Un Rigoletto "giovane,, e Haydn all'Auditorium

Un Rigoletto "giovane,, e Haydn all'Auditorium Il melodramma di Verdi al Teatro Regio Un Rigoletto "giovane,, e Haydn all'Auditorium Unico "anziano" Cornell MacNeil, il protagonista - L'opera diretta da Paolo Peloso, scene e regìa di Rapp • "Le Stagioni" di Haydn dirette da Yuri Aranovitch Il secondo spettacolo della • stagione lirica del Regio era, | secondo voci correnti, un «Rigoletto dei giovani». Tali sono infatti la maggior parte dei componenti la compagnia, meno ben inteso il protagonista, baritono Cornell MacNeil, che di esperienza ne ha molta, mentre d'altra parte l'età non ha ancora per nulla intaccato la potenza dei mezzi vocali. Però, al di là d'una voce vigorosa, ma sempre ugualmente vigorosa, e della sicura conoscenza della parte, sarebbe difficile riconoscergli altri meriti. Tutto sommato, il gesto di coraggio compiuto dalla direzione affidando gran parte dello spettacolo a giovani leve di cantanti verdiani, non si può dire sia stato un'imprudenza. Il tenore Beniamino Prior e il soprano Milena Dal Piva hanno voci fresche, bene impostate e convenientemente educate: il tenore pronuncia bene, il soprano non soffre difficoltà d'intonazione, né negli acuti né al grave. Difettano un poco di personalità. Meglio provvista ne è il contraito Luisella Ciaffì, nella parte della sguaiata Maddalena: sicché il quartetto, per merito di tutti quattro, e del direttore Paolo Peloso che li reggeva attentamente, è riuscito uno dei momenti migliori dell'esecuzione. Degnamente hanno figurato anche il basso Loris Gambelli come Sparafucile, Rosanna Bianco Persico, Carlo Micalucci, Mario Sarti, Nello Zorani, Giuse Gerbino, Eno Mucchiutti e Adriana Strazzacappa. La concertazione di questo spettacolo ha subito un contrattempo, in fase già assai avanzata, per l'indisposizione che ha colpito il maestro Predella; lo ha sostituito il maestro Paolo Peloso, e la sua esperienza gli ha permesso di prendere le redini dello spettacolo con pochissime prove, assicurando una discreta resa dell'orchestra e un buon equilibrio delle parti vocali. Il coro, istruito dal maestro Tullio Boni, ha forse subito le conseguenze più pesanti in fatto di accordo con l'orchestra. Naturalmente, in queste circostanze, di una subordinazione dell'esecuzione a un'idea interpretativa unitaria non è nemmeno il caso di parlare: sono cose che potranno maturare nel corso delle repliche, insieme ad una maggiore confidenza e scioltezza. Adesso sono tutti un po' rigidi e concentratissimi, come se si aggirassero tra insidie nascoste. Scene e regìa sono di Carlo Rapp, che già altre volte ha fornito ottimi scenari a spettacoli del Regio. Si parlava di queste scene per il Rigoletto come di qualcosa di molto audace e — ahimè! — «nuovo». Per fortuna i timori che tali voci avrebbero potuto alimentare si sono dimostrati ingiustificati. Salvo un paio di casi in cui il regista ha preferito rinunciare a scene vere e proprie, accontentandosi austeramente di panneggi neri, altrimenti si tratta di scene sobrie e or inali, sì, ma per nulla cervellouche. Tradizionali e brillanti i costumi. Della regìa, a dire il vero, non si vede gran traccia, salvo che pei le manovre delle scene d'insieme. La recitazione è affidata all'iniziativa dei singoli. La Ciaf fi cerca di costruire il suo personaggio, e Gambelli produce un killer rozzo, ma se non altro non artificioso. Per il resto, i gesti vani delle braccia si sprecano, quei gesti che non hanno altra ragione se non di favorire l'emissione della voce. Le danze del primo atto sono affidate al corpo di ballo del Regio sotto la guida di Sara Acquarone. Ciò ha per effetto di paralizzare tutti gli altri personaggi, che se ne stanno immobili in gruppetti isolati, sicché il Duca canta la Ballata per conto suo, in mezzo all'indifferenza generale. Manca, insomma, la conversazione, l'animazione generale della festa. Con tutto questo, uno spettacolo di tutto decoro, sia musicale che scenico, destinato ad acquistar quota appena le repliche permettano di assorbire le conseguenze del disguido avvenuto in fase di concertazione. Difatti il pubblico l'ha apprezzato, applaudendo ogni fine d'atto e ripetutamente, a scena aperta, i tre personaggi principali. Massimo Mila Per inaugurare la sua stagione sinfonica all'Auditorium la Rai ha fatto le cose per bene, allestendo una splendida esecuzione delle Stagioni di Haydn; gran merito ne va al direttore Yuri Aranovitch che ha stretto in serrata unità tutti gli aspetti dell'opera trovando con i solisti, il coro e l'orchestra un accordo che pareva uscito da anni d'intesa. Haydn ebbe il dono divino di non annoiare mai: né i suggerimenti verso la magniloquenza del librettista e ispiratore del lavoro Van Swieten, né il soggetto edificante, musica occupate da queste Stagioni, celebranti una natura fecondata dal duro lavoro dell'uomo all'ombra della illuminata monarchia austriaca. La Natura delle Stagioni non è quella della Pastorale o del Viaggio d'inverno, ma un cosmo ordinato e ridente: anche il temporale tumultua in forma di fuga e capretti e pesci sembrano saltare e guizzare col consenso di Sua Maestà Cesarea; nate nell'ultimo anno del Settecento (e presentate trionfalmente nel 1801) le Stagioni sono però l'anello di congiunzione fra il Flauto magico e il Fidelio e ricordi dell'uno e anticipazioni dell'altro quasi si corrispondono. né i 70 anni ormai prossimi sono riusciti a rendere meno deliziose le oltre tre ore di | La dimensione grandiosa | dell'opera è stata l'altra sera I esaltata dalla prestazione ve- I ramente superba del coro to-1 rinese che quando canta così | è pari a quelli che si possono sentire a Vienna, a Praga o a Berlino: non poteva fare omaggio più esplicito al suo direttore Ruggero Maghini, che oggi lo lascia per l'ineluttabile scatto delle regole aziendali, dopo averne fatto, in anni di lavoro appassionato, uno strumento indispensabile alla cultura musicale cittadina. Bravissimi i tre giovani solisti, il tenore Harald Ek, il basso Robert Holl e il soprano Helen Donath (che molti ricordavano come Marcellina nel Fidelio dato all'Auditorium qualche anno fa): in- cantevole la grazia di que st'ultima nell'episodio che prepara il temporale e nel- l'ultima aria, chiaramente al lusiva di Bin Màdchen oder Weìbcìien del Flauto magico. Anche l'orchestra era al suo standard migliore: il primo oboe ha esibito tesori di stile e fraseggio e così pure le altre prime parti tutte chiamate alla ribalta dal direttore russo, il quale ha la rara facoltà di trovare l'equilibrio fra precisione, illustrata da gesti rigorosi e saettanti, e libertà accordata alla fantasia del singolo esecutore. E' un gran bene che ritorni a Torino per altri tre concerti della stagione. Accoglienze festose e un'ovazione affettuosa al Maghini, applaudito dal pubblico e dal suo coro. g- P-

Luoghi citati: Berlino, Marcellina, Praga, Torino, Vienna