Pericoli per la viticoltura se rimarrà sema i crediti

Pericoli per la viticoltura se rimarrà sema i crediti Risultati di un convegno a Verona Pericoli per la viticoltura se rimarrà sema i crediti Il settore ha bisogno di capitali, per rinnovarsi e affrontare la concorrenza francese - Urgente l'applicazione delle direttive Cee comunitarie - L'opera del "Consorzio per il credito agrario di miglioramento" (Dal nostro inviato speciale) Verona, dicembre. Per mancanza di crediti, la viticoltura italiana rischia di vedere compromesso il suo slancio verso la conquista dei mercati mondiali. Negli ultimi dieci anni, ha potuto essere razionalizzata e ammodernata grazie soprattutto alle provvidenze dei due Piani Verdi. Gli interventi statali hanno promosso la riconversione delle colture, da promiscue a specializzate, con particolari sollecitazioni in favore delle zone di produzione di vini a denominazione d'origine controllata, e alla riconquista del colle da parte dei vigneti. Più export I risultati, anche per merito del « Mercato comune del vino » nato nel giugno del '70, si sono visti: in tre anni abbiamo triplicato le nostre esportazioni di vini, passando dai 4 milioni 830 mila ettolitri del '70 ai quasi 13 milioni e mezzo dell'anno scorso. Ma ora c'è bisogno di nuovo credito, per continuare a sostenere le aziende viticole italiane, nella fase di competizione che stanno portando avanti con le più agguerrite e sperimentate consorelle francesi. Come ha detto al recente Vinitaly di Verona il presidente della rassegna, sen. Dal Falco, « le spinte alla trasformazione sono ormai talmente profonde e generalizzate che qualche economista ritiene che si debba ormai fare riferimento non più a un'agricoltura "a capitale proprio", ma a una "agricoltura a capitale di credito" ». La possibilità, per i viticoltori come per tutti gli agri- coltori italiani, di ottenere il credito agevolato dipende dal. la prontezza con cui saranno applicate in Italia le leggi nazionali che recepiscono nel nostro ordinamento le direttive comunitarie. In un convegno a Verona, il dott. Alessandro Pistella, direttore generale del « Consorzio nazionale per il credito agrario di miglioramento », ha detto che senza le direttive, le misure e gli incentivi si fermano allo stadio di progetto e la riforma dell'agricoltura europea resta una semplice indicazione per il nostro Paese, mentre gli altri, che non l'hanno chiesta, ne godono i benefici e ne utilizzano i mezzi finanziari, aggravando la già pesante disparità delle nostre condizioni di produzione. E il presidente del Consorzio, dott. Dante Marchiori si è chiesto dove i molti critici degli ordinamenti del Feoga pensino di trovare le somme necessarie per mettere la nostra vitivinicoltura in condizioni di beneficiare dell'attuale felice momento del mercato europeo del vino, se perdiamo l'aiuto comunitario, pur da noi insistentemente sollecitato. Le direttive dovrebbero essere applicate entro il 31 dicembre prossimo, ma è ormai certo che non sarà possibile, perché il Parlamento deve ancora approvare le leggi nazionali che le rendano operanti nel nostro Paese. Il dr. Pistella s'è detto molto preoccupato, perché « se le direttive comunitarie non saranno presto applicate in Italia, i cospicui mezzi a disposizione non saranno presto utilizzati, e si perpetuerà quel vuoto di finanziamenti che ha oggi contribuito ad accrescere le difficoltà gravi in cui versa la nostra agricoltura in quasi tutti i suoi j comparti produttivi ». Eppure, come ha detto anche il ministro dell'Agricoltura Ferrari Aggradi, è necessario migliorare la qualità del vino italiano, se vogliamo continuare nella nostra espansione di vendite all'estero. E in questo sforzo un ruolo determinante può essere svolto dagli impianti collettivi, che ora sono 750 su tutto il territorio nazionale, in grado di lavorare la metà della produzione vendibile. I due grandi / due grandi del vino — appunto Italia e Francia — hanno ciascuno caratteristiche proprie e tradizioni differenti. In Francia i vigneti sono concentrati in poche regioni altamente specializzate, mentre in Italia c'è un fiorire di vigneti, piantati dovunque e sovente misti con altre coltivazioni. I francesi stanno bevendo meno, mentre gli italiani bevono di più, e anche meglio, orientandosi verso i vini doc. La produzione vitivinicola italiana è caratterizzata da un gran numero di piccoli produttori (1.959.000 aziende, contro 973.000 in Francia), giustamente orgogliosi del loro vino, ma spesso impreparati sotto l'aspetto tecnico e commerciale ta questi, e non certo alle grosse Case dalle antiche tradizioni, ci volevamo riferire, quando parlando della Winefood, abbiamo in un recente articolo detto che anche il capitale svizzero dev'essere benvenuto, se serve a far conoscere all'estero il vino italiano). Dal 1950 ad oggi le cantine sociali e le cooperative han¬ no registrato un rilevante progresso, anche se sopravvive, tenace e dura a morire, una certa mentalità individualistica. « Molti vigneti, tanti vini diversi — ha detto il sen. Dal Falco —: ecco un'altra caratteristica della produzione italiana. Accade che, sul piano nazionale, tante varietà di vini italiani, magari pregiati, non sono nemmeno conosciute: figuriamoci le difficoltà per poter arrivare sul mercato internazionale e conquistarlo in via permanente! ». Mille rivoli Dal Falco ha anche sottolineato l'urgenza di una «politica nazionale di coordinamento e di stimolo dell'esportazione dei vini italiani », per evitare che le iniziative si spezzino in mille rivoli. Ha ricordato un episodio che rispecchia le nefaste conseguenze del nostro campanilismo. Un ambasciatore italiano in una città europea s'è trovato a dover assolvere, nella stessa giornata, a questi impegni: ore 11,30, « presentazione e degustazione di prelibati vini tipici italiani »: ore 17,30, « presentazione e degustazione di pregiati vini tipici italiani » prodotti in un'altra regione; ore 19,30, «presentazione e degustazione di piatti e di vini tipici italiani » di una terza regione. Il diplomatico è riuscito a superare bene la prova, ma i concorrenti francesi erano più che soddisfatti di questo classico esempio di disorganizzazione. Livio Burato

Persone citate: Alessandro Pistella, Dante Marchiori, Livio Burato, Pistella