Una nuova ricerca sull'uranio in Italia di Bruno Ghibaudi
Una nuova ricerca sull'uranio in Italia La "esperienza Saracino,, Una nuova ricerca sull'uranio in Italia Si tratta di esperienza d'avanguardia sull'uso del sodio liquido nelle centrali nucleari (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 28 dicembre. La chiamano «esperienza Saracino» e non si tarda a scoprire il perché. Un manichino, fissato ad- un braccio rotante che ricorda la famosa giostra del Saracino di Arezzo e protetto da un casco a doppia visiera e da indumenti di cuoio crosta al cromo, vien fatto passare sotto un tubo che spruzza sodio liquido a circa 300 =C. Al contatto con l'aria il sodio si incendia e una vera e propria pioggia di fuoco cade sul manichino. Mentre l'ambiente si riempie di fumi densi e biancastri, i tecnici provvedono a spegnere i focolai di sodio. Altri esperti valuteranno poi i danni sugli indumenti protettivi del manichino. L'esperienza, alla quale ab- biamo assistito, viene fatta nel grande capannone dell'impianto Isa-1 del Cnen al Brasimene, sull'Appennino toscoemiliano ad una sessantina di chilometri da Bologna. Il suo scopo è quello di fornire tutte le informazioni necessarie a maneggiare il sodio liquido con la massima sicurezza per gli uomini e per gli impianti. Un'altra apparecchiatura, denominata «Satana», serve a simulare le fughe di sodio liquido nei circuiti di un reattore nucleare raffreddato con questo fluido. Per comprendere il significato di queste prove e l'interesse dei tecnici nucleari per il sodio liquido è necessario fare qualche passo indietro. Le centrali elettronucleari di domani, quelle che potranno essere prodotte in serie commerciale a partire dal 1980 in poi, saranno potenziate da reattori «veloci». La denominazione scaturisce dal fatto che i neutroni utilizzati per spezzare gli atomi di combustibile e avviare la reazione a catena non vengono più «rallentati» da un moderatore fino ad una velocità di circa un miglio al secondo, com'è avvenuto dalla pila di Fermi fino ai reattori d'oggi, ma fluiscono alla stessa velocità (circa 10 mila miglia al secondo) a cui vengono prodotti. Il combustibile per i reattori veloci è uranio arricchito. Durante il funzionamento l'uranio si trasforma gradualmente in plutonio, che può essere utilizzato a sua volta come combustibile. E ciò spiega perché i reattori veloci producano in definitiva più combustibile di quanto ne consumino. Si comprende inoltre perché una centrale elettronucleare con reattore veloce consenta un'economicità di gestione maggiore di quelle con reattore a neutroni lenti e quindi di produrre energia elettrica a costi competitivi rispetto a quella proveniente da centrali termoelettriche. Per trasportare all'esterno il fortissimo calore sviluppato nel «core» dei reattori veloci e usarlo per trasformare l'acqua nel vapore che farà poi girare gli alternatori, si usa sodio liquido. Questo metallo alcalino, che fonde a circa 150 °C e non vaporizza che intorno agli 850 =C, offre parecchi vantaggi rispetto agli altri fluidi usati come refrigeranti, ma nello stesso tempo comporta anche qualche rischio. A contatto con l'aria o con l'acqua il sodio si accende spontaneamente, provocando reazioni che possono degenerare in un'esplosione. E per creare questo pericolo è sufficiente che una tubatura che contiene il sodio si spezzi, si incrini o trasudi. Costruire condotte in leghe speciali resistenti all'azione corrosiva del sodio, approntare dispositivi e sistemi che consentano di impedire o almeno di smorzare nel minor tempo possibile la reazione esplosiva del sodio è quindi un traguardo molto importante per la tecnologia dei reattori veloci. Fino a quando non verrà risolto in maniera soddisfacente, l'intero progetto dei reattori veloci raffreddati a sodio liquido dovrà segnare il passo. L'impianto Isa-1, realizzato con strumentazioni fornite dalla Fiat nucleare, serve appunto a compiere tutte queste prove sulle conseguenze delle perdite grandi, piccole e piccolissime. Nell'area del Brasimone sta intanto proseguendo la realizzazione del Pec, il reattore sperimentale per la «prova degli elementi di combustibile». Per ora è stato costruito il grande contenitore metallico, un cilindro sormontato da una cupola semisferica. Nel suo interno verrà prossimamente montato un prototipo di reattore veloce autofertilizzante. La realizzazione degli elementi di combustibile è un altro grosso impegno per la ricerca nucleare. Le guaine metalliche che li inglobano devono per esempio sopportare senza troppi danni un fortissimo bombardamento di energie e un elevatissimo calore, il tutto senza provocare incidenti da fusione. Per far luce sul comportamento ancora in gran parte sconosciuto dei materiali, l'Agip Nucleare ha allestito già da qualche anno una serie di laboratori modernissimi a Medicina, a 15 chilometri da Bologna. «In questo centro si stanno concentrando tutte le attività di ricerca e di sviluppo collegate al ciclo del combustibile, dalla produzione di combustibile sotto forma di microsfere ai processi di ritrattamento per via secca del combustibile nucleare di reattori veloci, dallo sviluppo di tecnologie di fabbricazione degli elementi di combustibile all'attività di ingegneria sperimentale — mi spiega il dottor Giorgio Fogagnolo, amministratore delegato della società che mi accompagna nella visita —. Entro il 1990 in Italia verranno installate centrali elettronucleari per 52 mila megawatt, il che richiederà una disponibilità di uranio di circa 125 mila tonnellate. L'Agip Nucleare si è già impegnata a soddisfare queste necessità». Bruno Ghibaudi
Persone citate: Giorgio Fogagnolo, Saracino
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