Londra, tempo da cometa di Mario Ciriello

Londra, tempo da cometa ADESSO TUTTO VA MALE NELL'ISOLA Londra, tempo da cometa Teme una fosca recessione, implora aiuti per le sue regioni depresse, è scossa dai conflitti sociali - Spera nel petrolio che potrebbe trasformarla, un giorno, nel Kuwait d'Europa (Dal nostro corrispondente) Londra. 29 dicembre. Sono tempi duri e, in ossequio ad una sana tradizione britannica, sono tempi di humour. Gli inglesi non sono più flemmatici e disciplinati come lo furono sotto la bacchetta di sir Stafford Cripps, l'inventore dell'austerità, in quel monastico dopoguerra, quar " si mangiavano bistecche di renna e di balena e con 2 uova si scioglieva il cuore di ogni ragazza; ma sanno ancora ridere. E' una virtù preziosa in queste settimane, in cui mille bufere si avventano contre ambizioni, illusioni e speranze, e la parola crisi sembra ormai inadatta per quello che il Sunday Times ha chiamato « il momento della verità ». Se le comete sono veramente portatrici di iatture, l'evasiva Kohoutek ha collocato l'Inghilterra tra i suoi bersagli. Per comprendere ciò che è accaduto in quest'isola, conviene tornare indietro di un anno. La Gran Bretagna pareva allora una nave che avesse ftnalr ente trovato la sua giusta rotta. Era uscita dall'isolamento e faceva parte della Comunità Europea; era emersa da un lungo periodo di torpore economico e avanzava sull'onda di un boom; guardava al futuro con animo baldanzoso e fiducioso. E adesso? L'Europa è vista con crescente indifferenza e diffidenza: l'espansione si è arrestata, e si teme una fosca recessione: il domani fa paura. Tanti e tali sono i mali che i medici paiono scorati e confusi, e l'inferirò non sa se a salvarlo sarà una delle mille terapie o, più semplicemente, una buon ■ dose di fortuna. Oggi come oggi, conviene scommettere più sulla fortuna che sui farmaci. Che altro si può chiamare infatti se non provvidenza la scoperta di petrolio nel Mare del Nord? E' una manna che sta già cambiando la vita della piccola Norvegia e che, con il passare degli anni, trasformerà la posizione industriale e finanziaria della Gran Bretagna. Nel 1976 si sentiranno i primi benefici concreti; tra l'ÉO e V82, l'Inghilterra, grazie anche al suo carbone, al suo metano e alle centrali nucleari, non sarà più schiava del petrolio straniero; e verso l'8S potrà cominciare ad esportarne, attingendo ad una fungaia di pozzi tutto attorno alla Scozia, sino alle tempestose acque delle isole Shetland. A lungo termine, dunque, dovrebbe svanire ogni preoccupazione, l'Inghilterra potrebbe divenire il Kuwait europeo. Ma frattanto? Ecco l'assillo. Sono ore tristi e ansiose per tutti, in Europa, in Giappone, in America. L'inflazione sembra resistere ad ogni penicillina; la « crisi dell'energia » attacca non più sii uno, ma su due fronti, quello della disponibilità e quello dei prezzi: il fragile sistema monetario è sotto l'incubo di vari disavanzi nelle bilance dei pagamenti occidentali e di un arricchimento troppo precipitoso dei produttori di petrolio, arabi e non arabi. E' un pesante fardello, ma quello sulle spalle inglesi è ancora più gravoso. Le agitazioni dei minatori e dei ferrovieri, con i loro disastrosi effetti sulle consegne di carbone alle centrali, hanno costretto il governo ad imporre una settimana lavorativa di soli tre giorni: e, se anche un'intesa sarà presto congegnata, l'industria non ritroverà subito il proprio ritmo. La sterlina sembra destinata ad altri mesi di suspense. E il tutto nel quadro generale di una salute sempre più precaria. Le prime radici Gli storici affermano che l'inizio del declino economico britannico risale al 1870, è più un invecchiamento che un'infermità, ma, negli ultimi 10-15 anni, si è avuto un deliquio. L'Inghilterra che. una generazione fc, era ancora una potenza mondiale, è adesso il fanalino di coda dell'Europa a nove, seguita dalla sola Irlanda. Il livello medio dei suoi salari è inferiore a quello della Germania, della Francia, del Benelux, della Danimarca, nonché dell'Italia; mentre assai superiore è il passivo della bilancia commerciale. Il suo prodotto nazionale lordo precede ancora quello dell'Italia, ma non di molto. Paurosamente basso, altresì, il volume degli investimenti industriali, deficienza che molti considerano la causa prima di tutti i falliti decolli economici. Oggi, Londra è costretta come Roma ad implorare aiuti per le sue regioni depresse, quasi 2/3 del Paese, e se li vede negati dalla Germania. I conflitti a Bruxelles hanno disperso quel po' che restava di europeismo inglese. Un deputato tory mi dice: « Ormai, solo il premier Heath crede nell'Europa ». La carica, diciamo pure, romantica si è spenta: ormai, si guarda alla Comunità come a un arrangement commerciale che un giorno, forse, gioverà a quest'isola, ma non nel prossimo futuro. Per adesso, Londra sborsa szltanto. Il suo disavanzo commerciale verso il resto della Cee dilaga di mese in mese: è passato dai 18 milioni di sterline del 1970 ai 499 del 1972 e ai previsti 1036 del 1973. Bisogna dunque guardare molto avanti, nel tempo, per vedere un po' di luce: bisogna proiettare il pensiero a quando, fra tre o quattro anni forse, l'economia tenterà una nuova risurrezione, a quando il petrolio del Mare del Nord e i benefici del Mec saliranno dalla sfera delle speranze a quella delle realtà. L'Inghilterra sarà allora come il naufrago dantesco che, «uscito fuor del pelago alla riva, si volge all'acqua perigliosa, e guata», sempre che altre amare sorprese non ne ritardino, o ne complichino, il salvataggio. Come si vede, il discorso è sempre economico, e ciò può stupire l'osservatore straniero, che non vi trova accenni alla politica. Ma tale, economico, anzi industriale, è il travaglio inglese, ed è prova della robustezza delle istituzioni politiche e parapolitiche averne sopportato lo stress senza incrinature. I laboristi Vi è però una debolezza. Da vari mesi, il partito laborista ha cessato di essere una valida opposizione: è nelle mani di una sinistra che evita i problemi reali, che si perde dietro chimere come le nazionalizzazioni, e che concentra le proprie energie più nella lotta contro i socialisti moderati, come Jenkins, che in quella contro Heath. E' un partito diviso e confuso, con un leader, Wilson, che ha perduto ogni credibilità. E come potrebbe averla, mi ricorda il commentatore politico del Times, quando condanna oggi le stesse cause per cui si batté quando era premier? L'Europa nel Mec, la politica dei redditi, un freno al potere sindacale e un limite alla tassazione. Una nuova vittoria di Heath alle prossime elezioni generali, forse quest'anno e comunque entro il giugno 1975, sembra certa. E lo sembra pure una dei liberali, chs potrebbero innalzare i loro seggi da 11 a 25 o 30. Qualcuno ha descritto l'Inghilterra come uno zoppo che tenta di correre. E' una doppia azzoppatura, economica e sociale, perché — mi dice Richard Moore, un esponente liberale — le « divisioni di classe sono qui le peggiori del mondo occidentale ». E' un antico retaggio della rivoluzione industriale, ma non si fa nulla per eliminarlo. Il Financial Times ha ricordato che « un decimo della popolazione possiede tuttora più di metà della ricchezza, mentre metà della popolazione deve arrangiarsi con un decimo, o meno, della ricchezza ». Siamo negli Anni Settanta, ma chi nasce paria paria resta: la Gran Bretagna è ancora « due nazioni » con mille caste; e tutto tende a perpetuare questa piaga, incluso lo stesso sistema uninominale. Benvenuto dunque il petrolio del Nord, ma non ci si illuda che risolva tutti l problemi. Senza una profonda metamorfosi economica e sociale, l'Inghilterra continuerà ad invecchiare, anche se con lo stile che tanto affascina chi si accontenta della facciata. Mario Ciriello Il premier inglese Heath, di Levine (Copyright N, V. Rcvlcw or Itooks. Opera Mundi e per l'Italia La Stampa)

Persone citate: Jenkins, Levine, Richard Moore, Stafford Cripps