Scuola per emigranti di Felice Froio

Scuola per emigranti LA PRESSIONE DEI LAVORATORI STUDENTI Scuola per emigranti A questo si riducono spesso gli studi a Genova, dove esiste la disoccupazione intellettuale più alta delle città industriali "Il mito di passare dalla tuta al colletto bianco è ormai tramontato" - C'è posto di lavoro sul mare, ma non alletta più (Dal nostro inviato speciale) Genova, dicembre. Questo viaggio tra i lavoratori studenti ha la strada obbligata delle città che stanno ai vertici del triangolo industriale, cioè Milano, Genova e Torino. Milano coi suoi centomila studenti è in testa. E Genova? Il capoluogo ligure è una sorpresa. 1 lavoratori studenti sono pochi: 816 frequentano i corsi serali delle sei scuole statali, circa tremila le scuole private. Conosciuti questi dati l'indagine si sposta ai motivi che sono dietro l'inattesa situazione. Genova non è più la città industriale di un tempo. Su questo concordano esperti e sindacalisti. « Il settore industriale — si legge in uno studio dell'Istituto Ligure di Ricerche Economiche e Sociali — sta attraversando in Liguria un periodo di crisi che non appare facilmente superabile nel medio periodo. Alcuni settori nei quali è fondamentale il ruolo svolto dalla grande industria a partecipazione statale (navalmeccanica, siderurgica, elettro-meccanica e nucleare, chimica) sono interessati da una serie di processi di ristrutturazione a livello nazionale ed internazionale la cui probaoile evoluzione potrà essere una più accentuata emarginazione del nostro sistema industriale dalle grandi direttrici di sviluppo nazionale ». Un'amara stasi Il quadro della crisi ligure diventa più chiaro se si guarda agli altri settori: « Pubblica amministrazione, commercio, turismo, operano a bassi livelli di razionalità e non è ipotizzabile, né auspicabile un ulteriore sviluppo di certi settori terziari fin quando non aumenterà il loro grado di efficienza ». Negli ultimi anni c'è stata una preoccupante stasi nello sviluppo dell'occupazione: Piemonte e Lombardia incrementano sensibilmente i loro livelli, Veneto ed Emilia « decollano » nettamente, la Toscana si mantiene su livelli di crescita intermedi e così la stasi della Liguria « acquista un significato ancora più preoccupante », proprio perché superata dalle regioni « nuove » che avanzano decisamente. Ma ci sono altri motivi che spiegano il limitato fenomeno dei lavoratori studenti. Qui non esiste la corsa al titolo di studio. La disoccu- \ pozione che investe diplomati e laureati scoraggia i giovani a proseguire gli studi. « Il mito di passare dalla tuta al colletto bianco — dicono i dirigenti della federazione metalmeccanici — è finito. A Genova c'è una impressionante disoccupazione intellettuale, di gran lunga la più alta delle città industriali ». Una recente indagine dell'Ilres (l'Istituto ligure di ricerche economiche e sociali) sui laureati dice che nei prossimi cinque anni in Liguria si laureeranno 8 mila giovani, mentre soltanto 3-4 mila potranno trovare un posto (600 nell'industria, 15002000 nei servìzi pubblici, 5001000 in quelli privati). « La fuga dei cervelli, già cominciata — osserva ancora lo studio dell'Ilres — si aggraverà. Avremo una perdita secca di capitale umano particolarmente qualificato, un triste tipo di emigrazione di giovani dotati ». Genova che non ha mai registrato — se non marginalmente — una immigrazione dal Sud, si appresta a fornire diplomati e laureati, e presto anche operai, alle altre regioni. C'è un solo settore che offre posti di lavoro, quello dei naviganti. Ma pochi vogliono imbarcarsi; non si trovano marinai e tanto meno ufficiali. La vita di bordo è dura, allontana per tanti mesi dalla famiglia e non attrae più. A Genova un tempo gli istituti nautici erano affollatissimi, ora sono quasi deserti; quello serale per lavoratori studenti ha solo 48 allievi. Un altro motivo di natura sociologica spiega l'esiguità di lavoratori studenti. La trasformazione industriale che si è registrata a Genova dopo l'ultima guerra mondiale ha costretto decine di migliaia di lavoratori a cambiare lavoro, a sottoporsi a corsi di riqualificazione, mentre un consistente numero di operai sono rimasti disoccupati per periodi più o meno lunghi. Da queste drammatiche vicissitudini i lavoratori hanno imparato che bisognava mandare i loro figli a scuola per evitargli analoghi sacrifici. Oggi l'80% dei lavoratori di Genova hanno una qualifica ottenuta negli istituti professionali o in un corso di addestramento. Ma il dato più significativo riguarda la scolarità. La Liguria ha la percentuale più alta d'Italia: su 100 giovani in età tra i 14 e i 19 anni, gli studenti delle scuole superiori sono 47 in Piemonte, 44 in Lombardia, 57 in Liguria. Naturalmente a determinare questo afflusso di giovani agli istituti superiori influisce anche l'alto reddito procapite della regione. Crisi industriale, disoccupazione intellettuale, e alto tasso di scolarità sono i motivi del limitato numero di lavoratori studenti a Genova. Questo non significa che le scuole serali siamo più efficienti e funzionali. Nella sede della Cisl ho assistito ad una riunione di giovani che vogliono preparare — all'interno della Federazione unitaria dei sindacati confederali — una piattaforma di rivendicazioni. Il discorso muove dalle richieste emerse nelle assemblee di istituto: i lavoratori studenti non sono soddisfatti di questa scuola di « serie B », dei programmi, dei professori. Si propongono di cambiarla. Genova ha un problema particolare: ì corsi serali sono lontanissimi dalla zona industriale; gli operai di Sestri, Cornigliano, Voltri devono fare da 20 a 70 chilometri per raggiungere la scuola. Metodi superati Francesco Amato, trentanni, sposato con tre figli, studente del quarto anno di ragioneria è uno dei promotori della riunione. Dice: « Vogliamo l'apertura di nuovi corsi serali nella zona industriale, li vogliamo organizzati diversamente, con programmi adeguati alle nostre esigenze, con professori che sanno insegnare. Rifiutiamo questo tipo di cultura perché oltrettutto non tiene conto della nostra maturità e della nostra esperienza. Sono venuto a scuola perché mi sentivo frustrato nel posto di lavoro; credevo di risolvere queste mie difficoltà, invece sono aumentate. Alle Poste dove lavoro sono sottoposto alla rigorosa osservanza dei regolamenti; una operazione deve essere fatta in un certo modo e non in un altro, anche se più semplice e migliore. A scuola ho ritrovato il medesimo meccanismo: il preside che deve far rispettare i regolamenti, che dà ordini e non si possono discutere; i nostri libri di testo sono quelli fatti per i giovani di sedici anni, i programmi incredibilmente lunghi, mentre noi aobiamo bisogno di sintesi e dell'essenziale. Devo imparare cose che non mi serviranno mai nella vita, mentre la scuola non mi insegna cose importanti. Quando sarò ragioniere e avrò la fortuna di essere chiamato da una banca mi troverò davanti a una macchina contabile che non ho mai visto. Le calcolatrici sono chiuse a chiave; noi siamo studenti di "serie B" e non abbiamo il diritto di usarle ». Paolo Piccolo frequenta il corso di meccanica all'istituto tecnico industriale «Giorgi»: « Per noi che lavoriamo in fabbrica, l'officina della scuola non serve, è superata. Ci insegnano per due ore la settimana a lavorare con la lima, quando questo attrezzo non si usa più. La maggior parte di noi sono sposati e questa lotta per cambiare la scuola la portiamo avanti anche per i nostri figli. L'ideale sarebbe di far scomparire il lavoratore studente, ma siccome questo non è possibile, dobbiamo lottare per una scuola diversa. Abbiamo capito che i lavoratori studenti diminuiranno se funzionerà meglio la scuola del mattino, se non allontanerà con la sua noia i giovani. I sindacati devono portare avanti una battaglia per rinnovare la scuola italiana ». All'Università Anche a Genova i metalmeccanici stanno lavorando per realizzare le 150 ore di studio. Qui i problemi sono meno complessi perché soltanto il 35% dei lavoratori non hanno la licenza di scuola media e buona parte delle ore possono essere utilizzate per corsi e seminari da fare all'università. Sono avanti i contatti coi docenti universitari. A Medicina si dovrebbero fare due corsi: uno sul rapporto tra ambiente di lavoro e malattia, l'altro sul servizio sanitario nazionale; a Ingegneria lo studio delle innovazioni tecnologiche e dei cicli di lavoro; a Lettere il rapporto tra classe operaia e cultura; a Matematica l'uso dei calcolatori elettronici e l'insegnamento della matematica nelle scuole che « avrebbero sostituito il latino per operare la selezione ». Le limitate dimensioni del fenomeno genovese dei lavoratori studenti sono confermate dai dati dell'Italsider che, tra l'altro, consentono di dare uno sguardo anche a due città del Sud. Su 50 mila dipendenti (di cui 40 mila operai) ì lavoratori che vanno a scuola sono 1286: 619 dello stabilimento di Taranto, 359 a Bagnoli, 308 a Genova. La suddivisione per tipo di scuola vede in testa quelli che vanno ai corsi serali degli istituti superiori (643), poi gli studenti delle scuole medie (362), gli universitari (241) e ci sono 40 operai (tutti a Bagnoli) che studiano per ottenere la licenza di scuola elementare. L'ing. Franco Cai dice che gli operai che ottengono un diploma si sistemano tutti nell'azienda nell'arco di alcuni anni; non c'è automatismo, ma il meccanismo consente a tutti di passare nella categoria degli impiegati. «Il problema che più ci assilla — aggiunge — è quello che riguarda i turnisti. L'anno scorso abbiamo dovuto sistemare 1174 lavoratori studenti in posti che danno la possibilità di frequentare le scuole. Non è fatto marginale perché questi spostamenti urtano contro altre situazioni e creano malintesi tra i lavoratori ». Felice Froio

Persone citate: Franco Cai, Paolo Piccolo