La disputa filologica di Vittorio Gorresio

La disputa filologica INCHIESTA SUI COMUNISTI D'ITALIA La disputa filologica Sul tema delle alleanze Luigi Longo ha sentito il bisogno di scendere nell'agone polemico - Misurandosi con Berlinguer, ha detto di preferire l'espressione "blocco storico" a "compromesso storico" - Affioravano così, oltre le sottigliezze lessicali, le due anime del partito: il presidente interpretava lo sconcerto della base per un eventuale ingresso nel governo Roma, dicembre. Più di quattro anni fa, nel villino di Gemano dove risiede. Luigi Longo disse a un giornalista: « Ci sono stati e ci sono nel nostro partito accenti diversi, sottolineature differenti? Non me ne preoccupo. Mi preoccuperei del contrario. Noi non siamo un partito monoesfalo o, se lei vuole, monolitico. Per noi, anzi, il dibattito e il confronto delle idee sono le condizioni per il progresso della nostra ideologia e della nostra elaborazione, oltre che della nostra azione» tefr. Enzo Bettiza. Quale pei? Milana 1969, pag. 143). Questa nobile professione I di rispetto per la dialettica democratica interna vista alla luce dei dissensi che ora tormentano il pei sul tema delle alleanze, dei compromessi e dei blocchi storici, dovrebbe far pensare che tuttora il presidente del partito continui a considerarli con lo stesso animo tranquillamente sereno. Ma più di quattro anni sono passati. e con il tempo qualche cosa può mutare nel temperamento di un uomo politico. Mostrandosi difatti meno olimpico di quanto fosse allora, Longo ha sentito oggi il bisogno di scendere luì stesso nell'agone polemico del partito per misurarsi da presidente con il segretario generale Enrico Berlinguer. Il deteriore Ricevendo un altro nostro collega nel medesimo villino di Gemano (Enrico Nassi di Epoca, 4 novembre 1973), venuta la conversazione al tema del compromesso storico tra pei ed altre forze politi¬ I cl}e e sociali, egli tenne a chiarire con puntiglio: « Mi corre l'obbligo di una precisazione di fondo sulla terminologia usata. L'espressione non mi piace e non so nemmeno se renda bene l'idea. Il sostantivo " compromesso ", specie in politica, si è caricato di interpretazioni deteriori: cioè, non dà solo l'idea di un accordo, ma anche quella del cedimento, della rinuncia a qualche valore fondamentale. Forse è anche per questo che in anni recenti noi abbiamo usato l'espressione "blocco storico ", che sottintende più efficacemente e realisticamente il significato dinamico che noi diamo all'idea di alleanza e di convergenza ». E' stato subito detto che la disputa Longo-Berlinguer aveva un risvolto filologico, e su questo terreno molti si sono divertiti. E' certo che ha ragione Berlinguer perché nel suo vocabolario della lingua italiana (ed. 1905) Pietro Fanfani definisce il compromesso una « scrittura fra due o più persone, contenente la promessa e gli obblighi che reciprocamente si fanno o si assumono, per rispetto a un affare qualunque ». Risalendo più addietro, sotto la voce compromesso si trova in Tommaseo: « quasi promessa d'accordo », e basta. Ma la parola « compromissum » era già ! ; i 1 ] \ | I ; \ , : j j i : \ ! j ! a i n in Cicerone che da grande \ civilista la usò nella sua orazione Pro Quinto Roscio Comoedo, ed altrove. Sempre sul piano filologico. Luigi Longo si è sbagliato ancora parlando a Enrico Nassi della giusta necessaria teorizzazione sistematica di un blocco di forze « diverse ma convergenti ». E' pure troppo facile obbiettare che ciò che diverge non converge per la contraddizione che noi consente: ma sono anche da riconoscere le buone ragioni che ha Longo a dire quello che dice, in un Paese come l'Italia il cui lingua, | I!jigio politico è sempre devian- te e che infatti ha già avuto le morolee famose « convergenze parallele ». A tale stregua si può accettare ben altro, non esclusa l'opposizione convergente proposta dal pei. Del resto Longo ha fatto onorevolissima ammenda, avendo poi detto all'Unità: « E' pur vero che il termine compromesso è stato usato nella tradizione marxista e leninista anche per indicare l'esigenza di una ricerca di convergenze e di intese con altre forze, al fine la raggiungere gli obbiettivi volta a volta storicamente necessari. Nella conversazione con il redattore di Epoca che mi è venuto a trovare a casa ho solo espresso una opinione personale circa la possibilità che da parte di coloro che sono abituati a deformare le nostre posizioni la parola "compromesso" fosse interpretata in un'accezione deteriore ». Filologicamente chiusa la questione con un rimpallo ! di citazioni e riferimenti da Cicerone a Tommaseo, Pietro Fanfani, Marx e Lenin, essa però rimane aperta sul piano politico. Restando fedele ai criteri che aveva ; esposto ad Enzo Bettiza, Longo dichiara di aver voluto solo usare del diritto riconosciuto nel pei a fare sentire accenti diversi e sottolineature differenti, esprimendo soltanto personali opinioni. Ma si può forse dire che il presidente di un pari tito solitamente non sconfes1 sa — anche sul punto del linguaggio — il segretario generale del suo proprio par] tito. Meno che inai, a memoria di ognuno, ciò si era visto accadere nel pei, come \ da molti è slato detto. L'asserzione di questi molti, tuttavia, non trova riscon| tri nella storia del pei. Se c'è un partito in cui si litiga. I si discute e dibatte fino al limite della pubblica scon; fessione. è appunto il comunista. In agosto del '69, quan\ do Amendola scrisse sul, TUnità che il partito doveva : prepararsi per andare al goj verno perché i tempi lunghi si erano fatti brevi, Longo lo fulminò dicendo che il j problema era posto in modo i « frettoloso »: « Il curioso — ha aggiunto adesso Longo — : è che proprio quanti ama\ no dipingere noi comuni! sti come coloro che sono caj paci solamente di ripetere ! sempre meccanicamente le stesse formule e le stesse parole, appena tu manifesti una preferenza per un modo di esprimersi piuttosto che per un altro, ci costruiscono \ TìTt™J™l™Sl°„??lniC0 | che proprio non esiste ». La distinzione Saranno parole oneste, ma non eludono la questione centrale. Visti i dissensi nel pei — dei quali abbiamo dato alcuni esempi nel riferire sui dibattiti durante l'ultimo I comitato centrale — viva è ! la tentazione di figurarsi anj che Longo meno persuaso i di Berlinguer sulla bontà i della proposta di un « compromesso » — nel senso dei teriore e non etimologico del termine — con altre for¬ J se sociali. «Blocco» è chiama¬ ta all'assunzione di corresponsabilità nazionali — co- me durante la Resistenza — laddove «compromesso» può apparire cedimento o rinun- eia. Il « blocco » è imposto da un'emergenza in cui si trovi in gioco la salvezza della patria; il «compromesso» può sembrare un passo indietro. In questo modo vengono a confronto le due anime che sono ben presenti nel partito comunista italiano del 1973. Alle due anime corrispondono due concezioni, l una proiettata alla strategia dei tempi lunghi, l'altra più. realisticamente contenuta alla tattica da usare gior7io per giorno, nelle obietti- I ve condizioni della società I del tempo d'oggi in Italia. | Berlinguer e Chiaromonte, | suo esegeta, guardano e vei dono lontano e nel profondo; altri si curano delle scadenze dell'attualità. Berlinguer raccomanda di considerare il monito di Lenin / « Non si può vincere senza aver appreso la scienza dell'offensiva e la scienza della ritirata ») che fu il capo rivoluzionario più audace nella scienza dell'offensiva, ma « anche il più audace nei saper cogliere, tempestivamente, i momenti del consolidamento e della ritirata ». Patti con Berlino Cita ad esempio il compromesso del 1917 con l'imperialismo tedesco sancito con la pace di Brest-Litovsk: peccato che non abbia menzionato anche il patto Molotov-Ribbentrop del 1939, ma ciò sarebbe stato portare acqua al mulino di Stalin, tuttora non inerte nel pei. E poi c'è l'altro compromesso di Lenin con le forze capitalistiche interne, che va sotto il nome di Nep (Nuova Politica Economica) sperimentata nei primi Anni Venti con più o meno successo: « Lenin non esitò a compiere tali scelte andando contro corrente — afferma Berlinguer con l'orgoglio dì chi si atteggia coraggioso imitatore di un maestro —. Queste due grandi operazioni rivoluzionarie, che contribuirono in modo decisivo a salvare il potere sovietico e a garantirgli l'avvenire, furono attuate in condizioni storiche irripetibili, ma il loro insegnamento di lungimiranza e sapienza tattica rimane integro ». « Meno male che ammette ih., 'e condizioni storiche Si no irripetib'ìi », ho sentilo -.ommcnlare in alcune federazioni comuniste umbre e toscane che sono andato visitando nel corso della mia ricerca. Ho trovato qua e là un'insofferenza per la scarsa valutazione the Berlinguer sembra ine delle necessità quotidiane della lotta: « Quando ci parla di lungimiranza possiamo anche accettare, ma in termini di i sapienza tattica bisogna far i :cnto delle cose come sono, 1 per esempio di ogni elezione amministrativa parziale ». « Lui può parlare, lui che sta j. Roma da (.'.ove tutto si vede facile e non compromettente: ma nella bagna ci siamo noi della provincia», si è con me lamentato un I membro piemontesi del CC | \ o i » o e l , Un altro, Antonio Bossoli no, si fa eco di preoccupa ciorci meridionali: « Nel Sud | l'iniziativa dei fascisti si manifesta in maniera che in parte è diversa rispetto a Reggio Calabria, ma in modo forse anche più pericoloso, con l'ambizione cioè di dare un carattere unitario alle varie azioni corporative: l'ambizione di rappresentare tutta l'opposizione in tutto il Sud». Giulio Quercini, di origine toscana ma residente a Catania, conferma: « I fascisti rilanciano la demagogia più esasperata nel tentativo di raccogliere a destra tutte le proteste, i par¬ ticolarismi, i parassitismi presenti nel corpo sociale meridionale ». Interviene sul tema Alfredo Reichlin, di Bari: « Almirante cerca di attirare gli strati più poveri e disperati in un blocco qualunquista e reazionario; certe correnti degli stessi partiti governativi cercano di scavalcarci in un attacco furibondo, quanto generico, "contro Roma"». E' ciò che può accadere nelle stesse borgate dì Roma dove i fascisti tendono a presentarsi come gli unici veri oppositori, eredi di quella protesta globale che i comunisti si erano resa propria negli scorsi anni e che aveva dì fatto procurato loro una larga messe di indiscriminati consensi. Adesso potrebbero trovarsi in serie difficoltà con le nuove parole d'ordine che essi devono propagare ma che non sono sempre facili da difendere. Ha raccontato tempo fa Alessandro Natta, presidente del gruppo parlamentare comunista di Montecitorio, che durante un suo giro in provincia lo assediarono compagni che gli domandavano: « Ma allora è vero che andiamo al governo? Non faremo poi mica la fine dei socialisti? ». Anche questo è da tenere in conto, la prospettiva che il compromesso storico significhi il passaggio dei comunisti da oppositori a governativi, cosa che suscita una specie di timore dell'ignoto, come di un salto nel buio. Davanti c'è un vuoto che può essere una tentazione ma che può dare anche il capogiro. Poi c'è il problema della sinistra extraparlamentare, dei gruppuscoli scalpitanti, magari inefficienti ma fastidiosi e comunque insensibili alle finezze dei confronti filologici fra Longo e Berlinguer. Essi pesantemente scherniscono l'uno e l'altro, e quindi un poco affliggono il partito, come vedremo. Vittorio Gorresio Enrico Berlinguer, segretario del pei, e Luigi Longo, presidente: due strategie diverse per gli Anni Settanta (foto Team)