Le arringhe di difesa

Le arringhe di difesa Le arringhe di difesa Il Presidente dà la parola all'aw. Tommasini, difensore d'ufficio di Alfieri, Federzoni, Bignardi e Ciano. Egli esamina ed illustra le figure degli imputati, facendo risaltare la loro fede e le loro benemerenze, nonché il loro debito di riconoscenza verso il Duce. Nel caso particolare di Galeazzo Ciano, egli stima impossibile che l'imputato, tirato da cosi stretti vincoli familiari con il Duce, possa aver pensato ad un tradimento verso la sua persona. Col suo voto all'ordine del giorno Grandi, Ciano intendeva fare assumere al Sovrano le responsabilità che direttamente gli spettavano per la condotta della guerra. Inoltre non è ammissibile alcuna connivenza col Maresciallo Badoglio, dato che è provato come già da sette anni non esistesse più alcun rapporto fra il Ciftio e l'ex-Maresciallo. D'altra parte, la sua cosidetta fuga ha avuto per méta la Germania, cioè il Paese alleato, e questo esclude qualsiasi idea di tradimento verso la Germania. Quando, poi, fu arrestato il Duce, egli ha continuato a dare informazioni, sui movimenti del Duce stesso, appunto a una personalità germanica. Esalta, quindi, la figura particolare di Ciano combattente che non può essere tacciata di tradimento, e lo affida, insieme con tutti gli altri suoi difesi, alla coscienza illuminata dei giudici. Il Presidente, a questo punto, facendosi interprete del sentimento del tribunale, invita i difensori a trattare la causa sotto questi aspetti: dolo, motivo dell'azione, e quindi eventuale non identità del Solo e dei motivi: e tra i motivi illustrarne anche uno che può essere comune a molti: . avere inteso di agire con convinzione e anche con la convinzione di giovare al Paese: conseguenze di questa eventuale distinzione, oppure non distinzione e, se la convinzione di giovare al Paese discrimini o non discrimini. Per dieci contumaci Il Presidente sospende, quindi, per 10 minuti la seduta. Alla ripresa, prende la parola l'avvocato Betteri, difensore d'ufficio di 10 imputati contumaci, il quale, dopo aver rilevato l'importanza e la difficoltà della causa, afferma che il fatto della contumacia non comporta a priori la colpevolezza, in quanto molti possono essere i motivi che spingono un imputato a non intervenire al giudizio. Egli afferma che la difesa non ritiene siano scaturiti elementi veramente salienti per stabilire le varie colpe in merito al tradimento. I Viiembri del Gran Consiglio sa- Eevano benissimo quali sarebero state le conseguenze a loro carico che avrebbe provocato la caduta del Duce; e che, quindi, sarebbero stati essi stessi travolti. Queste sono considerazioni che occorre pur fare e delle quali il Tribunale deve tener conto. Si può considerare errore gravissimo quello di parte dei componenti del Gran Consiglio, di non aver saputo misurare le conseguenze prevedibili dell'atto che andavano compiendo, errore gravissimo, incompatibile, anzi, con le alte funztoni che erano loro affidate, ma non si può assolutamente dedurre da questo una responsabilità ] qualsiasi in ordine al reato di cui sono chiamati a risponde re e cioè di aver tradito l'Idea, di aver commesso azione di1 retta a scompaginare l'ordine I del paese e a favorire, cohiun- ■ ai que, le azioni del nemico danni della Patria. Questo per quanto riguarda i suoi difesi. Occorre fare una distinzione fra i 19 membri che hanno firmato l'ordine del giorno: occorre dividerli in due gruppi: uno esiguo, l'altro più irnpor i Ruttai Alfieri" e **"J^d^?2Ssrl„"p-H al! Ef'gErfuSSS^T** S^f?StedaCT.ffi " credendo di compiere un |™tto nell'interesse della Patria, ^ Regime e, soprattutto, del |D ehanno firmato senza :C0IT1 prendere" la gravità di ciò ; che 'stavano compiendo. E' da iescludere, in questo caso, ogni resp0n.sabilità in ordine al rea to ascritto: ed è da mandarli assolti per non aver commesso lji fatto, o per mancanza di ir—, -o--, .- j„ì^,„_„ t^te: nel primo debbono fim- dolo. H Presidente dà la parola all'aw. Bonardi, difensore di [Marinelli. Dopo una breve discussione con il Pubblico Accusatore che precisa che il reato è politico in quanto appartiene alla categoria dei reati politici, l'aw. difensore precisa che il processo è fatto da magistrati, sia pure straordinari, i quali giudicheranno secondo la coscienza, secondo la legge e secondo l'onore. Esamina, quindi, l'aspetto giuridico dei capi di imputazione e afferma, che, se il reato consiste nell'aver votato l'ordine del giorno, allora è superflua ogni discussione, ma, se costoro devono rispondere del complotto perpetrato allo scopo di rovesciare il Regime e di allontanare il Duce — e questa è la vera accusa — allora non basta provare che è stato votato l'ordine del giorno, ma occorre provare la esistenza del complotto, o la partecipazione ad esso. La « fiducia del Re » «Occorre quindi dedurre dalla personalità di ogni membro del Gran Consiglio con quale animo e con quale spirito abbia votato. Noi abbiamo qui un soldato, un diplomatico e un contadino. Tre differenti mentalità. Se voi non provate che questi tre individui hanno avuto l'interesse comune per votare in un'intesa comune, dovete veniire alla conclusione che ognuno ha votato secondo il suo temperamento. Di fronte alla possibilità di una persecuzione penale, 13 membri del Gran Consiglio si sono allontanati, altri 6 hanno affrontato serenamente U giudizio dei loro camerati. Ora questo elemento può essere mediocre, ma è un fatto, al quale non si può non dare un certo valore. «Vi è stato un complotto? Sicuramente. I fatti ce ne convincono. Ma di chi? Chi ne è stato il promotore, il caipo? Avete sentito che cosa ha scritto il Maresciallo Cavallero, che suffraga come si sono svolti i fatti. Già nel novembre 1942 si è tramato per sostituire il Duce, di cui si voleva la fine. Delusa questa speranza, si pensò ad una via trac versa. Non avendosi l'ardimento per un colpo di Stato rischioso, si pensò ad una sostituzione, attraverso una forma costituzionale, e, quindi al voto del Gran Consiglio. « n voto 6 delle 3 del mattino e, alle 5 del pomeriggio, cinque divisioni erano pronte a marciare su Roma, era designato il generale che doveva assumere il comando della piazza. In quelle quattordici ore si era provveduto all'occupazione militare, a tagliare i telefoni, a nominare il capo della polizia, non solo, ma a costituire il governo. Ora tutto questo non si fa dalle tre del mattino alle cinque del pomeriggio: occorre una preordinazione. Stabilito che vi è complotto, dobbiamo chiederci: chi ha complottato? Quando il Duce ha detto: « Godo la fiducia del Re, il quale mi ha dichiarato: voi pensate al fronte ed io penserò a proteggervi le spalle », o qualche cosa di simile, è naturale-che ci si domandi: era sincero il Re quando diceva questo al Duce ? Questo è l'interrogativo. Guardate gli imputati: non sono traditori. Marinelli, votando l'ordine del giorno, intendeva servire il Duce. Ciò può far sorridere oggi che se ne sono, visti -i risultati, ma quei risultati erano allora immaginabili? Ecco il punto: la votazione faceva prevedere la situazione catastrofica che si è verificata poi? ». Qui il difensore rifa la storia della votazione, affermando che essa non poteva far prevedere a tutti gli imputati le conseguenze del loro atto. Essi volevano porre la Corona di fronte alle proprie responsabilità. La discussione è stata indubbiamente confusa e Marinelli può aver commesso un errore. Per esservi dolo deve esserci intenzione prava di nuocere. Il difensore fa, quindi un'esaltazione della figura di Marinelli, uomo non politico, fedele al Duce e che ha sofferto serenamente per il Fascismo. La sua posizione esisteva in quanto sussistesse il Duce, fonie Capo del Fascismo. Poteva egli sperare qualche cosa dalla caduta del Fascismo? Ora, si tradisce per interesse o per ambizione, ma questi non potevano essere i moventi di Marinelli. Conclude facendo appello ai due sentimenti che devono guidare i giudici in un giudizio sereno e obiettivo: Dio e la coscienza. La lettera di Cianetti Lunedi, 10, terzo e ultimo giorno del dibaittito, la seduta ha inizio alle ore 8,45. ' Il Presidente dà subito la parola all'aw. Fortini, difensore di Tullio Cianetti. Egli inizia la sua arringa rammaricandosi di non essere stato presente allorché il suo difeso fece la propria deposizione. Però quelli che lo udirono rimasero commossi dall'accento di sincerità che scaturiva dalle sue diichiarazioni. « E ciò — prosegue l'avvocato — non può stupire tutti coloro che conoscono di Cianetti l'integrità e l'onestà ». L'aw. Fortini, entrando ora nel vivo della causa, afferma che essa non si risolve in una elegante questione di diritto. La questione essenziale è, invece, quella che nettamente ha proposto il Presidente: l'elemento intenzionale. « Per ciò che concerne il mio difeso — prosegue l'awocato Fortini — questa grave accusa non può sfiorarlo ». E qui l'oratore si diffonde a dare della vita onesta, povera e laboriosa di Cianetti, ponendone in rilievo i seguenti elementi morali: il suo passato di lavoratore che si è fatto da sè; H suo disinteresse per il denaro. « Salito ad un alto posto di comando, non arricchì; la sua. ascesa e fattiva passione per la causa dei lavoratori o degli operai che conobbero la sua parola di fede incitatrice e il suo esempio di assoluta rettitudine; il suo spirito combattentistico che lo ha portato, scoppiata la guerra, al fronte, dove si comportò valorosamente, guadagnandosi una medaglia d'argento al Valor Militare. Chi ha questo passato morale non può, dunque, essere un traditore ». A questo punto, l'aw. Fortini ricorda alcune circostanze significative che servono a lumeggiare meglio la posizione morale di Cianetti nei riguardi della sua azione fuori e dentro il Gran Consiglio. Egli non partecipa alla seduta preparatoria di quel consesso; anzi, nella giornata antecedente aQla riunione al Palazzo Venezia, egli venne ricevuto dal Duce ed ebbe con lui un colloquio che documenta, ancora una volta, la sua perfetta buona fede e, soprattutto, il suo devoto e leale attaccamento a Mussolini. Più nulla da dire «La verità, quindi, è — prosegue il difensore — che Cianetti, nell'ordine del giorno Grandi non vide che il mezzo per condurre più inflessibilmente la guerra, quella guerra che egli propugnò sempre in perfetto cameratismo con la Germania. Ma c'è di più: Cianetti chiese la fusione tra l'ordine del giorno Grandi e quello Scorza, e ciò allo scopo di placare gii animi accesi e determinare, in seno all'assemblea, quell'avvicinamento fra le varie tendenze che assicurasse la concordia in vista delle gravi decisioni che dovevano essere prese. « Ma se ancora vi sono dubbi, se è stato difficile stabilire le singole responsabilità o chiarire le parti che ciascuno ebbe in quell'assemblea, c'è un elemento decisivo — continua l'avv. Fortini — che testimonia della buona fede di Cianetti: questo elemento è la lettera che, poche ore dopo la seduta, l'imputato ha inviato al Duce: lettera, codesta, non di resipiscenza o di vana e inutile recriminazione, ma lettera aperta, franca, leale, nella quale Tullio Cianetti scrive coraggiosamente di essersi in- fannato sul contenuto dell'orine del giorno Grandi e, avendo aperto gli occhi e capito l'errore, dichiara di ritirare il suo voto, respingendo, cosi, nettamente, ogni forma di solidarietà coi traditori. E si noti — e qui sta il nodo giuridico oltre che morale della causa — che il' nome di Tullio Cianetti nemmeno dovrebbe apparire tra i firmatari dell'ordine del giorno Grandi (e, quindi, egli non dovrebbe nemmeno sedere sul banco degli accusati) in quanto che il Duce, quando ricevette la lettera in questione, teneva ancora presso di sè l'ordine del giorno che, in tal modo, restava ancora inattivo nei riguardi del Regime. Ma durante l'infausto periodo badogliano, quella lettera fu trovata sul tavolo del Duce; cosicché per essa gli antifascisti si scagliarono violentemente contro Cianetti, accusandolo : essere un sostenitore irriducibile del Regime, della guerra e dell'alleanza con la Germania ». L'aw. Fortini termina la sua difesa, augurandosi che una sentenza di giustizia e di riabilitazione ridoni Tullio Cianetti alla famiglia. Dopo l'arringa dell'avv. Fortini, il Presidente chiede agli imputati se nulla hanno da aggiungere alle parole dei loro difensori. Gli imputati rispondono di no.

Luoghi citati: Germania, Roma, Venezia