IL DONO del condannato

IL DONO del condannato IL DONO del condannato Questa è una star]., di de-1 pportati in Siberia Dtto lo J auar. Me la raccont Simone Nikolajevic a Millevó. Ma Ivan Teodorovic, eh l'aveva ascoltata con me eiije era etato in Siberia1 sott il nuovo regime, quandcSimone fu alla fine, oaservche le cose con i bolsceviciipn erano cambiate. — Solo che, — àegò — Be qualcuno restava per la strada, non gli metiVano la croce. Simone Nikolaje.c aveva preso il racconto finito alla larga e aveva ^ orbimi ato con il fare lento jiprio dei russi e con una ònvàia di particolari persiti' ioiosa. Per raccontare i\xtl moti avvenuti neH'e«tatclèl 1916 a Pietrogrado, impgò oltre un'ora. Dovemmc sentire persi no i vari discoi da lui tenuti in quei Ionia! comizi. Ma poi, precisavate nell'ottobre del '16, Dcrana lo beccò mandandolo »n altri 350 in Siberia, .'artirono ammucchiati in s. vagoni bestiame. Attraveo la linea di Berinskaja, il tróp avreb be dovuto raggingere la transiberiana a Poopavlov ka. Il termometroxHJcava : 10 gradi sotto zeicdì giorno e i 22-25 di notte Con il treno in corsa, il reddo au montava. Ogni tato, arrivava un po' di »je. JJna neve simile a fana. Gli sportelli dei vagolinoli chiù devano bene. Sì ci la neve, 11 vento ed il fredb vi entravano come a jasa loro Per tre giorni, n<sèno dormì per paura di lorire congelato. Ne morirà© ugualmente sei. Alla ara del terzo giorno, il tren si fermò in una stazione dda steppa Passò un'ora, due tre e passò tutto il pomeìggio. Al mattino successi1}, il comandante della e>rta, il te nente Kretinski, rio che veniva dalla riserv., si recò dal capo-stazione e ritornò bestemmiando. 1 capo-sta zione gli aveva rferito che sei ponti e due vadotti erano stati schiantat dai ghiacci, che il treno ón poteva andare avanti •1 che per raggiungerla Tansiberiana si dovevano cerniere più di 300 chilometri, ài coman dante secoava mittis;,imo abbandonare il sud vagone ri scaldato. Ma norc'era nien te da fare. Ripartirono a pedi nel po meriggio. Non nevicava più Ma la neve cadu4 era mol le. Vi ni sprofondava fino ai garretti. Tanto ohe tirare fuori i piedi costruiva una fatica immensa. li in una tinta opa basso. L'atmosferi bra riè raggi era p^itta e li - vida. E la neve presentava lo stesso colore IìvìiJd del eie lo e dell'aria. La natura tutta mostrava il suo tolto osti le come se si fosse 'coalizzata contro quei disgraziati che camminavano su file di quattro. Mentre due uomini di scorta stavano in testa e gl: altri, scaglionati ojni quindi ci metri. Dietro, veniva il comando. I relegati portavano i loro fagotti in iepalla. Tutti avevano escogitato dei mezzi ingegnosi per teuerli appesi od in equilibrio senza dovere adoperare le mani. t Il tenente Kretinski continuava a bestemmiare e a borbottare che era una porcheria compiere quel tratto Kr via ordinaria, che avrebfatto rapporto a chi di ragione e che, se avesse sapu-' to una cosa del genere, non avrebbe accettato di portare quella gente in Siberia, perchè lui non era un poliziotto di mestiere, non aveva fatto niente di male, ed in fin dei conti era una persona onesta. Sfogava il suo malumore sugli uomini della scorta. Questi borbottavano anche essi che non erano degli aguzzini di mestiere, ma, non potendo fare diversamente, sfogavano sui deportati il malumore proprio e quello del comandante. La. frusta, una corta frusta tagliente, sibilava con facilità. Chi inciampava costituiva un pericolo per sè e per gli altri: le fila si sbandavano, qualcuno usciva fuori dalle fila, i sorveglianti accorrevano e le frustate fioccavano. Si aveva un bel raccomandare di non camminare con la testa in aria, di fare attenzione dove si metteva il piede e, per non scivolare, di irrigidire i muscoli e di posare completamente la pianta del piede. Dei distratti, degli incapaci, degli sfiniti, ce n'erano sempre. I più tartassati dalla frusta erano quelli delle file esterne. Dove nessuno voleva stare. Le uniche discussioni fra i deportati vertevano su questo, perchè, per quanto grande sia la solida rietà nella miseria nonché lo spirito di sacrificio e la mu tua comprensione, a nessuno piace prendersi le frustate ssnielo fuso pesava 1 senz'om btcondbosgtiseEdnsnsddgtars per colpa o per conto degli altri. Dopo aei giorni, il cielo e ' r a e r o o e sempre chiuso e compatto, si spalancò. Ed i deportata conobbero un inatteso marti. Il sole traeva dalla neve barbagiii di metallo che scorticavano gli occhi. Gli occhi cercavano di fuggirli, ma ovunque si posassero rimanevano prigionieri del sole e dei suoi riflessi. Il sole poi, battendo sulla neve, toglieva ogni contorno alle cose. E i suoi riflessi, scintillando a grande distanza come ipotetici laghi, creavano orizzonti irreali. Che aumentavano il senso d'infinito, di immenso e di vuoto che dà la steppa. Era come se la strada non dovesse più finire, la vita non fremesse più e non esistessero altri rumori e suoni che il battito dei loro passi ed i loro sospiri, il sibilo della frusta, le bestemmie del comandante, le urla degli uomini di scorta ed i can ti che qualche prigioniero abbozzava nell'illusione di aiutarsi a camminare. Verso le quattro, il marti rio finiva. VenìVa il tramonto. Co! tramonto, l'orizzonte si precisava, ritornavano contorni delle cose e ritornava il senso della vicinanza degli esseri e della vita. Poi, cadeva la notte. E con la notte la steppa diventava, un mare azzurro. Dove i piccoli lumi dei villaggi indicavano il porto vicino. Si camminava ancora, a volte per una ora, a volte per due. Una lanterna cercava la strada che la notte e la neve nascondevano. Il comandante smetteva di bestemmiare^ gli uomini della scorta si facevano meno brutali, i deportati camminavano con passo meno pesante e più impaziente. I loro piedi si affondavano nella neve. E la notte ne riempiva le impronte di ombre blu quasi volesse segnare così la strada della maledizione. I deportati passavano le notti nelle stalle delle comunità paesane. Che notti calde dopo le giornate rigide ! Le bestie soffiavano un vapore umido che li avvolgeva come coperte di soffice lana. Una notte, un uomo della ecorta, fingendo di sbagliarsi, andò ad allungarsi accanto ad una deportata ancora giovane. Delicatamente, due deportati lo presero per le braccia e per le gambe, lo bilanciarono! di qua e di là e uno, due, tre lo buttarono a volo fra le mucche. L'imprudente, con le ossa rotte, gridò alla rivolta. Una sentinella armata sparò. Il comandante accorse. Era ubriaco, ma non del tutto. Trovò i deportati che dormivano a pugni chiusi. L'uomo non riuscì a spiegare la pretesa rivolta e venne punito con sei frustate. Beveva molto il comandante, ma non era un bruto. I deportati ne ebbero la prova quand'egli dovette ordinare la fucilazione di Elia Fiodorovio Russukov. Si vedova che la decisione gli era costata molta fatica. Ma il regolamento era il regolamento, c II primo tentativo di fuga — diceva — sarà punito con 20 frustate. Il secondo, con la morte ». Ed Elia Russukov era al suo terzo tentativo. Una pallottola in una gamba l'aveva immobilizzato a 400 metri. Si era in mezzo alla steppa. A vista d'occhio non si vedeva un albero, manco a pagarlo. Ora, il comandante voleva fare le cose in regola : legarlo bene bene ad un albero, bendargli gli occhi, schierare gli uomini e ordinare il fuoco abbassando la spada. Non gli piaceva freddare un cristiano come un cane. Ma non c'era un albero. E lui non aveva la spada essendo in divisa da campagna. Per la spada, avrebbe rimediato abbassando la mano armata della rivoltella. Ma l'albero dove trovarlo? Al prossimo villaggio? Non poteva trascinarsi dietro fino al prossimo villaggio Elia Russukov, ferito com'era. Per fortuna, guarda guarda, si vide ad un centinaio di metri un palo» indicatore. Quello che ci vuole 1 — esclamò il comandante. Russukov venne trascinato fin là, con i deportati dietro. Stavano per legarlo al paletto indicatore, mentre i deportati gli venivano allineati di fronte perchè la sua esecuzione servisse da esempio e il comandante esclamava — Io non scherzo ! Non me la si fa ! Io non scherzo ! Stavano, dunque, per le garlo, quando con modi cor tesi e con voce tranquilla Jtussukov si rivolse al co mandante: — Permettete, signor co mandante, che mi svesta? A me i vestiti non servono più. 1 Possono servire a qualche bchPqlccaEdgri compagno. Fa tanto freddo I Il comandante assenti. Russukov si tolse il giubbone. A te, Simone Nikolajevic ! La tua giubba è troppo sottile. E gettò il giubbone di cotonina imbottita a Simone che tremava sotto una giubbetta di tela. Si tirò via il camiciotto. — Tu, Pietro Efimovic, ne hai uno solo, se non sbaglio. Puoi cambiartelo. Sta tranquillo. Non ha pidocchi. Incontrò molta difficoltà a levarsi i calzoni e le scarpe, causa la ferita. Gli uomini, che dovevano fucilarlo, lo aiutarono premurosamente. Elia si tolse anche le mutande. Ma si dimenticò di togliersi il berretto. Aveva' il petto coperto da lunghi peli neri, gli occhiali ed il berretto in testa. Sulla ferita, il eangue si era raggrumato. Egli stava in piedi su di una gamba sola. Si lasciò legare al paletto senza fare storie. Il tenente Kretinski gli concesse due minuti per mettersi a posto con la sua coscienza e con Dio. Intanto, schierava gli uomini. Ma, prima che il comandante ordinasse il fuoco, Elia Russukov stramazzò a terra, lui ed il palo, ucciso dal freddo. Il comandante ordinò a due deportati di scavargli la fossa. Do po, lui stesso ruppe in due il paletto, ne compose una croce e la piantò sulla tomba. Paolo Zappa

Persone citate: Elia Fiodorovio Russukov, Elia Russukov, Ivan Teodorovic, Paolo Zappa, Simone Nikolaje, Simone Nikolajevic

Luoghi citati: Pietrogrado, Siberia