La terribile notte d'Atene di Lietta Tornabuoni

La terribile notte d'Atene Parlano i protagonisti della lunga angosciosa giornata di fuoco La terribile notte d'Atene Minuto per minuto, il lungo concitato dialogo tra l'aereo e la torre di controllo: i terroristi che chiedono il rilascio dei due palestinesi in prigione, le autorità greche che tergiversano e cercano di logorare i loro interlocutori - "Ore lente di angoscia e di impotenza, di discorsi e trattative senza fine" - L'agente liberato perché ferito: confuso, stordito, ma felice - Il momento più brutto, l'alba, quando la prima luce ha fatto vedere sulla pista il corpo dell'operaio dell'Asa - "Per amor del cielo, ci ammazzano tutti" (Dal nostro inviato speciale) Atene, 18 dicembre. «E' stato come un fulmine, è stato come un fulmine». Nel suo letto, all'ospedale Evanghelismos, l'appuntato di polizia Ciro Strino non sa quasi dire altro. «Ho visto fuoco, sentito scoppi, mi sono trovato in mezzo al sangue... L'ho scampata bella». Non sta troppo male: due ferite di striscio al torace, una sventagliata l'ha colpito ancora a Fiumicino. Non è stato necessario operarlo, ora deve soltanto riprendersi. Ma è confuso, stordito. Forse non direbbe molto di più: è un ragazzo napoletano di 23 anni molto semplice, stravolto da un'avventura troppo grossa. «Ci davano poco da mangiare», dice parlando delle ore di incubo passate sull'aereo, prigioniero dei terroristi. «L'ho scampata bella», ripete. Ma cosa è successo, dentro quell'aereo? Non riesce a raccontarlo, in parte non lo sa: gli agenti italiani erano stati confinati nella classe turistica, mentre tutto accadeva nella cabina di pilotaggio e la prima classe. «Tutti bene, stanno tutti bene», assicura; e si vergogna un poco di dare agli onorevoli Sarti e Granelli, che gli fanno visita, l'indirizzo della sua ragazza. Arrivati alle 11 della sera di ieri, i due sottosegretari hanno vissuto ogni attimo della terribile notte di Atene. «Il momento più brutto — racconta Adolfo Sarti — è stato quando è arrivata la luce. Allora abbiamo visto una macchia bianca indistinta, il corpo abbandonato sulla pista del povero operaio dell'Asa». L'operaio, sembra, era morto da tempo: forse già a Fiumicino, forse poco più tardi. L'autopsia, in corso all'obitorio di Atene, dirà l'ora della sua morte. Dall'aereo è stato lanciato sulla pista alle 7 della sera. La tuta bianca da lavoro era imbrattata di sangue; il foro della pallottola, entrata da una tempia e uscita dall'altra, fa pensare ad una vera esecuzione; un foro di pallottola nel palmo della mano lascia indovinare l'ultimo gesto con il quale ha tentato senza speranza di proteggersi; una gamba gli è stata poi schiacciata, appiattita tanto da parere amputata, dall'aereo in manovra. «Quel morto all'alba, alla fine di una notte piena di grida di morte, ci ha dato pienamente il senso della strage». Nessuno dei protagonisti la dimenticherà facilmente, quella notte: «Ore lente di angoscia e di impotenza, di discorsi e trattative senza fine — dice Luigi Granelli —. Nella tensione dell'aeroporto sconvolto, le voci isteriche che gridavano in lingue incomprensibili, con la pena di quei ragazzi italiani chiusi nella loro prigione, lì sulla pista... e non poter fare niente, o quasi». Nella notte traversata da sirene della polizia e luci di riflettori, fra la torre di controllo dell'aeroporto e i terroristi chiusi nell'aereo si è recitata, per più di sedici ore, una tragica commedia degli inganni, un sinistro gioco ad imbrogliarsi. Da una parte i terroristi decisi a raggiungere il loro scopo: far liberare e portare con sé i due terroristi, Sciakis Arid di 22 anni e Kanturan Palaal di 21, autori dell'attentato del 5 agosto scorso all'aeroporto di Atene, responsabili della morte di cinque persone e del ferimento di decine di altre, detenuti in città in attesa di processo. Dall'altra, il governo greco — che già nel 1970 era stato costretto con il ricatto aereo a liberare altri sette terroristi arabi, colpevoli di un attentato alla sede ateniese della compagnia aerea israeliana «El Al» e della morte di un bambino greco — che questa volta non intendeva cedere. «Quando, appena arrivati, abbiamo avuto un colloquio con il viceministro degli Esteri greco — dice l'onorevole Granelli — abbiamo capito subito che il governo avrebbe assunto una posizione rigida, che aveva scelto la strategia della resistenza e del logoramento». Attraverso il radiotelefono e un interprete greco che ha parlato senza sosta per tutta la notte, i terroristi minacciavano, davano untimatum, dettavano condizioni. «Uccideremo un ostaggio ogni ora». «Uccideremo un ostaggio ogni dieci minuti». «Faremo muovere l'aereo verso l'ingresso del terminal lo faremo esplodere». Chiedevano che un ambasciatore arabo accompagnasse a bordo i due palestinesi detenuti ad Atene. Chiedevano un'ambulanza per il ferito, dell'ossigeno: «Dovrebbe essere curato immediatamente, altrimenti gli spariamo, così muore senza soffrire troppo». Concedevano ancora un'ora, minacciavano di scendere dall'aereo proteggendosi con gli ostaggi e sparando su chiunque si presentasse alla vista. Con voce affannata, alterata, proponevano scambi: lgPclvcsaazadg«caop«dsdvlmQigcstnrstAl le donne e i feriti contro un gruppo di ambasciatori dei Paesi Arabi, che avrebbero costituito una futura possibilità di atterraggio nei rispettivi aeroporti; un ferito grave contro uno dei detenuti palestinesi e due ambasciatori arabi. Il mercato tragico si arricchiva di tragiche recitazioni. Dall'interno dell'aereo arrivavano per radio colpi d'arma da fuoco, il grido angosciato del comandante: «Sparano, sparano!». «Lo uccidono, lo uccidono!», gridava ancora il comandante qualche ora dopo, si sentiva sparare, poi il comandante desolato. «E' troppo tardi, troppo tardi, è morto»: si trattava del secondo pilota. Una voce di donna invocava dall'aereo «Aiuto, aiuto»; arrivavano rumori di schiaffi e lamenti femminili, insieme al monito: «L'avete sentito? Questa donna morirà». Con il passare della notte, le ingiunzioni si facevano più incontrollate: fare il processo, subito, lì, nella torre di controllo, ai due terroristi detenuti ad Atene, assolverli, liberarli, lasciarli partire. I discorsi si facevano più deliranti: «Faremo girare l'aereo su Atene, getteremo sulla città i corpi degli ostaggi, uno per uno. poi faremo precipitare l'aereo in picchiata sul centro. Moriremo tutti, per la causa». Alle grida, alle minacce, alle infiammate dichiarazioni politiche (comprensibili soltanto per l'interprete e per gli ambasciatori arabi) del portavoce dei terroristi, le autorità greche, diffidenti, sicure che gli avversari tentassero di ingannarle con trucchi drammatici, ostinate nella decisione di non cedere e nella speranza che l'aereo se ne andasse al più presto verso altre mete, opponevano dilazioni imbarazzanti o abili. Abbiamo problemi tecnici, si sono interrotte le comunicazioni, stiamo discutendo, fra un quarto d'ora daremo una risposta, i due terroristi detenuti ad Atene non sanno usare il radiotelefono, pazientate, tra cinque minuti, tra venti minuti, ancora un momento: i rinvìi diventavano ore, si moltiplicavano le false controfferte, le domande superflue, le proposte ingannevoli. I due terroristi detenuti, di cui si chiedeva la liberazione, erano stati trasportati all'aeroporto nella speranza che convincessero i compagni sull'aereo a rinunciare alla richiesta: ma quando uno di loro ha invece gridato nel microfono: «Continuate la vostra azione, fate esplodere l'aereo, noi vi vendicheremo», ogni ulteriore contatto è. stato troncato. E non è vero, come era stato comunicato, che 1 due si siano rifiutati di salire sull'aereo «perché appartenenti a una diversa fazione terroristica »: né è vero che uno dei terroristi dell'aereo e uno di quelli detenuti fossero fratelli, «questo e romanzo, puro Dumas», dice l'onorevole Sarti. Unica voce autentica nel gioco degli inganni, il comandante del Boeing 737, Joe Kroese: 36 anni, il più vecchio dei prigionieri. Sull'aereo, sembra, erano tutti giovani, terroristi e ostaggi vivevano insieme a neppure trent'anni la tragica avventura. Nel suo inglese imperfetto, per tutta la notte ha gridato, insieme a notizie a volte false, il terrore vero: «Sparano, hanno già ucciso quattro ostaggi, per amor del cielo, ci ammazzano tutti, stanno diventando molto nervosi, non riesco più a trattenerli, la situazione è disperata, non mi credono più, ora vengono a prendersi le donne, fate qualcosa, salvateci, perché perdete tempo? Per amor di Dio, salvateci, salvateci!». I terroristi parlavano soltanto in arabo. « L'attimo più , teso è stato quello in cui hanno cominciato a discutere con gli ambasciatori della Siria, del Libano, dell'Egitto, della Giordania », racconta un diplomatico italiano, Gianfranco Ivancich, che era lì, «gli ambasciatori tentavano di convincerli, la loro ira invece è esplosa ancora più violenta ». Gli ambasciatori arabi hanno più volte offerto se stessi in ostaggio, come ha fatto anche l'incaricato d'affari italiano Ferrari, facente funzione di ambasciatore: invano. Raccolti nella stanza dell'aeroporto che accoglie gli ospiti importanti, mentre gli ambasciatori arabi erano accanto alla torre di controllo, diplomatici italiani, francesi, tedeschi, austriaci hanno passato tutta la notte aspettando nell'angoscia. « In tutto l'aeroporto non c'era più una sigaretta né un litro di whisky ». dice un addetto alle linee aeree greche, « c'erano migliaia di uomini, soldati, polizia, ministri, medici, giornalisti. Nessuno poteva far altro che aspettare ». « Da Palazzo Chigi o dalla Farnesina arrivavano telefonate ogni venti minuti », dice l'onorevole Granelli, « mentre il presidente Leone telefonava all'ambasciata. Siamo stati noi a proporre al governo greco di legare la concessione del rifornimento di carburante al rilascio degli ostaggi o almeno delle donne, dei feriti. Siamo riusciti, alla fine, a strappare il ferito ai terroristi; ma all'ultimo momento, fatto il pieno, pareva che volessero partire portandolo con sé ». All'ultimo momento, erano ormai le 9 e mezzo del matI tino, l'aereo si è mosso lentamente, ha avanzato sulla pista centrale, si è collocato in modo da nascondere agli spettatori quel che avveniva all'interno. Si è appena potuto veder calare una scaletta, due donne scendere sostenendo un uomo, abbandonarlo per terra, risalire in fretta. La lunga notte di Atene era finita l'aereo rombava per partire. Sulla pista lasciava la macchia bianca di un cadavere, e il corpo ferito dell'appuntato Ciro Strino, che adesso non sa raccontare una tragedia troppo grande per lui, e continua a ripetere: « L'ho scampata bella ». Lietta Tornabuoni I Atene. 11 corpo del caposquadra Asa ucciso e abbandonato dai terroristi sulla pista ,

Persone citate: Adolfo Sarti, Ciro Strino, Dumas, Gianfranco Ivancich, Joe Kroese, Luigi Granelli, Sarti