Da "Gulliver,, a Leonor Fini di Marziano Bernardi

Da "Gulliver,, a Leonor Fini LE MOSTRE d'ARTE di Marziano Bernardi Da "Gulliver,, a Leonor Fini «Maniera nera»: non si creda che la locuzione abbia alcun rapporto con l'humour noir codificato dal surrealista André Breton. «Maniera nera», ch'è anche dettta «mezzotinto», è semplicemente una tecnica dell'incisione, inventata intorno al 1642 dal tedesco Ludwig von Siegen, diffusasi in Europa ed in modo particolare in Inghilterra per la riproduzione di pitture di genere e ritratti sfruttando la possibilità di ottenere dei volumi morbidi e dei toni vellutati, decaduta con l'avvento della fotografia ma in tempi recenti riportata in grande onore dal giapponese Kiyoshi Hasegawa ed oggi da un altro nipponico, Yozo Hamaguchi e dal monegasco Mario Avati. Quest'ultimo, che va riconosciuto come uno dei maggiori maestri della grafica contemporanea (è nato nel 1921, di sangue italiano, di educazione francese) espone suoi capolavori — non esitiamo sulla parola — per la terza volta a Torino, dopo il 1965 ed il '70, alla «Dantesca» della libreria Fògola di piazza Carlo Felice 19, e la sua mostra coincide con l'uscita d'uno stupendo libro ch'egli stesso ha illustrato con 42 incisioni originali alla «maniera nera»: il tredicesimo volume della preziosa collana per bibliofili iniziata anni fa dagli editori torinesi Fògola; cioè / viaggi di Gulliver. di Jonathan Swift. E' difficile definire il carattere delle illustrazioni di Avati, sempre « figurativo » nella rappresentazione oggettiva, ma sottilmente ricettivo di suggestioni metafisiche e simbolistiche. Chi infatti conosca il fantastico racconto dello Swift, tutto intriso di umore satirico, satira del costume del suo tempo ed in special modo inglese fino alla spietatezza (e dire che molti credono che i Viaggi di Gulliver siano un libro per bambini!), s'accorge che l'illustratore con le sue piccole incisioni ha voluto, riuscendovi alla perfezione, sintetizzare simbolicamente con icastiche allusioni il contenuto narrativo, spassosamente avventuroso, d'ogni singolo capitolo. Perciò le deliziose « maniere nere » s'apprezzano meglio nel contesto del volume che non allineate nella prima sala della « Dantesca », presentate quale una delle cento suites tirate a parte, indipendentemente dalla funzione illustrativa. Libero invece da ogni vincolo l'Avati nell'altra parte della sua affascinante mostra, dove trionfa l'alleanza d'una tecnica portata all'estremo limite della raffinatezza ricavando dai profondi misteriosi neri vellutati ottenuti col brunitoio le chiarità, ora abbacinanti ora sapientemente modulate dalle ombre, delle forme esclusivamente profilate e modellate dalla luce, con un'immaginazione plastica che si esprime in sobrie composizioni di natura strettamente metafìsica. Ne nascono, da quest'alleanza, splendide immagini in cui le cose, gli oggetti raffigurati traggono uno straordinario rilievo da un gioco luministico nel quale Renzo Guasco, scrivendone sul catalogo, scorge con acutezza un ricordo caravaggesco, oppure sfumano, smorenti faville sul fondo notturno, con estenuata finezza. ★ ★ Leonor Fini è di casa a Torino, quasi non passa anno che opere della famosa pittrice non vi ricompaiano, anche in mostre collettive, a confermare quanto di lei scrisse Constantin Jelenski in un sontuoso libro pubblicato a Losanna nel 1968: « Pochi pittori contemporanei dispongono di mezzi tecnici così sicuri e vari ». Tra i quadri che ora espone al « Fauno » di via Lagrange 1, v'è una Sfinge velata il cui velo è d'una levità e trasparenza da dar dei punti a quelli che avvolgono le ninfe danzanti nella Primavera del Botticelli. Ma quanto siamo lontani da ogni spirito umanistico! Tutto nell'arte della Fini freme d'una sensibilità moderna che si traduce in un immaginare surrealistico il cui immancabile pedale è la sensualità, sconfinante, quando più preme, nell'erotismo (e in questa mostra vi son due disegni che non lasciano dubbi in proposito). Comunque, tra i dipinti esposti, una testa di fanciulla quasi monocroma ci dà la misura delle possibilità figurali di questa donna colta e intelligente, forse talvolta tradite dall'ammirazione del pubblico per certe sue « perversità » che possono anche risultare gratuite nella loro ostentazione di complicazioni intellettuali e morali. Per conto nostro non è la Fini « sfingea » e « perversa » quella cui riteniamo spetti un posto eminente nella pittura contemporanea, ma la Fini che delinea superbamente, con la penna o col colore, e con una sicurezza degna dei grandi mae¬ stri, corpi e teste femminili e maschili, infondendovi una perentoria verità di vita. ★ ★ Varie, in questi giorni prenatalizi propizi alla scelta di doni, le offerte di oggetti esotici ed archeologici nelle gallerie torinesi, da « L'Approdo» di via Bogino 17 (ceramiche islamiche del medioevo persiano) a « I Portici » di via Pietro Micca 10 (antichi legni dell'Afganistan), a « La Bussola » di via Po 9. Quest'ultima, con un ricco assortimento di ceramiche precolombiane (Ecuador, Venezuela, Colombia, regioni andine) e con interessanti sculture del Pakistan e dell'Afganistan in cui ci sembra di scorgere riflessi dell'arte del Gandhara, presenta 14 magnifici ori, pendenti e terminali di collane, pettorali con figurazioni antropomorfiche e zoomorfiche, modellati e composti con saldature autogene, d'una raffinatezza da far invidia ad un Cartier. mar. ber.

Luoghi citati: Afganistan, Colombia, Europa, Inghilterra, Losanna, Pakistan, Torino, Venezuela