È sempre peronismo di Angela Bianchini

È sempre peronismo Un romanzo dell'argentino Puig È sempre peronismo Manuel Puig: «Fattaccio a Buenos Aires », Ed. Feltrinelli, pagine 230, lire 3000. Manuel Puig, argentino, affermatosi con due libri precedenti, Il tradimento di Rita Hayworth (Feltrinelli, 1972), e Una frase, un rigo appena (Feltrinelli, 1971), è un autore inconfondibile. Forse, ormai, per una certa sua vena particolare, abbastanza atipica nell'America Latina, un piccolo classico. Certo è che questo suo ultimo romanzo, Fattaccio a Buenos Aires (traduzione di Enrico Cicogna), comparso pochi mesi or sono in Argentina sotto il titolo The Buenos Aires affair, lo conferma, come del resto se ne aveva il sospetto, un moralista. Moralista di un'epoca che, nei precedenti libri, sembrava retrocessa di trenta o quaranta anni, riportata all'infanzia e all'adolescenza dell'autore nella provincia di Buenos Aires, ma che ora si è fatta pericolosamente vicina, sistemata, praticamente, a ridosso di noi. Anche il campo d'azione dei protagonisti si è spostato: da quelle cittadine diverse e sonnolente della « pampa », appena alleviate, e non certo rallegrate, dai film e dai tanghi nonché dagli sceneggiati radiofonici degli Anni Venti e Trenta, siamo arrivati ormai a Buenos Aires. Anzi, a una Buenos Aires che presenta implicazioni pericolosamente e internazionalmente uniformi. La vicenda è anche qui costruita fin nei minimi particolari così che gli aficionados degli intrecci di Puig e dei suoi colpi di scena non rimarranno delusi, sebbene la conclusione del giallo (che qui non daremo) abbia forse meno mordente di quelle precedenti e soprattutto sia meno importante. In effetti, l'interesse, nettamente angoscioso, del libro non sta nella conclusione e si è esaurito, anzi, vorrei dire, prima che la fine giunga. Anche qui, come nei romanzi precedenti, ogni capitolo è preceduto da un'epigrafe presa da un dialogo di qualche film nordamericano (in un caso, un film argentino, tagliato però secondo i canoni di Hollywood) che serve a dare la rotta emotiva, almeno così è stato detto, di ogni situazione. Lasciamo agli esperti la vivisezione dei vari piani su cui agiscono queste epigrafi: indubbiamente, come si diceva, l'economia è esatta e strettissima, ma il rapporto tra queste epigrafi filmiche e il testo è diverso da quello che intercorreva, per esempio, tra i versi dei tanghi di Una frase, un rigo appena. Quelle canzoni riempivano le giornate vuote e sognanti dei protagonisti, di quegli emigrati modesti che vivevano a mille chilometri da Buenos Aires e non avevano né sogni né cultura da imporre al Paese. Soltanto più tardi, quando Evita Perón, d'accordo con il marito, diede impulso alla « funzione sociale svolta da radio-teatro », questi emigrati trovarono lì la realizzazione dei loro sogni banali e stereotipati. L'azione del Fattaccio a Buenos Aires ha luogo tra il 1968 e il 1969 ma, per la biografia dei protagonisti, Gladis Hebe D'Onofrio (nata nel 1935) e Leo Druscovich (nato nel 1930) si spinge indietro nel periodo di transizione che vede l'Argentina acclamare il governo Perón, liberarsi del peronismo e volgere nuovamente a una nostalgia di peronismo, mascherato perfino sotto gli scopi, del tutto diversi, del Far o Forze armate rivoluzionarie. Se il tempo si restringe, concentrandosi sul punto focale del peronismo, si restringe anche la zona d'azione. I protagonisti si recano anche in America del Nord, a New York e a Washington, e si spingono a San Paolo del Brasile, ma il ritorno, veloce e anodino grazie agli spostamenti moderni, è sempre a Buenos Aires. Ma c'è di peggio: dovunque vadano, trovano lo stesso mondo, le stesse avventure, la stessa brutalità, in cui violenza ed erotismo si alleano, la stessa traslucida, insipida, inutile visione del mondo. E di peggio ancora: questi protagonisti non frequentano le buie sale di spettacolo nei pomeriggi deserti e solitari delle cittadine sperdute, ma sono artisti, per lo meno di un certo genere. Perseguono, con ostinazione se non con talento, le arti plastiche. Certo, la loro arte, ci fa capire Puig, è di un'elementarità che sfiora gli schizzi delle riviste di moda e le loro concezioni artistiche hanno riflessi di sconcertante banalità. Ma il punto è proprio questo, che, frammisti a sogni erotici da fumettoni intercorrono, oniricamente, possibili interviste a Harper's bazar, che gli angoli bui di New York offrono sorprese di violenza e sadismo come la brughiera intorno a Buenos Aires, che i motivi e le motivazioni si confondono tutti e, dietro la sessualità irrompente c'è l'impotenza, dietro la paura della tortura la delazione, dietro le forze rivoluzionarie può nascondersi il fascismo. Mi accorgo di aver detto assai poco dell'intreccio che lega i due protagonisti che soggiacciono a un destino di erotismo e violenza ma forse posso aver dato un'idea della luce sinistra, seppur lievitata dal suo serrato e martellante umorismo, che Puig proietta ancora una volta, e in modo singolare, sul nostro squallido tempo. Angela Bianchini