Aristotele controluce di Carlo Carena

Aristotele controluce Aristotele controluce Aristotele: « Opere », Ed. Laterza, 11 volumi, lire 19 mila. L'elenco delle opere di Aristotele al termine della biografia di Diogene Laerzio occupa sei pagine e si chiude con la notizia che « i suoi scritti abbracciano 445.270 linee ». Non ho contato le linee — e nemmeno le pagine — di questa edizione italiana nell'Universale Laterza, curata nel suo complesso da Gabriele Giannantoni, in undici volumi. Certo è un monumento anche per l'editoria e per la cultura italiana, e un'iniziativa che dovrebbe richiamare su di sé l'attenzione di molti. Il prezzo è relativamente modesto, ci sono introduzioni, note, rimandi interni, un indice dei nomi; le opere genuine figurano quasi al completo (l'assenza più vistosa è quella dell'Historia animalium), per la prima volta sono tradotti anche molti dei frammenti, tra cui si trovano cose importanti, o curiose, o bellissime. Sfogliare queste pagine è ripercorrere lo svolgimento del pensiero umano per millecinquecento anni, prospettarsi di continuo il problema che attraversa tutta la nostra storia e discrimina la nostra filosofia: il rapporto fra platonismo e aristotelismo, o la loro opposizione, sintetizza il rapporto stesso dell'uomo verso la realtà. Apro l'Etica Nicomachea, questo cocciuto programma di felicità in cui il ricamo del pensiero sulla materia viva è ancora più impressionante dei vertici della logica o della metafìsica, ove il pensiero ricama su se stesso. In un punto, Aristotele prende in esame la famosa risposta di Solone a Creso, secondo la quale non si può stimare nessun uomo felice fin che vive, ma prima bisogna attendere di vedere la sua fine. Il filosofo inizia la sua confutazione mostrando come ci può seguire un'infelicità anche dopo morti, e conclude dimostrando che la felicità è uno stato abituale favorito dalla sorte e costituito essenzialmente dalla pratica di virtù, quali la generosità o la grandezza d'animo, sulle quali non influiscono i mutamenti di fortuna o i piccoli casi. Sono tutte osservazioni vere, acute o ovvie; la vita è così, e «allora chi è felice non dovrebbe mai divenir miserabile, anche se non sarà veramente beato se farà la fine di Priamo ». Ma il senso della risposta di Solone è proprio qui: il nostro solo venir al mondo ci fa altrettanti Priami, esposti e quasi certamente vittime, se non del crollo d'una città e della strage d'una famiglia, delle mene dell'astuto, delle fortune dell'immeritevole, dei colpi del tempo e di quant'altro elenca Amleto nel suo monologo: per la nostra incapacità stessa di essere buoni ed eterni. Questo, che è l'intimo tormento e l'immane malinconia dell'uomo greco e cristiano, è il regno dell'intuizione platonica e rimane estraneo alla comprensione del grande rivale. Così, l'imperturbabilità sapiente e stimolante che è al fondo della sua pagina costituisce la meraviglia della lettura. Sono, come diceva Alain, gli sviluppi di due potenze differenti per la loro stessa perfezione: « e dite voi quale vale di più, se ne avete il coraggio ». Carlo Carena

Persone citate: Diogene, Gabriele Giannantoni