Gli uomini della pace di Renzo Carnevali

Gli uomini della pace KISSINGER E GROMIKO CON ARABI E ISRAELIANI A GINEVRA Gli uomini della pace Il segretario di Stato è ritornato in America, forse per sposarsi - Il suo modello sta generando emuli ed allievi in tutto il mondo L'egiziano Fahmi e l'israeliano Abba Eban sono pronti, fra le polemiche, ai motti di spirito - I gelidi interventi del sovietico (Dal nostro inviato speciale) Ginevra, 23 dicembre. Venti minuti di seduta a porte chiuse sono bastali, ieri sera, non soltanto per un primo accordo di natura procedurale (non poteva esservi, all'inizio, accordo di altra natura) tra i ministri degli Esteri partecipanti alla conferenza per la pace in Medio Oriente, ma anche e soprattutto per fugare le pesanti impressioni del giorno avanti, il primo dell'incontro di Ginevra, dedicato dalla mattina alla sera a verbosità astiose, dette per essere udite (ciò era ben compreso fin dall'inizio) non dagli interlocutori seduti ai tavoli e dalla fantomatica presenza siriana al settimo tavolo vuoto, ma da un pubblico assente e lontano che attendeva, dopo la guerra delle armi, una guerra di parole. La ragnatela Che cosa era accaduto dunque fra un giorno e l'altro? Venerdì Kissinger, il parvenu del dipartimento di Stato, sorridente liquidatore dei miti americani degli Anni Cinquanta e Sessanta, e, assieme ad essi, della diplomazia iniziata e blasée, pareva sommerso dalla marea di eloquenza vecchio stile, tradita dai suoi allievi, ancora esaminandi, del Medio Oriente. La ragnatela che egli aveva teso in sette giorni di colloqui mediorientali pareva lacerata. Ma sabato, lo spirito di Kissinger è riemerso, vincitore sempre e arrischiato, come in ogni altro suo successo; e la conferenza, salva, proseguirà per le vie sicure, discrete e realistiche della tecnocrazia. Una sera, inoltrata nella notte, e un mattino di colloqui a due (tra cui quello memorabile di Abba Eban con Gromiko) l'ha rimessa in carreggiata con relativa facilità. Sempre più evidentemente, i grandi affari internazionali si fanno in sala da pranzo o in salotto e le inlese, anche di molti partners, so- no la somma di intese raggiunte a due a due. Questa è la ragnatela di Kissinger, il cui intreccio è formato da esili e precari fili, fissati ai vari punti cardinali della controversia, con i colloqui iniziali. Nell'urto del primo giorno l'uno ha retto l'altro, l'ordito si è rivelato robusto. Kissinger è potuto ritornare in America, salutando con il largo sorriso da ragaz- Nixon | 20, dall'aggrondato per riferire, e dalla tenera Nancy McGuinness per decidere con lei, forse, quel matrimonio di cui tanto si parla da 48 ore (nell'epoca di Rissi'" '•.r. il rosa immancabilme;.. ravviva i contorni della politica). Due giorni di lavoro a Ginevra non soltanto hanno confermato che gli sviluppi delle grandi relazioni internazionali sono ormai affidati alle improvvisazioni realistiche di quest'uomo e alla sua prassi informale, ma I sonali. Davanti a ciò. il so¬ che il modello sta generan do emuli e allievi. NelVAme rica sferzata da una multi forme crisi, Kissinger emer ge sugli idoli precipitati o I vacillanti, e ciò è più chia- \ ramente visibile dalle lon- j tananze di Ginevra e del I Cairo che nel groviglio di Washington. Attraverso la personalità del segretario di Stato di un'America ridimensionata, e perciò divenuta più sensibile, accorta e realistica, emana già una nuova egemonia, un nuovo fascino dell'America. La crisi, che essa non ha ancora risolto all'interno, è già superata all'estero. Alla conferenza di Ginevra non si è udita una sola parola contro gli Stati Uniti, Kissinger era tra amici. Proverbio arabo Ma la rivelazione più significativa è questa: una generazione di kissingeriani va facendosi strada nelle Cancellerie, le relazioni politiche del segretario di Stato sono anche relazioni per- vietico Gromiko. veterano di una politica di confronto, e l'israeliano Abba Eban, oratore instancabile per grandi e appassionati uditori, perdono un poco il passo. L'egiziano Fahmi non impersona soltanto la svolta del Cairo, dopo la guerra di ottobre, verso l'America, ma anche una riproduzione araba del modello kissingeriano. Certamente in lui non v'è che l'impronta politica | del maestro, e se nei suoi discorsi si è espresso con I con cui per sei anni la po una durezza inusitata a Kis- singer, è perché Fahmi non può fare a meno di dare soddisfazioni verbali a un Paese nel quale la parola equivale all'azione. Ma dì fatto, accettando una trattativa articolata, come quella che sarà affidata a militari, ad ambasciatori e a commissioni, e ammettendo una gerarchia di valori nel negoziato, egli ha scambiato l'improduttiva caparbietà I \ j I litica araba è stata avvinghiata alla risoluzione 242 con una ipotesi di vera pace, la quale è sempre un compromesso. Ovviamente, Fahmi non va oltre l'imitazione ideologica di Kissinger. Sorride assai meno di lui, assai meno di lui è impassibile alla sferza delle parole. Mentre anche nei modi, nel vestire noncurante. Kissinger esprime il suo Paese, Fahmi tiene a distinguersi dall'egiziano tipi- o di quest'epoca post-nasseiana, che porta ì capelli a pazzola e ripudia la ricer- atezza orientale. Fahmi vete con un'eleganza accurata, he svela un'amorosa attenione all'Europa chic, porta capelli lunghi sul collo, come usano da noi i quaranenni non rassegnati alla calvizie che avanza. Siede com- posto e fermo, quanto è ir- requieto Kissinger, quando ascolta gli altri, passandosi spesso la mano sul mento „ „„Tj t~„„f „ „„„,,7„„,j„ e sulla fronte e guardando n giro. Alla costanza di Kis- singer nella cravatta a righe diagonali, si contrappone la capricciosa varietà di Fah- mi, che ne cambia due al giomo Nel parlare. Kissinger e Gromiko si assomigliano, perché entrambi sono essen- ziali. Gromiko. che ha par- ato in russo, è più asciutto del segretario di Stato ame- ricano il quale ha citato dei ricano, u quaie iiacnaio aei versi e un proverbio arabo: « Eli fat mat » (il passato è morto). Immobile come una statua, il ministro sovietico tradiva però le reazioni interne, che Kissinger celava nell'irrequietezza, stringendo le mascelle e fissando duramente il vuoto nell'udire alcune frasi di Abba Eban. Il teso gelo del suo viso rievocava alcune sue famose collere del passato. Il volto esprimeva inimicizia. L'ultima parola Ma il più vulnerabile alla parola era il ministro israeliano, che si agitava sulla sedia e replicava con movimenti del capo a certe asprezze di Fahmi. Sì comprendeva, attraverso queste sue reazioni, come egli, il più facondo fra gli oratori della conferenza, sia naturalmente incline alle perorazioni passionali e come il frequente richiamo, nel suo argomentare, alla persecuzione storica del popolo ebraico, dalla diaspora alla tragedia dei prigionieri israeliani in Siria, non sia un espediente di arringa, ma un impulso che proviene dal cuore e dalla coscienza. Abba Eban, di cui abbiamo udito espressioni profondamente umane rivolte agli arabi nell'evocare una parentela di sangue e di civiltà, citando nella loro lingua qualche frase della letteratura islamica, ha pronto il motto di spirito come la mozione dei sentimenti. Se di Fahmi si può ricordare la battuta detta in sala, che « Israele vuole, insomma, annettersi i territori arabi per accordo », di Abba Eban si cita quella pronunciata durante la conferenza stampa di ieri, nel dare la parola a una giornalista per l'ultima domanda: « L'ultima parola è sempre di una donna, come in casa mia e come nel "mio governo ». Renzo Carnevali Atmosfera di Natale nell'albergo di Kissinger. Il segretario di Stato vi torna sorridente dopo un incontro con i sovietici Gli uomini della pace KISSINGER E GROMIKO CON ARABI E ISRAELIANI A GINEVRA Gli uomini della pace Il segretario di Stato è ritornato in America, forse per sposarsi - Il suo modello sta generando emuli ed allievi in tutto il mondo L'egiziano Fahmi e l'israeliano Abba Eban sono pronti, fra le polemiche, ai motti di spirito - I gelidi interventi del sovietico (Dal nostro inviato speciale) Ginevra, 23 dicembre. Venti minuti di seduta a porte chiuse sono bastali, ieri sera, non soltanto per un primo accordo di natura procedurale (non poteva esservi, all'inizio, accordo di altra natura) tra i ministri degli Esteri partecipanti alla conferenza per la pace in Medio Oriente, ma anche e soprattutto per fugare le pesanti impressioni del giorno avanti, il primo dell'incontro di Ginevra, dedicato dalla mattina alla sera a verbosità astiose, dette per essere udite (ciò era ben compreso fin dall'inizio) non dagli interlocutori seduti ai tavoli e dalla fantomatica presenza siriana al settimo tavolo vuoto, ma da un pubblico assente e lontano che attendeva, dopo la guerra delle armi, una guerra di parole. La ragnatela Che cosa era accaduto dunque fra un giorno e l'altro? Venerdì Kissinger, il parvenu del dipartimento di Stato, sorridente liquidatore dei miti americani degli Anni Cinquanta e Sessanta, e, assieme ad essi, della diplomazia iniziata e blasée, pareva sommerso dalla marea di eloquenza vecchio stile, tradita dai suoi allievi, ancora esaminandi, del Medio Oriente. La ragnatela che egli aveva teso in sette giorni di colloqui mediorientali pareva lacerata. Ma sabato, lo spirito di Kissinger è riemerso, vincitore sempre e arrischiato, come in ogni altro suo successo; e la conferenza, salva, proseguirà per le vie sicure, discrete e realistiche della tecnocrazia. Una sera, inoltrata nella notte, e un mattino di colloqui a due (tra cui quello memorabile di Abba Eban con Gromiko) l'ha rimessa in carreggiata con relativa facilità. Sempre più evidentemente, i grandi affari internazionali si fanno in sala da pranzo o in salotto e le inlese, anche di molti partners, so- no la somma di intese raggiunte a due a due. Questa è la ragnatela di Kissinger, il cui intreccio è formato da esili e precari fili, fissati ai vari punti cardinali della controversia, con i colloqui iniziali. Nell'urto del primo giorno l'uno ha retto l'altro, l'ordito si è rivelato robusto. Kissinger è potuto ritornare in America, salutando con il largo sorriso da ragaz- Nixon | 20, dall'aggrondato per riferire, e dalla tenera Nancy McGuinness per decidere con lei, forse, quel matrimonio di cui tanto si parla da 48 ore (nell'epoca di Rissi'" '•.r. il rosa immancabilme;.. ravviva i contorni della politica). Due giorni di lavoro a Ginevra non soltanto hanno confermato che gli sviluppi delle grandi relazioni internazionali sono ormai affidati alle improvvisazioni realistiche di quest'uomo e alla sua prassi informale, ma I sonali. Davanti a ciò. il so¬ che il modello sta generan do emuli e allievi. NelVAme rica sferzata da una multi forme crisi, Kissinger emer ge sugli idoli precipitati o I vacillanti, e ciò è più chia- \ ramente visibile dalle lon- j tananze di Ginevra e del I Cairo che nel groviglio di Washington. Attraverso la personalità del segretario di Stato di un'America ridimensionata, e perciò divenuta più sensibile, accorta e realistica, emana già una nuova egemonia, un nuovo fascino dell'America. La crisi, che essa non ha ancora risolto all'interno, è già superata all'estero. Alla conferenza di Ginevra non si è udita una sola parola contro gli Stati Uniti, Kissinger era tra amici. Proverbio arabo Ma la rivelazione più significativa è questa: una generazione di kissingeriani va facendosi strada nelle Cancellerie, le relazioni politiche del segretario di Stato sono anche relazioni per- vietico Gromiko. veterano di una politica di confronto, e l'israeliano Abba Eban, oratore instancabile per grandi e appassionati uditori, perdono un poco il passo. L'egiziano Fahmi non impersona soltanto la svolta del Cairo, dopo la guerra di ottobre, verso l'America, ma anche una riproduzione araba del modello kissingeriano. Certamente in lui non v'è che l'impronta politica | del maestro, e se nei suoi discorsi si è espresso con I con cui per sei anni la po una durezza inusitata a Kis- singer, è perché Fahmi non può fare a meno di dare soddisfazioni verbali a un Paese nel quale la parola equivale all'azione. Ma dì fatto, accettando una trattativa articolata, come quella che sarà affidata a militari, ad ambasciatori e a commissioni, e ammettendo una gerarchia di valori nel negoziato, egli ha scambiato l'improduttiva caparbietà I \ j I litica araba è stata avvinghiata alla risoluzione 242 con una ipotesi di vera pace, la quale è sempre un compromesso. Ovviamente, Fahmi non va oltre l'imitazione ideologica di Kissinger. Sorride assai meno di lui, assai meno di lui è impassibile alla sferza delle parole. Mentre anche nei modi, nel vestire noncurante. Kissinger esprime il suo Paese, Fahmi tiene a distinguersi dall'egiziano tipi- o di quest'epoca post-nasseiana, che porta ì capelli a pazzola e ripudia la ricer- atezza orientale. Fahmi vete con un'eleganza accurata, he svela un'amorosa attenione all'Europa chic, porta capelli lunghi sul collo, come usano da noi i quaranenni non rassegnati alla calvizie che avanza. Siede com- posto e fermo, quanto è ir- requieto Kissinger, quando ascolta gli altri, passandosi spesso la mano sul mento „ „„Tj t~„„f „ „„„,,7„„,j„ e sulla fronte e guardando n giro. Alla costanza di Kis- singer nella cravatta a righe diagonali, si contrappone la capricciosa varietà di Fah- mi, che ne cambia due al giomo Nel parlare. Kissinger e Gromiko si assomigliano, perché entrambi sono essen- ziali. Gromiko. che ha par- ato in russo, è più asciutto del segretario di Stato ame- ricano il quale ha citato dei ricano, u quaie iiacnaio aei versi e un proverbio arabo: « Eli fat mat » (il passato è morto). Immobile come una statua, il ministro sovietico tradiva però le reazioni interne, che Kissinger celava nell'irrequietezza, stringendo le mascelle e fissando duramente il vuoto nell'udire alcune frasi di Abba Eban. Il teso gelo del suo viso rievocava alcune sue famose collere del passato. Il volto esprimeva inimicizia. L'ultima parola Ma il più vulnerabile alla parola era il ministro israeliano, che si agitava sulla sedia e replicava con movimenti del capo a certe asprezze di Fahmi. Sì comprendeva, attraverso queste sue reazioni, come egli, il più facondo fra gli oratori della conferenza, sia naturalmente incline alle perorazioni passionali e come il frequente richiamo, nel suo argomentare, alla persecuzione storica del popolo ebraico, dalla diaspora alla tragedia dei prigionieri israeliani in Siria, non sia un espediente di arringa, ma un impulso che proviene dal cuore e dalla coscienza. Abba Eban, di cui abbiamo udito espressioni profondamente umane rivolte agli arabi nell'evocare una parentela di sangue e di civiltà, citando nella loro lingua qualche frase della letteratura islamica, ha pronto il motto di spirito come la mozione dei sentimenti. Se di Fahmi si può ricordare la battuta detta in sala, che « Israele vuole, insomma, annettersi i territori arabi per accordo », di Abba Eban si cita quella pronunciata durante la conferenza stampa di ieri, nel dare la parola a una giornalista per l'ultima domanda: « L'ultima parola è sempre di una donna, come in casa mia e come nel "mio governo ». Renzo Carnevali Atmosfera di Natale nell'albergo di Kissinger. Il segretario di Stato vi torna sorridente dopo un incontro con i sovietici