L'unità europea Vertice positivo di Aldo Rizzo

L'unità europea Vertice positivo I "nove,, dopo Copenaghen L'unità europea Vertice positivo La Comunità ha evitato per un soffio la grossa crisi che si profilava • La riunione si è chiusa su una nota unitaria - Un processo lento ma, almeno, non interrotto Il « vertice » di Copenaghen si è chiuso su una nota unitaria. Le facce erano stanche ma distese, sabato notte al « Bella Centret », via via che i capi di Stato o di governo uscivano dalla sala delle riunioni, dopo una seduta conclusiva che aveva assunto gli aspetti di una maratona diplomatica. Gli stessi olandesi avevano assai mitigato l'insoddisfazione di poche ore prima, ammettevano che, tutto sommato, era andata meglio del previsto. In realtà, non era accaduto nulla di sensazionale, non erano stati compiuti decisivi progressi sulla via dell'unificazione europea; però si era evitata una grossa crisi, la Cee aveva retto a una prova grave, e ciò rappresentava, indirettamente, una garanzia per il futuro. Nelle parole di Willy Brandt, il tema del « vertice » di Copenaghen era diventato « né più né meno che l'esistenza stessa della Comunità europea ». Infatti i Nove, che avevano deciso di riunirsi per concordare una più attiva presenza politica dell'Europa, dopo la prova d'impotenza che avevano offerto durante la guerra del Medio Oriente, si erano trovati a dover discutere, soprattutto, la crisi del petrolio, esplosa nel frattempo con l'embargo arabo: e la discussione era grave, oltre che in se stessa, per gli effetti dirompenti che poteva avere sulla coesione interna della Cee. Bisognava accogliere o ignorare, ancora una volta, la richiesta di solidarietà dell'Olanda, vittima, sola fra i Nove, di un embargo totale? Che tipo di discorso occorreva fare agli arabi, i cui rappresentanti erano arrivati nella stessa Copenaghen, e con intenzioni non chiare? Su questi problemi le opinioni erano divise, per ragioni politiche c per egoismi nazionali, e se non fosse stato possibile conciliarle, la Cee sarebbe entrata in una crisi drammatica. La crisi non c'è stata, ma vi si è arrivati vicini. E' parso, a un certo punto, che gli olandesi fossero decisi a bloccare ogni sviluppo comunitario, a partire dall'istituzione del Fondo di sviluppo delle regioni depresse, che interessa in primo luogo Gran Bretagna e Italia, se fosse stata loro negata una concreta solidarietà sul tema del petrolio. I tedeschi, che risentono direttamente, per via del porto di Rotterdam, dell'cmtargo all'Olanda, sostenevano le tesi dell'Aia. Poi, il compromesso, che faceva salva la solidarietà dei Nove, almeno formalmente. Compromesso, perché? Perché non è stata presa alcuna decisione immediata, il problema è stato rinviato alla Commissione di Bruxelles e al Consiglio dei ministri degli Esteri; ma il mandato fa riferimento a « un ordinato funzionamento del Mercato comune dell'energia » e postula « una maniera concertata » di risolvere gli effetti della crisi energetica. E' stato riaffermato, in via generale, che la crisi e comune, anche se essa tocca di più alcuni Paesi e di meno altri, e che comune deve essere la sua soluzione. Questo, a breve termine. A medio e a lungo termine, il discorso è più chiaro e costruttivo. 11 vertice ha proposto « un programma comunitario globale relativamente alle fonti di energia sostitutive », con particolare riferimento alle fonti nucleari. E poi si è parlato con gli arabi, realisticamente, sapendo quanto forte sia oggi il loro potere contrattuale verso l'Europa, ma anche avvertendoli che la posizione europea sul Medio Oriente ha dei limiti insuperabili. Si sono gettate, anche qui, delle basi per il futuro, le basi di un negoziato costruttivo, di un dialogo diretto fra Paesi produttori di materie prime e Paesi industrializzati. Tutto questo ha permesso di salvare la coesione interna della Cee, e giustificava l'espressione soddisfatta (più o meno) dei capi di Stato o di governo che uscivano, sabato notte, dal « Bella Centret ». Diverso però è il problema della futura presenza politica dell'Europa nel mondo, che era il tema di partenza del « vertice » di Copenaghen. Presenza politica vuol dire unità politica, esistenza di una vera entità europea, anche, inevitabilmente, sul piano militare. E da questo punto di vista tutto è più incerto e problematico. La decisione di tenere dei « vertici » frequenti e di allestire un meccanismo di convocazione obbligatoria dei ministri degli Este¬ ri in caso di crisi è apprezzabile; ma si resta sempre sul terreno della cooperazione fra Stati diversi: la cooperazione, in un caso del genere, può tradursi in una somma d'impotenze. L'impressione conclusiva è che ci sia un processo irreversibile verso l'unità dell'Europa. Se sono sopravvissuti, come entità omogenea, alle conseguenze immediate, dirompenti perché discriminanti, di un episodio cruciale come la stretta energetica, i Nove sono destinati, presto o tardi, a diventare una cosa sola. Il problema, però, è quanto presto o quanto tardi. E la risposta, allo stato delle cose, è che sarà più lardi che presto. S'intravede, per ora, più o meno vagamente, un futuro confederale, o qualcosa del genere. Questo basterà a l'are dell'Europa una presenza politica concreta sulla scena del mondo nell'immediato futuro? Si ha l'impressione di no. Per il momento, mentre contesta il «duopolio» russo-americano, l'Europa, di fatto, vi si affida: lo stesso rinvio del problema interno della solidarietà energetica agli organismi di Bruxelles perché ne impostino una soluzione entro la fine di febbraio è in fondo una scommessa sulla capacità delle due superpotenze di mettere d'accordo nel frattempo, a Ginevra, arabi e israeliani, e quindi di far venire meno le ragioni dell'embargo. Se ciò non dovesse accadere, la stessa coesione interna della Cee, sul problema del petrolio, potrebbe tornare in discussione. Aldo Rizzo

Persone citate: Willy Brandt