Una grande crisi è ora possibile? di Alberto Ronchey

Una grande crisi è ora possibile? L'OCCIDENTE VISTO DALL'URSS Una grande crisi è ora possibile? (Dal nostro inviato speciale) Mosca, dicembre. Tropi» volte fu annunciata una grande crisi occidentale come quella del 1929-34. Ora gli esperti sovietici non dimenticano gli errori del tempo in cui Stalin prevedeva la «fine del capitalismo » a breve termine, quando l'economista ungaro-sovietico Varga veniva condannato per aver detto che le grandi depressioni cicliche non erano più inevitabili. Eppure, se malgrado i progressi delle tecniche occidentali nel controllo del ciclo economico una grande crisi è ancora possibile, questa è l'ora. Le cause non saranno le stesse del 1929, gli effetti potranno essere diversi; ma solo un dogmatismo ideologico a rovescio potrebbe negare il pericolo. Sono già in crisi tre fattori primari dello sviluppo occidentale: il rifornimento di petrolio, massima forza motrice delle società industriali; il sistema delle monete, ossia l'espressione degli stessi valori economici, e la fiducia in sé del neo-capitalismo o tardo-capitalismo, sofferente di malattie psicosomatiche, di nevrosi profonde se non proprio delle « contraddizioni interne » previste dalla letteratura marxista. L'Occidente appare come un mondo insuperbito dalla prosperità, che ora inciampa sotto il carico dei suoi lussi. L'ipotesi è che un collasso arrivi a coinvolgere non solo la produzione di beni, ma la rete dei servizi, oggi di gran lunga più complessa e vulnerabile che nel 1929: casi di paralisi degli ipertrofici agglomerati urbani ed extra-urbani, dei trasporti e delle telecomunicazioni, delle strutture amministrative più esposte. ★ ★ Infatti oggi nel processo d'una crisi può essere trascinato quel fenomeno che è detto « degradazione dei grandi sistemi», la difficoltà per le maggiori strutture organizzative di reggere il peso della loro stessa complessità. Le prime avvisaglie della « degradazione » furono la paralisi elettrica del NordEst americano nel '65, l'arresto del sistema telefonico di New York nel '69, il tracollo del sistema «Penn Central» nel '70, che manifestarono l'impossibilità di prevedere tutto nell'ambito di strutture enormi: l'intero sistema telefonico americano s'arresterebbe se 25 milioni di cittadini, solo uno su otto, decidessero di telefonare nello stesso momento. Anche i sovietici, con le loro strutture enormi, conoscono tali fenomeni. Ma poi la « degradazione dei sistemi complessi» è giunta Ano all'imprevidenza del probabile su scala mondiale, come la rarefazione delle risorse petrolifere a basso costo, complicata dall'embargo arabo, e la necessità di ricorrere in tempo utile a nuove fonti energetiche. Perché è stato possibile? Ai sovietici appare un caso clamoroso di rinnovata « anarchia capitalistica ». La questione energetica era già «celebre» da lungo tempo, mentre si moltiplicavano strade, centrali elettriche, linee aeree, veicoli a motore, e l'aumento d'ogni cosa seguiva una curva continua « esponenziale ». Prima o poi una causa occasionale avrebbe spezzato la curva, secondo la legge matematica detta «dei fenomeni d'accrescimento in presenza di fattori limitanti». Il fattore più limitante era il petrolio disponibile; tecnoioghi e sociologhi discutevano sul momento in cui la curva esponenziale si sarebbe spezzata, ossia avrebbe presentato il famoso «ginocchio ». Ora siamo forse al « ginocchio », sebbene l'esercizio della previsione fosse giudicato fino a ieri solo come un nuovo genere letterario, « doomwriting », ossia « rovinografia ». Ogni crisi occidentale, nell'esperienza storica, fu preceduta sempre da uno stato d'animo che considerava reale solo la convenienza immediata e ac¬ cidentali i disturbi del sistema. E' accidentale, nell'ambito delle condizioni già note, l'errfbargo arabo sul petrolio? La tentazione era piuttosto nell'ordine delle cose: una fatalità di mercato, almeno, prima che fosse deciso il raddoppio del prezzo, oltreché un fatto politico dovuto al conflitto del Medio Oriente. Perché le rendite petrolifere avrebbero dovuto essere investite in valute sempre più vulnerabili, mentre la conservazione migliore della ricchezza derivata dal petrolio era nel petrolio stesso? Malgrado l'inflazione delle monete, la scarsità relativa di petrolio, il perpetuo conflitto arabo-israeliano, appariva sempre naturale che il lungo viaggio del greggio come fonte d'energia e materia prima continuasse attraverso i continenti, fidando nell'inevitabilità di quel flusso dal deserto economico all'Occidente industriale. Eppure mai nella storia si era avuta una simile distanza tra le risorse naturali dell'industria e l'industria medesima; nell'era del carbone i pozzi dello Yorkshire alimentarono le Midlands, quelli della Ruhr e del Borinage e della Lorena alimentarono la Lotaringia industriale europea. * ★ Se la mancata previsione dei fatti è così imponente, e se tutto questo è accaduto, ragionano i sovietici, può accadere di più: la carestia energetica, insieme con l'instabilità monetaria e le numerose conflittualità interne dell'Occidente, può provocare il collasso. L'Urss, malgrado la pianificazione di mezzo secolo, ha egualmente mancato di prevedere la crisi energetica; la sua produzione di petrolio è molto inferiore alla domanda. Ma può contemplare gli eventi in condizioni di vantaggio. Mentre l'Occidente è caduto nella contraddizione fra crescita esponenziale dell'economia e limitatezza delle risorse, nell'TJrss sono pressoché illimitate e appena scalfite le risorse del serbatoio di materie prime che si estende per 22 milioni di chilometri quadrati; e più aumenta il prezzo del petrolio arabo, più facile è l'impresa d'estrarre e trasportare le smisurate riserve del greggio siberiano. Inoltre, dinanzi a una crisi occidentale, il mondo sovietico è difeso da una semi-autarchia, il rublo è fuori mercato, il sistema di potere impone una ruvida disciplina all'industria e al consumo. Questo non comporta che la prospettiva d'una grande crisi occidentale, con milio¬ ni di disoccupati in ogni nazione, sia considerata senza preoccupazione. In Europa il nazismo fu già una conseguenza della grande crisi del '29. Inoltre l'Urss, per colmare i ritardi della sua industria, ha bisogno d'un contributo stabile delle tecnologie occidentali. Sebbene il mondo sovietico sia semi-autarchico, ormai le sue stesse dimensioni lo rendono partecipe dei grandi eventi economici. E le scosse politiche d'una crisi non controllabile potrebbero distruggere quello status quo che il potere sovietico ha tentato di legalizzare con il dialogo tra superpotenze, l'apertura all'Ostpolitik di Brandt e la conferenza per la sicurezza europea, mentre doveva fronteggiare in Oriente la contestazione cinese. Ma non si può ignorare quali tentazioni verso l'Europa e il Mediterraneo susciterebbe nell'Urss la crisi economica occidentale, sommata alle altre crisi. Già la tendenza di fondo degli Stati Uniti è neo-isolazionista. Già a Mosca, nelle ultime settimane, veniva ricordata una bella profezia di Lenin: «Se l'Europa capitalista fosse isolata dalle rive meridionali del Mediterraneo, sarebbe come una farfalla con le ali incollate sopra un foglio di carta ». Il Nord Africa brucia; la Grecia, Cipro e la Spagna scottano, per non dire della Jugoslavia. E l'Europa cuoce a fuoco lento. Alberto Ronchey

Persone citate: Brandt, Lenin, Penn, Stalin, Varga