L'ORA della giustizia

L'ORA della giustizia L'ORA della giustizia Fata trahìtM. La scure è caduta. La .giustizia non ha indietreggiato, come non indietreggia la storia. E' stata, non dubitiamone, una decisione durissi ma anche per chi ha dovuto prenderla. La Nemes: odierna reca sul volto i! pallore marmoreo della necessità, non certo le fiamme torbide della vendetta. Ma troppo ormai si era perdonato, troppo s'era lasciato correre, su troppe cose si era dilapidato l'oro prezioso della pazienza perchè l'ultima parola potesse ancora spettare al la magnanimità- o alla misericordia. Vent'anni di indulgenza, ripagati a prezzo di ingratitudine e di tradimento, bastano, o piuttosto son troppi. Il perdono è un lusso, e la situazione del Paese non permette più lussi. Bisognava colpire: si è colpito. I giustiziati di Veroni scontano col castigo estre mo il gesto dissennato che. per fulminei e forse impensati, ma certo non impensabili trapassi, ha gettato le patria inerme ai piedi de! nemico, privandola non solo di un esercito e di una flotta, ma di • un'anima. Scontano la distruzione nefanda dell'edificio nazionale faticosamente costruito mercè il sangue e il denaro del popolo, scontano la divisione della patria, la guerra insediata nel cuore stesso d'Italia, al nostro stesso focolare, il buio torpore caduto sulla coscienza pubblica, il disprezzo ingiustamente votato dal mondo a un popolo che pur si era battuto da valoroso e aveva dimostra- ito di saper virilmente sof- ture. Ma oaeano anche Dei \molti tradimenti minori, proprii ed altrui, per le molte infedeltà ad effetto ritardato, per le ben coperte indiscipline, per le transazioni colpevoli, per tutto quello che giorno per giorno, e sin da molto prima lei 25 luglio 1943, ha ferito al braccio e all'ala la Rivoluzione, e, attraverso questa, l'Italia, e che se non si avesse oggi il coraggio dell'intransigenza potrebbe domani non soltanto ferirema uccidere l'una e l'altra. Salus reipublicae suprema lex. La sentenza di Verona è la prova che la Repubblica fa sul serio. Che il monito valga per chi ne ha bisogno e induca il Paese intero a recuperare al più presto l'esatta coscienza dei propri doveri e quella dei diritti supremi della patria. [ idi Grandi, Ciano, Farinacci,I Bottai e di altri e riporta lei \varole pronunciate dal Ducenn [«.Quest'ordine del giorno quello di Grandi — (l'imputato assicura di avere ottima memoria) pone due ordini di problemi: o il Re accetta e si pongono dei problemi, fra i quali il mio personale, o il Re non accetta e si pongono altri problemi ». Cianetti attribuisce a Grandi le sue responsabilità; ma aggiunge: « E' certo che se io avessi avuto la benché minima sensazione che egli fosse un traditore, non solo non avrei sottoscritto quell'ordine del giorno, ma avrei fatto, nella notte stessa, quello che avrebbe potuto essere fatto ». Cianetti parla, poi, del discorso che egli pronunziò al Gran Consiglio e afferma di aver mosso, in esso, alcune critiche alla stampa e allo Stato Maggiore, che « giocava alla disfatta ». A richiesta del Presidente, l'imputato parla della lettera da lui inviata al Duce dopo dieci ore dalla seduta; lettera scritta perchè solamente allora egli cominciò a riflettere intorno all'agguato contenuto nella seconda parte dell'ordine del giorno di Grandi! E, per sgravare la coscienza, scrisse ài Duce per dichiarargli di voler ritirare il suo voto favorevole alla mozione Grandi e, riconoscendo il grave errore commesso, di voler mettere a disposizione la sua carica di ministro. L'imputato, concludendo la sua deposizione, afferma che, se ha sbagliato, è pronto a pagare, anche se il pagare sarà duro. Ma giura che ogni si<o atto è stato sempre dettato dalla fede e dall'entusiasmo per il Fascismo e per il Duce, nel quale ha creduto, crede e crederà sempre. Il Presidente interrompe la seduta e la rinvia alle 14,30. Alle 14.45 il dibattito riprende. — I[gGottardi H Presidente avverte che, per risparmiare tempo, leggerà le parti dei memoriali che hanno stretta attinenza alla causa, alla riunione del Gran Consiglio, e, poi, darà la parola agli imputati. Si inizia dal memoriale di IGottardi il quale respinge gli i addebiti che gli%ono stati fatnti. Egli si appella al suo pas l , a Isato di soldato che è sempre sfuggito alla politica militante. Afferma dì essere andato [alla seduta del Gran Consiglio, senza conoscerne ancora gli altri componenti, e di non aver mai preso la parola durante la seduta. La sua impressione è che la discussione volesse conoscere ed approfondire quali fossero i caposaldi per la continuazione della guerra. Ha votato favorevolmente all'ordine del giorno Grandi con la precisa coscienza di liberare il Duce dalla grave responsabilità del Comando Supremo delle Forze Armate. In un altro memoriale, che il Presidente pure legge, Gottardi dichiara di essere rimasto impressionato dal fatto che il Gran Consiglio fosse stato convocato senza che i giornali ne dessero l'annuncio. Data poi la circostanza che egli non aveva mai partecipato a sedute del Gran Consiglio, ritenne opportuno consigliarsi con Bignardi • con Cianetti, perchè lo istruissero sul modo di comportarsi. e a n Marinelli Il Presidente, ora, dà lettura dell'interrogatorio reso da Marinelli, in istruttoria, e nel quale l'imputato protesta contro le accuse che gli sono state mosse. Egli dichiara che, nella prima parìe della seduta del Gran Cotisiglio, si parlò soltanto della situazione militane. Però egli, non partecipò alla discussione, limitandosi a seguire attentamente tutto ciò che il Duce esponeva. Allorché il Duce invitò il Segretario del Partito a procedere alla votazione dell'ordine del giorno Grandi, per appello nominale, egli votò favorevolmente nella piena convinzione che nulla di grave per il Fascismo potesse derivarne. A richiesta del Presidente, afferma di nonjtver visto nessun membro del Gran Consiglio prima della seduta. A precisa domanda del Presidente, se l'imputato avesse udito la dichiarazione del dilemma posto da! Duce. Marinelli afferma di non averlo sentito.

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