Si accusa: "Ho ucciso mia moglie» ma la polizia non trova il cadavere

Si accusa: "Ho ucciso mia moglie» ma la polizia non trova il cadavere In questura, è la seconda volta che dice di aver compiuto il delitto Si accusa: "Ho ucciso mia moglie» ma la polizia non trova il cadavere Prima era andato alle Molinette, perdeva sangue dal polso • Un racconto nebuloso: avrebbe ammazzato la donna, poi si sarebbe tagliato le vene - "Mi aveva mandato in carcere per sfruttamento" - Ha consegnato Tarma del "delitto" a un amico, ma è una scacciacani - L'anno scorso aveva detto di averla ammazzata a coltellate, ma la donna si era presentata poco dopo Un uomo di 35 anni si è presentato nella notte di sabato al pronto soccorso delle Molinette. Aveva le vene del polso sinistro recise. « Volevo morire — ha raccontato all'agente di servizio — Ero disperato: giovedì sera ho ucciso mia moglie. Mi accusava di sfruttamento, mi aveva mandato anche in carcere per questo. Ora voleva indietro una lettera in cui aveva dichiarato la mia innocenza. Ero esasperato. Le ho sparato due colpi alla testa, poi ho gettato il cadavere nel Po, a San Mauro ». E' stato fermato per omicidio volontario, sebbene sul suo racconto gravino forti dubbi. Si chiama Tonino Antonioli, vive in un albergo di Cavoretto, fino a giovedì scorso insieme con la moglie Gina Musucchi, di 30 anni. Si sono sposati 18 anni fa, a Ferrara, dove Tonino Antonioli è nato ed è sempre vissuto. Il loro matrimonio è stato subito tormentato da litigi furibondi: Antonioli beveva, rinfacciava alla moglie sciatteria e poco amore, certe volte alzava anche le mani. Sono nati tre figli: Ulderico, che ora ha 11 anni, Ersidea, che ne ha 10, Cristina, di 3 e mezzo. A Ferrara Antonioli fa il decoratore, ma saltuariamente: quando la salute, che si fa cagionevole con il bere, glielo consente. I rapporti tra i coniugi peggiorano con il passare degli anni, il disaccordo sembra insanabile. Nel tentativo di continuare la tormentata convivenza, nel dicembre del '70 si trasferiscono a Torino, in un povero alloggio di barriera Milano: Gina Musucchi spera di trovare lavoro in città, pensa che il marito cambi. Invece cambia proprio niente: la vita nella squallida periferia, senza un'attività stabile, si rivela subito intollerabile. Le liti continuano, sempre più violente, anche davanti ai bambini, che ne sono spesso la causa involontaria. « Tonino li odia — accusa la moglie, che si confida con i vicini — dice che non sopporta la loro presenza». Tanto che, nel gennaio del '72 i tre bambini vengono abbandonati, in piena notte, davanti alla porta dell'Istituto Pro Infantia Derelicta di via Asti. Il più grande ha in mano una lettera: «Abbiate cura di loro. Da questo momento non hanno né padre, né madre ». La mattina seguente sono trovati, infreddoliti e in lacrime. Ulderico racconta: «Abitiamo in barriera Milano ». Ma nella stessa notte i genitori sono scomparsi. Si sono trasferiti (ma occorreranno lunghe indagini di polizia per stabilirlo) in uno squallido alloggio di largo Saluzzo: due stanze, dove conducono una grama esistenza. Nei primi mesi del '72, Tonino Antonioli finisce in carcere: la moglie lo accusa di sfruttamento. «Mi ha spinta sul marciapiede — racconta alla polizia — e prefende tutto il danaro ». Lui esce dalle « Nuove » ad ottobre di quest'anno, per decorrenza di termini. La moglie non sta più nella vec¬ cSuchprpm chia casa di largo Saluzzo. Si trasferiscono, insieme, in un albergo di Cavoretto. Dice Tonino Antonioli: « Non ho idea di quel che facesse lei, di quel che avesse fatto per sopravvivere. Mi hanno riferito che batteva il marciapiede, ma non so; non ne ho mai avuto le prove. So soltanto che la colpa della galera che avevo scontato era sua ». Dopo qualche settimana di pace relativa, ancora litigi. « Io cercavo di convincerla a ritirare le sue false accuse — dice Antonioli — e ci sono anche riuscito. Una sera lei ha scritto una lettera in cui diceva tutta la verità: che io non l'avevo mai sfruttata, che si litigava perché eravamo poveri, non perché io l'avessi spinta sul marciapiede ». La sera del 27, secondo il racconto di Antonioli, i due sarebbero usciti per andare al cinema. « Siamo rientrati molto tardi, verso le due. Ci siamo avviati verso San Mauro con la mia auto, una vecchia " 600 ". Lei era piuttosto alterata: "Senti — mi ha detto — rivoglio indietro quella lettera. Non ho più intenzione di scagionarti. " Io ho tentato di convincerla che stava commettendo una ingiustizia nei miei confronti. Abbiamo litigato». A questo punto, secondo l'Antonioli, il delitto. «Ero esasperato. Le ho dato un ceffone. Abbiamo lottato qualche minuto. Le ho gettato il cappotto sulla testa. Non so come, mi sono trovato la rivoltella tra le mani. Le ho sparato. Due colpi. Non ha fatto un gemito. Nulla. Così com'era, l'ho trascinata fuori dall'auto, l'ho scaraventata giù per il burrone, fino all'acqua. Ho sentito il tonfo. Poi più nulla ». Dalla sera del 27 alla confessione sono passati due giorni: « Ore tremende, in cui bevevo e bevevo. Ero come fuori di me, febbricitante e pazzo. Sabato sera ho incontrato un amico, gli ho detto di aiutarmi a ritrovare mia moglie. Siamo stati in via Vigliane dove di solito lei andava. Siamo rimasti là fino all'una. Poi siamo rincasati. Qui ho consegnato a lui la pistola, gli ho detto "voglio farla finita ", mi sono chiuso in una stanza e mi sono tagliato le vene ». E' stato proprio questo amico — Franco Milano, 32 anni, via Tonale 25 — ad accompagnare l'Antonioli in ospedale. La confessione del presunto delitto è stata raccolta prima dall'agente di servizio e poi, in questura, dal dottor Notarbartolo, sostituto procuratore della Repubblica, e dal dirigente della Mobile, dottor Falzone. Alle dieci di ieri il magistrato e il dottor Fersini, insieme con Falzone, sono andati a compiere un sopralluogo sul punto in cui Gina Musucchi sarebbe stata gettata in Po. Il racconto di Tonino Antonioli è stato ancora una volta circostanziato e attendibile. Ma c'è una contraddizione estremamente importante: la « rivoltella » consegnata dall'« omicida » all'amico — sequestrata dalla polizia — è una scacciacani. C'è inoltre una circostanza che conferma i dubbi sull'attendibilità del racconto. Nel marzo dell'anno scorso già una volta Tonino Antonioli si presentò ai carabinieri accusandosi di aver ucciso la moglie: « L'ho colpita con un coltello, in cucina. Ho tentato poi di tam¬ ponare le ferite, ma lei era morta. L'ho gettata nel Po, ma non ho saputo resistere al rimorso ». La donna si presentò due giorni dopo in questura: « Come vedete, sono viva. Me ne sono andata di casa dopo un litigio ». E c'è infine una ritrattazione: ieri sera Antonioli ha chiesto di parlare con un funzionario: « Non è vero niente. Lei se n'è andata e volevo farle un dispetto ». Tonino Antonioli, 35 anni, ripete: "Ero esasperato per le continue liti " vittima " Gina Musucchi - Vigili del fuoco scandagliano Si accusa: "Ho ucciso mia moglie» ma la polizia non trova il cadavere In questura, è la seconda volta che dice di aver compiuto il delitto Si accusa: "Ho ucciso mia moglie» ma la polizia non trova il cadavere Prima era andato alle Molinette, perdeva sangue dal polso • Un racconto nebuloso: avrebbe ammazzato la donna, poi si sarebbe tagliato le vene - "Mi aveva mandato in carcere per sfruttamento" - Ha consegnato Tarma del "delitto" a un amico, ma è una scacciacani - L'anno scorso aveva detto di averla ammazzata a coltellate, ma la donna si era presentata poco dopo Un uomo di 35 anni si è presentato nella notte di sabato al pronto soccorso delle Molinette. Aveva le vene del polso sinistro recise. « Volevo morire — ha raccontato all'agente di servizio — Ero disperato: giovedì sera ho ucciso mia moglie. Mi accusava di sfruttamento, mi aveva mandato anche in carcere per questo. Ora voleva indietro una lettera in cui aveva dichiarato la mia innocenza. Ero esasperato. Le ho sparato due colpi alla testa, poi ho gettato il cadavere nel Po, a San Mauro ». E' stato fermato per omicidio volontario, sebbene sul suo racconto gravino forti dubbi. Si chiama Tonino Antonioli, vive in un albergo di Cavoretto, fino a giovedì scorso insieme con la moglie Gina Musucchi, di 30 anni. Si sono sposati 18 anni fa, a Ferrara, dove Tonino Antonioli è nato ed è sempre vissuto. Il loro matrimonio è stato subito tormentato da litigi furibondi: Antonioli beveva, rinfacciava alla moglie sciatteria e poco amore, certe volte alzava anche le mani. Sono nati tre figli: Ulderico, che ora ha 11 anni, Ersidea, che ne ha 10, Cristina, di 3 e mezzo. A Ferrara Antonioli fa il decoratore, ma saltuariamente: quando la salute, che si fa cagionevole con il bere, glielo consente. I rapporti tra i coniugi peggiorano con il passare degli anni, il disaccordo sembra insanabile. Nel tentativo di continuare la tormentata convivenza, nel dicembre del '70 si trasferiscono a Torino, in un povero alloggio di barriera Milano: Gina Musucchi spera di trovare lavoro in città, pensa che il marito cambi. Invece cambia proprio niente: la vita nella squallida periferia, senza un'attività stabile, si rivela subito intollerabile. Le liti continuano, sempre più violente, anche davanti ai bambini, che ne sono spesso la causa involontaria. « Tonino li odia — accusa la moglie, che si confida con i vicini — dice che non sopporta la loro presenza». Tanto che, nel gennaio del '72 i tre bambini vengono abbandonati, in piena notte, davanti alla porta dell'Istituto Pro Infantia Derelicta di via Asti. Il più grande ha in mano una lettera: «Abbiate cura di loro. Da questo momento non hanno né padre, né madre ». La mattina seguente sono trovati, infreddoliti e in lacrime. Ulderico racconta: «Abitiamo in barriera Milano ». Ma nella stessa notte i genitori sono scomparsi. Si sono trasferiti (ma occorreranno lunghe indagini di polizia per stabilirlo) in uno squallido alloggio di largo Saluzzo: due stanze, dove conducono una grama esistenza. Nei primi mesi del '72, Tonino Antonioli finisce in carcere: la moglie lo accusa di sfruttamento. «Mi ha spinta sul marciapiede — racconta alla polizia — e prefende tutto il danaro ». Lui esce dalle « Nuove » ad ottobre di quest'anno, per decorrenza di termini. La moglie non sta più nella vec¬ cSuchprpm chia casa di largo Saluzzo. Si trasferiscono, insieme, in un albergo di Cavoretto. Dice Tonino Antonioli: « Non ho idea di quel che facesse lei, di quel che avesse fatto per sopravvivere. Mi hanno riferito che batteva il marciapiede, ma non so; non ne ho mai avuto le prove. So soltanto che la colpa della galera che avevo scontato era sua ». Dopo qualche settimana di pace relativa, ancora litigi. « Io cercavo di convincerla a ritirare le sue false accuse — dice Antonioli — e ci sono anche riuscito. Una sera lei ha scritto una lettera in cui diceva tutta la verità: che io non l'avevo mai sfruttata, che si litigava perché eravamo poveri, non perché io l'avessi spinta sul marciapiede ». La sera del 27, secondo il racconto di Antonioli, i due sarebbero usciti per andare al cinema. « Siamo rientrati molto tardi, verso le due. Ci siamo avviati verso San Mauro con la mia auto, una vecchia " 600 ". Lei era piuttosto alterata: "Senti — mi ha detto — rivoglio indietro quella lettera. Non ho più intenzione di scagionarti. " Io ho tentato di convincerla che stava commettendo una ingiustizia nei miei confronti. Abbiamo litigato». A questo punto, secondo l'Antonioli, il delitto. «Ero esasperato. Le ho dato un ceffone. Abbiamo lottato qualche minuto. Le ho gettato il cappotto sulla testa. Non so come, mi sono trovato la rivoltella tra le mani. Le ho sparato. Due colpi. Non ha fatto un gemito. Nulla. Così com'era, l'ho trascinata fuori dall'auto, l'ho scaraventata giù per il burrone, fino all'acqua. Ho sentito il tonfo. Poi più nulla ». Dalla sera del 27 alla confessione sono passati due giorni: « Ore tremende, in cui bevevo e bevevo. Ero come fuori di me, febbricitante e pazzo. Sabato sera ho incontrato un amico, gli ho detto di aiutarmi a ritrovare mia moglie. Siamo stati in via Vigliane dove di solito lei andava. Siamo rimasti là fino all'una. Poi siamo rincasati. Qui ho consegnato a lui la pistola, gli ho detto "voglio farla finita ", mi sono chiuso in una stanza e mi sono tagliato le vene ». E' stato proprio questo amico — Franco Milano, 32 anni, via Tonale 25 — ad accompagnare l'Antonioli in ospedale. La confessione del presunto delitto è stata raccolta prima dall'agente di servizio e poi, in questura, dal dottor Notarbartolo, sostituto procuratore della Repubblica, e dal dirigente della Mobile, dottor Falzone. Alle dieci di ieri il magistrato e il dottor Fersini, insieme con Falzone, sono andati a compiere un sopralluogo sul punto in cui Gina Musucchi sarebbe stata gettata in Po. Il racconto di Tonino Antonioli è stato ancora una volta circostanziato e attendibile. Ma c'è una contraddizione estremamente importante: la « rivoltella » consegnata dall'« omicida » all'amico — sequestrata dalla polizia — è una scacciacani. C'è inoltre una circostanza che conferma i dubbi sull'attendibilità del racconto. Nel marzo dell'anno scorso già una volta Tonino Antonioli si presentò ai carabinieri accusandosi di aver ucciso la moglie: « L'ho colpita con un coltello, in cucina. Ho tentato poi di tam¬ ponare le ferite, ma lei era morta. L'ho gettata nel Po, ma non ho saputo resistere al rimorso ». La donna si presentò due giorni dopo in questura: « Come vedete, sono viva. Me ne sono andata di casa dopo un litigio ». E c'è infine una ritrattazione: ieri sera Antonioli ha chiesto di parlare con un funzionario: « Non è vero niente. Lei se n'è andata e volevo farle un dispetto ». Tonino Antonioli, 35 anni, ripete: "Ero esasperato per le continue liti " vittima " Gina Musucchi - Vigili del fuoco scandagliano

Luoghi citati: Ferrara, Milano, San Mauro, Torino