Vinci fu aiutato da una donna dopo il rapimento delle bimbe? di Guido Guidi

Vinci fu aiutato da una donna dopo il rapimento delle bimbe? Ancora molti punti oscuri sulla strage di Marsala Vinci fu aiutato da una donna dopo il rapimento delle bimbe? L'imputato continua ad accusare Franco Nania e sostiene di non avere avuto altri complici, ma sono in pochi a crederlo - Le piccole vissero parecchi giorni dopo il ratto: chi le nutrì? (Dal nostro inviato speciale) Trapani, 15 dicembre. Michele Vinci intende difendere qualcuno (forse una donna) al quale è legato da un particolare affetto e che potrebbe averlo aiutato dopo il rapimento di Antonella, Ninfa e Virginia? Fra le molte ombre che si addensano su questo dramma, ancora lontano dalla sua conclusione, improvvisamente, anche se timidamente, si affaccia questa ipotesi, che per il momento sembra comunque destinata a rimanere tale, perché, purtroppo, non esistono elementi sufficienti a farla ritenere apprezzabile. Ma è una ipotesi che i magistrati ai quali è stato affidato il compito di riprendere le indagini dopo l'interruzione del processo in corte d'assise non vogliono scartare a priori. In verità, il quesito sorse sin dall'inizio, perché apparve poco verosimile che Michele Vinci avesse potuto agire da solo, se è vero che le tre bambine vissero a lungo dopo il rapimento: Antonella quattro giorni, Ninfa e Virginia addirittura un paio di settimane. Dove le aveva nascoste, come aveva potuto sfamarle, come aveva potuto trasportare Antonella (viva o morta) dal fondo di Giuseppe Guarrato alla scuola semicostruita dove fu trovato il suo cadavere, se questo trasporto avvenne la sera del 25 ottobre (fino al mattino nell'edificio non v'era traccia della bambina) e quella sera Vinci la trascorse certissimamente in famiglia? Michele Vinci, comunque, ha spazzato via questa ipotesi con un colpo solo: la sua accusa (che ha confermato ieri, durante un interrogatorio durato sette ore, nel carcere trapanese) coinvolge unicamente Franco Nanìa, e quel tale, sul quale ha fornito soltanto alcune indicazioni («più alto e più grosso di me, coppola sul capo, accento non marsalese») che la mattina del 21 ottobre '71 gli avrebbe ricordato di obbedire all'ordine ricevuto di compiere il rapimento. Non esistono «alcuni complici», secondo lui, o almeno non esistono altri complici con i quali egli abbia avuto rapporti. Ma Michele Vinci dice la verità? E' un interrogativo sempre inquietante. La sua prima versione, quella per cui egli avrebbe agito da solo, per sfogare unicamente un istinto sessuale, è illogica; la seconda è lacunosa, inverosimile, poco credibile. Franco Nanìa, secondo Vinci, si sarebbe limitato ad agganciare il suo killer con una semplice proposta, corredata da una larvata minaccia di vendicarsi sulla moglie e sui parenti. Poi avrebbe fatto arrivare cinque o sei lettere, per ricordargli quale doveva essere il suo ruolo; gli avrebbe tagliato una gomma dell'auto perché non dimenticasse di tacere; e avrebbe inviato un emissario per indurlo a rapire Antonella. Michele Vinci sostiene di avere avuto con il suo mandante soltanto un colloquio, o al massimo due; eseguì l'ordine, portò le tre bambine nel fondo del Guarrato, cercò di salvare Ninfa e Virginia, andò a frugare nel pozzo, ma non trovò nulla. La paura avrebbe chiuso la bocca al Vinci. Sarebbe stato sufficiente che egli avesse parlato subito dopo la scoperta del cadavere di Antonella perché, se è vero che sopravvissero un paio di settimane, Ninfa e Virginia avrebbero potuto essere salvate. Ma le minacce di Franco Nanìa non gli avrebbero permesso di agire come era nei suoi propositi. Andò, dice, da un maresciallo dei carabinieri, ma non lo trovò, e preferì non consultarsi con altri. Tutto lascia supporre che anche questa seconda versione sia stata accolta con molto scetticismo e che ormai siano sempre più ridotte le speranze di ottenere da Michele Vinci un racconto chiaro, convincente, valido sotto il profilo logico. L'uomo, d'altro canto, è irremovibile sulle sue posizioni. «Escludo che altri siano coinvolti in questa storia, escludo che ci possa essere coinvolta una donna. Comunque, non lo so. E' certo soltanto che non proteggo nessuno». «Si tenga presente che Michele Vinci è tendenzialmente un bugiardo», ammonì l'ex procuratore della Repubblica di Marsala, ora deputato al Parlamento, Cesare Terranova, quando, di recente, gli venne chiesto un giudizio sul personaggio. L'onorevole Terranova è forse quello, fra tutti, che conosce meglio Michele Vinci. Fu lui che riuscì ad indurlo a confessare. Il primo interrogatorio di Michele Vinci in questa nuova fase delle indagini non ha fornito molti lumi per chiarire la situazione. Lunedì si tenterà ancora, ma con scarse speranze. Intanto, si indaga per sapere chi possa essere stato l'uomo che, nell'ottobre '71, seguì per strada Antonel¬ la e sua sorella Ida. Aveva capelli castani, volto scavato, magro: era alla guida di una Fiat «500» di colore arancione. Franco Nanìa possedeva un'automobile dello stesso tipo: ma se ne era disfatto nel marzo, cioè quattro mesi prima dell'episodio. A distanza di due anni ormai tutto diventa estremamente difficile Guido Guidi

Luoghi citati: Marsala, Trapani, Virginia