Sepolte vive in Sicilia di Luciano Curino

Sepolte vive in Sicilia Come vivono le donne dell'isola: le mogli Sepolte vive in Sicilia L'emigrazione porta lontano i mariti, che tornano una volta all'anno e la famiglia cresce - Per molte madri il problema è quello della sopravvivenza: anche quindici figli, affamati, il marito disoccupato o in carcere - L'esasperazione della "sempre incinta" e i frequenti casi di suicidio - La "Storia di Paola" (Dal nostro inviato speciale) Palermo, dicembre. « E' come se fossimo sepolte vive » dicono le donne che abitano nelle case « svedesi » di borgo Ulivia. Prima abitavano in miseri quartieri dove la strada continuava la casa, attraverso le porte sempre aperte si vedeva chi nasceva e chi moriva, e in qualche modo si partecipava all'evento. Sedute sulle soglie, scrutavano e ascoltavano tutto, commentavano il bene e il male. Si sentivano vive, si realizzavano in questo rapporto con la collettività. Cinque anni fa hanno avuto l'alloggio nuovo a borgo Ulivia, un quartiere sorto alla periferia per quasi diecimila abitanti. Case Gescal di tre-cinque piani. Decorose e confortevoli, c'è però un guaio. Costruite secondo un progetto svedese, hanno il balcone-veranda chiuso da un muro alto metri uno e ottanta. Va bene in Svezia perché ripara dai venti gelidi, ma a Palermo il problema non esiste. E il peggio è che l'alto muretto non consente di guardare in strada, una donna non può vedere nell'alloggio dei vicini, non può nemmeno chiacchierare da balcone a balcone. I mariti hanno costruito predelle con assi e mattoni, che però non hanno accontentato le donne. Esse, in piedi sulle predelle, arrivano sì a sbirciare oltre il muretto, però hanno l'impressione di stare lassù a spiare. Non è questo che vogliono, ma partecipare naturalmente alle vicende degli altri. Così, i balconi « svedesi » sono un fatto ossessivo, e più volte le donne di borgo Ulivia hanno manifestato vivacemente in piazza (« Siamo sepolte vive! ») e le loro proteste sono arrivate al consiglio comunale. Prima o poi si troverà una soluzione (abbattere una parte del muretto?), ma intanto la vita corale del vecchio vicolo, nel condominio si è sbriciolata in tante storie segrete, che ognuno vive per conto suo. C'è il « condominio » e ci sono molte cose nuove e altre che sono cambiate in pochi anni: c'è del disorientamento. In particolare, le madri sono assai confuse: i modelli vecchi sono messi in crisi, quelli nuovi sgomentano o sono inafferrabili. Anna Pomar, giornalista de « L'Ora » ha svolto un'inchiesta tra donne di diversa condizione sociale, domandando: «Ritiene in crisi l'istituto della famiglia? ». Hanno risposto sì l'ottanta per cento delle intervistate. Dice la Pomar: « La famiglia patriarcale di un tempo non esiste più di fatto, perché smembrata, divisa dalle circostanze e dal bisogno ». La famiglia patriarcale non esiste più in quei paesi dell'interno dove l'emigrazione ha succhiato le forze migliori. In un paese del Belice una donna mi dice che il marito è andato a lavorare in Svizzera otto anni fa. Non si scrivono, perché entrambi analfabeti. Una volta all'anno lui viene a trovarla per un paio di settimane, e quasi sempre per quest'occasione la famiglia aumenta. Mi dice la donna: «Allevo i figli come meglio posso. Quando mio marito non potrà più lavorare, e sarà vecchio, ritornerà a casa. Allora partiranno i figli in cerca di lavoro ». E' una donna amara e rassegnata, un personaggio tragico. Simona Mafai, responsabile femminile del partito comunista regionale, mi dice che frequenti sono i suicidi di mogli di emigrati. Elenca tre casi in pochi mesi: uno a Corleone. un altro a Marineo e il terzo, il più agghiacciante, a Catenanuova in provincia di Enna: una madre si è gettata sotto il treno con i due bambini. « Perché tre donne si uccidano davvero, ce ne sono centinaia che non lo fanno ma ci pensano, e si può immaginare che cosa è la loro vita», dice Simona Mafai. « Ci sono delle situazioni spaventose anche nei quartieri popolari, in quelli più miseri, con i mariti disoccupati nelle case piene di figli » mi dice Anna Pomar. Qualche mese fa ha avuto per caso il manoscritto di una giovane donna, Paola Uscè: quattro quaderni di scuola in cui l'autrice, priva di istruzione e di cultura, descrive l'ambiente in cui è vissuta « sfidando con sorprendente disinvoltura baratri di abiezione e di amoralità — dice la Pomar —. / tentativi di incesto dei fratelli, la disumana violenza del padre, la brutalità del marito, la opaca indifferenza della madre, diventano episodi della vita quotidiana, dolorose esperienze delle quali si soffre, ma che sostanzialmente non mutano i rapporti con i membri della famiglia ». La « Storia di Paola » è ora in libreria ed e un romanzodocumento di una certa realtà. Incomincia: « La mia famiglia è una delle tante famiglie numerose che esistono in Sicilia, per cui dopo nove figli maschi sono nata io e dopo di me altri sei figli... ». Mi dice la psicologa Gigliola Lo Cascio: «Nei quartieri più miseri il problema della donna è un problema di sopravvivenza. Di rimanere a galla, tra dodici o quindici figli, e c'è quello che non vuole andare a scuola, quello che scappa di casa, tutti hanno sempre fame e non si sa cosa mettere in pentola, il marito non ha lavoro e qualche volta va in carcere». Dice Anna Pomar: « Ho fatto un'inchiesta nei quartieri popolari. Ci sono donne che hanno avuto una trentina di aborti. Donne sui trentacinque, quaranl'anni con nove figli e venticinque aborti. Cose allucinanti, Si ricorre alle "mammane", che praticano aborti nel modo più orrendo e si prendono venti-treiilamila lire ». Per la pillola c'è diffidenza assoluta. « Ci fa ammalasse » dicono ed « è meglio un figlio che ima malattia ». Conclude Anna Pomar: « Ogni anno la famiglia cresce e la donna sempre incinta è esasperata contro il marito, contro lutti e tutto. La donna siciliana è sempre stata una madre apprensiva, possessiva, però parecchie di queste con troppi figli sarebbero felicissime se qualche istituto si pigliasse uno dei bimbi, qualcuno dei ragazzi ». In una recente inchiesta sulla condizione della donna in Sicilia si è rilevalo che in genere le ragazze sono esentate da tutti i lavori c le incombenze che piomberanno loro addosso interamente dopo il matrimonio. « Sembra quasi che le madri, presaghe di quello che la vita riserberà alle figlie quando avranno una loro fami- glia, cerchino di risparmiarle in tutti i modi quando sono ragazze ». E quell'inchiesta aveva una conclusione desolante: è tale l'abitudine alle privazio- ni dri per : ai sacrifici che molle manon chiedono più niente sé e puntano tutto sull'avvenire delle figlie. E si hanno qui storie di abnegazione, perfino di eroismo. Luciano Curino ■HHHBi Palermo. L'abito nero: un'immagine della donna siciliana che resiste alla crisi dei vecchi modelli di vita (Foto Team)

Persone citate: Anna Pomar, Gigliola Lo Cascio, Pomar, Simona Mafai