Un diffìcile voto per Israele

Un diffìcile voto per Israele Elezioni nell'ultimo giorno dell'anno Un diffìcile voto per Israele Di fronte a Golda Meir e a Moshe Dayan un blocco delle destre che non sembra in grado di suggerire una via alternativa per la pace - Sono previste molte astensioni (Dal nostro inviato speciale) Tel Aviv, 29 dicembre. La democrazia israeliana affronta lunedì una prova decisiva, in un'elezione che scavalca il quadro della politica interna di Israele. Forse mai la scelta elettorale di una piccola nazione, U cui numero di votanti è inferiore a quello di una grande città europea, è stata sentita con maggiore attesa. La coalizione laborista, che da quarant'anni domina la vita politica Israeliana e da 25 anni governa il nuovo Stato, si trova per la prima volta dinanzi ad una sfida aperta, e all'Ipotesi di un'alternativa di potere. Vittorioso in sette elezioni precedenti, il fronte laborista potrebbe perdere, come conseguenza della guerra del Kippur, un numero di seggi sufficiente per costringerlo ad accettare una coalizione con la destra nazional-liberale. E' un'ipotesi che molti ancora giudicano improbabile, ma che avrebbe certo profonde conseguenze su quel già ristretto spiraglio di pace che si è aperto meno di dieci giorni fa a Ginevra. Le elezioni dell'ultimo dell'anno non so¬ no soltanto un riesame della società politica israeliana dopo l'incerto esito militare di ottobre, ma sono ormai anche un referendum sulla volontà di trattativa e sulla fiducia nella pace con gli arabi, da parte del popolo israeliano. Il dramma di queste elezioni è che esse sono aperte da una sola parte: il blocco laborista ha avversari temibili soltanto alla propria destra, e una sua sconfitta significherebbe un deciso indurimento della posizione israeliana, già poco flessibile, dinanzi all'interlocutore arabo. La campagna elettorale si è chiusa praticamente oggi, con la festa del sabato. Restano poche ore cruciali per gli ultimi appelli sui giornali, e del resto la legge e il costume elettorale israeliani limitano al massimo il contatto diretto fra i candidati e i votanti. La televisione, che per la prima volta è diventata anche qui lo strumento propagandistico più importante, non ha ospitato tuttavia interventi o discorsi dei maggiori protagonisti, che hanno dovuto cedere la parola a portavoce minori. Ciò non impedisce però che questa prova elettorale sia un esame diretto della popolarità e del prestigio di coloro che hanno guidato Israele nell'ultima guerra e che l'hanno accompagnato alla trattativa di pace. L'elettore israeliano dovrà in sostanza ancora una volta decidere se riconfermare la propria fiducia alla settantaseienne Golda Meir, unica superstite della vecchia guardia dei pionieri del sionismo, e a Moshe Dayan, il generale il cui mito militare si è indebolito dopo l'ultimo attacco arabo. Proprio Dayan ha concluso la sua campagna elettorale rivelando che negli ultimi giorni per ben due volte è stata valutata l'ipotesi di un attacco preventivo per ribattere quella che sembrava un'imminente ripresa della guerra da parte egiziana. Il generale accentua le tinte drammatiche per sfumare gli errori di ottobre e per sottolineare la propria indispensabilità; ma ieri notte, nel suo ultimo comizio, una donna si è alzata dal pubblico urlandogli di andarsene. E' stato forse l'unico episodio movimentato di una campagna elettorale tanto tesa da apparire immobile. Si temono astensioni imponenti, come prova della generale sfiducia verso i dirigenti politici, e oggi il giudice Cohen, presidente del comitato elettorale, ha rivolto un insistente invito ai cittadini perché non disertino i seggi. Una delle incognite rimane quella del voto dei militari, ancora ammassati lungo le frontiere. Lo stato d'allarme nelle truppe è continuo, gli incidenti si ripetono, anche oggi un ricognitore israeliano senza pilota è stato abbattuto da un missile. Le rotture della tregua sono autentiche e numerose, ma esse sembrano da una parte corrispondere al desiderio egiziano di far pressione su Israele (come ha detto oggi l'ex generale Herzog), dall'altra servono al governo per dimostrare quanto sia rischioso cambiare i cavalli in corsa. Fronte nazionale e fronte laborista si scambiano gli ultimi colpi, all'ombra del negoziato di Ginevra. Entrambi si dichiarano le sole formazioni capaci di trattare senza cedimenti. La destra dice che il governo è debole, e che è pronto a far concessioni unilaterali agli arabi. I laboristi rispondono che un mutamento nel vertice del potere porterebbe ad un collasso delle trattative, e promette inflessibilità. L'ultima parola d'ordine governativa è in parte autocritica, e lo slogan infatti dice: «Anche un governo responsabile può commettere errori, ma eleggere al suo posto un governo irresponsabile è sbagliato». Certo è che l'esame pubblico della politica verso gli arabi, che in ottobre avrebbe po-1 tvcPichdgpslcnsavn tuto essere evitato, ora il governo dovrà compierlo nelle condizioni più sfavorevoli. Per attenuare il contraccolpo, il blocco laborista si è anch'esso spostato a destra, ed ha in gran parte soffocato il dibattito interno nella maggioranza stessa. I quattordici punti del programma laborista non concedono quasi nulla all'ala pacifista: rifiutano la restituzione delle terre occupate secondo una particolare interpretazione della risoluzione 242 dell'Orni, insistono per Gerusalemme totalmente israeliana, negano la sola ipotesi di uno Stato palestinese in Cisgiordania, e non accantonano quel «piano Galili» emendato da Dayan che vuole spedire coloni nelle zone arabe conquistate, e fondare addirittura una città, Yamit, in pieno deserto del Sinai. Tutto ciò dimostra che i laAndrea Barbato CContinua a pagina 2 in ottava colonna)

Persone citate: Barbato, Cohen, Dayan, Galili, Golda Meir, Herzog, Moshe Dayan

Luoghi citati: Cisgiordania, Gerusalemme, Ginevra, Israele, Tel Aviv