In Israele tutti seguono i lavori alla radio e in tv di Andrea Barbato

In Israele tutti seguono i lavori alla radio e in tv In Israele tutti seguono i lavori alla radio e in tv L'opinione pubblica è ancora scettica, tuttavia le speranze affiorano - Discutere al tavolo con gli arabi, si dice, è già un risultato - La coalizione di destra è molto intransigente sulla questione delle frontiere - Le possibili ripercussioni sulle vicine elezioni (Dal nostro inviato speciale) Tel Aviv, 21 dicembre. « La guerra si è solo trasferita dal Sinai alle Alpi », ha commentato con amarezza stasera un israeliano che, come la quasi totalità dei suoi compatrioti, aveva seguito parola per parola l'intero svolgimento della prima giornata dei lavori di Ginevra. E' certamente un giudizio prematuro e pessimistico, ma è altrettanto certo che i discorsi ascoltati oggi, e soprattutto la replica egiziana prima del rinvio a domani, hanno fugato qui le ultime illusioni di chi sperava in un clima diplomatico più moderato e tollerante. Sebbene fosse largamente prevedibile, gli israeliani oggi (la vita si è fermata per molte ore, la televisione trasmetteva ogni fase in ripresa diretta da Ginevra) hanno avuto l'impressione di trovarsi dinanzi ad una replica degli innumerevoli dibattiti deU'Onu, con due posizioni inconciliabili, in un dialogo fra sordi. Non ci sono reazioni ufficiali, dal tramonto in Israele è festa per tutti, domani i giornali non usciranno come ogni sabato. Ma davanti ai televisori, nelle case o nei capannelli lungo le strade, la gente scuoteva la testa, per sottolineare l'inutilità di ciò che stava ascoltando. Eppure, alcuni elementi di valutazione è stato possibile raccoglierli. Oltre ai particolari di cronaca, come il saluto giudicato «troppo caloroso» di Kissinger alla delegazione egiziana prima dell'inizio, o come il lungo incidente procedurale, che ha trasformato l'esagono in una strana figura a sette lati per includere in qualche modo i siriani assenti, ha col pito qui in Israele il tono del discorso di Gromiko. Da una parte, perché il ministro degli Esteri sovietico, smentendo rapidamente la sua reticenza di ieri, ha oggi abbracciato apertamente le tesi arabe sul diritto dei palestinesi e sul ritiro di Israele dai territori occupati. Dall'altra, invece, perché il suo discorso conteneva addirittura espressioni di benevolenza verso Israele e di riconoscimento dei suoi diritti sovrani. In complesso però, è sembrato qui che gli arabi dispongano di un protettore meno neutrale e meno distaccato di quel che non siano invece gli Stati Uniti nei confronti di Israele. Non ha stupito, invece, la durezza del primo intervento egiziano, che chiedeva l'evacuazione totale d'Israele dalle zone conquistate, e parlava di militarismo e di razzismo. Semmai la replica finale del ministro degli Esteri del Cairo è giunta inattesa. Nella sala dove eravamo, le sue frasi sui massacri israeliani e sui palestinesi «che hanno il diritto di agire come agiscono», hanno suscitato proteste. Molti in Israele pensano che questo sarà un bene, e che i delegati di tutte le parti potranno finalmente astenersi dal parlare «per la platea», come l'egiziano Fahmy ha stasera rimproverato al suo collega d'Israele. Si è convinti qui che dialoghi seri e costruttivi possano avvenire solo dietro la facciata illuminata del Palazzo delle Nazioni, nei contatti segreti che le delegazioni avranno occasione d'intrecciare. Non mancano anche alcuni segni positivi. La stessa irruenza finale di Fahmy ha sconvolto la procedura, e l'egiziano si è rivolto direttamente ad Eban, sia pure con invettive politiche, ma in un dialogo pubblico che non ha precedenti storici. Anzi, fra gli scarni commenti israeliani a questa prima giornata, registriamo l'opinione di chi dice che, per il fatto stesso che la conferenza sia cominciata, e che le parti siedano di fronte, Israele è ormai riconosciuto come uno Stato legittimo e sovrano. Si tenta qui anche un'analisi sommaria della posizione araba all'apertura della conferenza. Ciò che sembra trasparire dai primi discorsi, e dalla stessa presenza egiziana a Ginevra, è l'urgenza del Cairo di ottenere al più presto il disimpegno delle forze lungo il Canale di Suez, perché la presenza di truppe israeliane a soli 80 chilometri dalla capitale è insostenibile per l'Egitto Ma proprio su questa posizione gli stessi Stati arabi sembrano divisi. Altri pensano che, in assenza di un concreto pericolo di ripresa delle ostilità, il momento favorevole al negoziato potrebbe svanire, e si rischierebbe di tornare alla logorante condizione precedente di stallo, che favorisce la presenza israeliana nel Sinai. Per quanto riguarda gli altri popoli arabi, gli esperti israeliani prevedono che una fazione palestine¬ se vorrà continuare a sabota-re in ogni modo, e magari con altre imprese di comman- dos, eventuali progressi della conferenza ginevrina; i gior-dani si troveranno prima o poi dinanzi alla difficile scel-ta, per ora rinviata, di parlare o no anche a nome del popolo palestinese: se lo faranno, ac-cetteranno la tesi israeliana secondo la quale il problema della Palestina è un problema interno giordano, ma se rinunceranno rischieranno di abdicare per sempre a rappresentare anche gli interessi palestinesi e a reclamare per conto loro la restituzione di parte della Samaria e della Galilea. Infine i siriani: si pensa qui che essi vogliano decidere più tardi, e che siano pronti, sia ad unirsi agli altri negoziatori a Ginevra, sia a | schierarsi nel campo delle na-1 zioni più critiche della tratta- j tiva, come l'Irak e la Libia, in caso di dialoghi insabbiati, Questa è l'ottica israeliana di oggi, dopo la maratona | oratoria che non ha spostato di un millimetro le posizioni di partenza. In Israele siamo in piena campagna elettorale, e la violenza del dibattito interno oscura ogni altro argomento. Mentre oggi la coalizione laborista ha aggiunto altri due punti al suo programma (Israele è pronto a 1riprendere le relazioni diplomatiche con l'Unione Sovieti-1 ca, ed è pronto a riconoscere l'autonomia dei luoghi santi di Gsrusalemme), l'attacco della coalizione di destra al l'intera politica governativa è | veemente. Pur non volendosi 1 qualificare come «il partito j della guerra», il gruppo del Likud è fieramente annessio-nista, e il suo slogan è di non ciò è molto differente dalla posizione possibilista dimo- cedere «un solo palmo» della | twra conquistata con le armi: sostanzioso, o anche costrin 1 gere i laboristi ad una coali strata da Eban oggi a Gine- vra. I partiti di governo han-no ieri sera sfidato l'opposi- zione a pronunciarsi contro la partecipazione a Ginevra, Ma è chiaro che se il Likud dovesse riportare un successo 1 zione, la ripresa dei negoziati svizzeri avverrebbe in un clima politico notevolmente indurito, ancor più di quel che è apparso oggi. Andrea Barbato

Persone citate: Eban, Gromiko, Kissinger