Tokio, si vive senza paura di Paolo Garimberti

Tokio, si vive senza paura In Giappone un basso indice di criminalità Tokio, si vive senza paura Vi si passeggia con sicurezza anche di notte, la presenza della polizia è più che altro simbolica - Un antropologo spiega questo fenomeno con la omogeneità della società giapponese - Un basso tasso di disoccupazione si unisce ad un alto livello d'istruzione (Dal nostro inviato speciale) Tokio, dicembre. Shibuya è un quartiere periferico di Tokio, capolinea della «linea rossa» della nuova metropolitana. Conosciuto per un ristorante tipico, che ha il doppio pregio di essere fuori dai tradizionali circuiti turistici e di cucinare un sopraffino «sukiyaki» (grosso modo, un incrocio tra la «bagna caocla» e la «fondite bourguignonne»), Shibuya ha un'altra importante qualità agli occhi del visitatore, quella di offrire uno scampolo esemplare della Tokio figlia del miracolo economico: un condensamento demografico impressionante, un traffico perennemente ingorgato, un tasso d'inquinamento atmosferico micidiale, come avvertono i cartelli al crocevia. Eppure, Shibuya non intristisce il visitatore. L'eleganza dei negozi, la vivacità dell'illuminazione, la qualità della gente dissolvono lo squallore tipico delle periferie di tutte le città industriali del mondo. Sono le dieci di sera e siamo già al limite delle «ore piccole» per questa città dove i ristoranti accettano raramente clienti dopo lo nove c trenta, i cinema chiudono alle nove e i night club a mezzanotte per rispettare le abitudini mattiniere di un popolo operoso (si calcola che alle sei e mezzo del mattino l'ottanta per cento degli abitanti di Tokio è già in piedi). Ma a Shibuya c'è ancora grande animazione: folti gruppi di giovani passeggiano su e giù, urlano, schiamazzano in uno scomposto balletto. Molti hanno chiaramente bevuto qualche bicchiere di «sake» di troppo, s'accende qualche rissa, subito composta in famiglia. Ma, in generale, le loro manifestazioni non vanno al di là di un'esuberanza ben entro i limiti del lecito e del legale. Eppure, come in tutti gli altri quartieri della città, la presenza della polizia è simbolica, limitandosi a qualche vigile del traffico. Qui, come altrove, non si vedono quelle pattuglie motorizzate anti-criminalità, che fanno ormai parte del paesaggio delle metropoli industriali, né, d'altra parte, si scorgono segni evidenti di una malavita organizzata. Riferisco le impressioni di quella ricognizione notturna a Robert Guillain, il corrispondente del «Monde», che vive in Giappone dall'epoca di Pearl Harbour. E. soprattutto, gli l'accio notare, con un tono di meraviglia, che mai, durante il percorso in metropolitana e la passeggiata nelle vie di Shibuya, sono stato colto da quella sensazione di inquietudine per la propria incolumità, che, in certe ore della notte, si avverte a Torino e Milano, si percepisce perfino a Mosca, prende alla gola a Hong Kong e a New York. «Non c'è da stupirsi — spiega Guillain — Tokio e le altre città giapponesi sono tra le più sicure al mondo. Il Giappone è forse runico Paese del globo dove la criminalità è in diminuzione, e ciò è tanto più sorprendente in quanto, generalmente, il tasso di criminalità aumenta con il boom economico e l'espansione sfrenata dei consumi». Nel «libro bianco sulla criminalità», una pubblicazione freschissima di stampa, che il collega francese gentilmente mi fornisce, trovo che nel 1972 la criminalità in Giappone ha raggiunto il più basso livello dalla fine della seconda guerra mon- diale (un milione e 220 casi di «penai off elise», cioè duecentomila in meno che nel 1971, comprendendo però anche le piccole contravvenzioni). Una comparazione molto significativa: se si prende il 1963 come base 100, il tasso li criminalità, nel 1972, è salilo a 298 a New York, a 230 a Londra e Amburgo, ma e sceso a 87 a Tokio e a 63 a Osaka. Sebbene i giapponesi attribuiscano gran parte del merito all'efficienza della polizia (nel 1972, il cinquanta per cento dei criminali è stato arrestato, contro il quaranta per cento nelle altre città americane ed europee), questo fenomeno di regressione della criminalità, unico al mondo a nostra conoscenza, è dovuto a fattori sociali, che hanno le loro radici nella struttura stessa della società giapponese. In un libro recentemente ripubblicato in inglese («fapanese society»), Chic Nakane, docente di antropologia alla «Tokyo University», traccia un quadro approfondito e brillante, per la ricchezza di aneddoti esemplificativi, dell'uomo o della società nipponica, che aiuta a individuare le cause del basso livello di criminalità, del quale gode il Giappone: l'omogeneità etnica e culturale della società giapponese, favorita dalla capacità storica dei giapponesi di sottrarsi ad ogni colonizzazione culturale, l'alto livello d'istruzione della popolazione (il 50 per cento degli studenti arriva alle scuole superiori e il 6,7 per cento all'università), il rispetto della legge come caratteristica nazionale, il bassissimo tasso di disoccupazione (730 mila disoccupati su una forza di lavoro di 51 milioni c 820 mila unità), il carattere vincolante e duraturo dei legami familiari. I giovani o le donne, annota il «Libro bianco sulla criminalità», sono «tre volte più disposti al delitto» degli adulti e della popolazione maschile. E anche questo dato riflette una caratteristica della moderna società giapponese. «L'emancipazione femminile Ita avuto iuta progressione violenta nel bene come nel male, negli ultimi anni», mi spiega un insegnante della «Sophia University», la più grande università privata del Giappone, retta dai gesuiti. «Ma spessa — continua il mio interlocutore — l'emancipazione della donna non continua oltre la soglia del matrimonio. E / giovani, contestatori anche molto violenti lincile sono all'università, una volta entrati nel mondo del lavoro, ammantati della bandiera di una grande "corporation", diventano tali e quali i loro padri». Essi vengono fagocitati da quella rigida struttura di gruppo, nella quale l'obbedienza totale al capo è una regola fondamentale, che è una delle caratteristiche della società giapponese e che, tradotta in termini di organizzazione industriale, costituisce uno dei segreti del miracolo eco-nomico del Sol Levante. . Paolo Garimberti Tokio. Incontro in una strada della capitale nipponica, nel cuore della sera (Petersen)

Persone citate: Guillain ? Tokio, Petersen, Robert Guillain