasciò per sempre la vecchia casa. Paolo Zappa

Persone citate: Andrea Jvanovic Putilov, Del Goya, Giovanni Boldini, Goya, Krupp, Paolo Zappa, Schneider

Luoghi citati: Pietrogrado, Siberia, Vera