Il giudizio dell'opinione pubblica

Il giudizio dell'opinione pubblica Clinici, dopo la sentenza la parola spetta ai lettori Il giudizio dell'opinione pubblica Per non interferire sullo svolgimento del processo, non abbiamo pubblicato, in questi due mesi, le lettere giunte a "La Stampa" sull'argomento - Ora ne riportiamo alcune: sono commenti spesso impulsivi, contro o a favore degli accusati, amare considerazioni sulla giustizia e sulla confusione in cui è costretta a vivere l'Università - Intanto il pubblico ministero ha annunciato che quasi certamente non appellerà: si ritiene soddisfatto della decisione E' quasi certo che il pubblico ministero non impugnerà la sentenza dei clinici. Questo significa che la procura della Repubblica ritiene giusta la decisione del tribunale, anche se ha assolto parecchi imputati per i quali la pubblica accusa aveva chiesto la condanna. Tutto sommato, i giudici della terza sezione del tribunale hanno accolto la tesi del dott. Zagrebelsky: i soldi andavano versati all'Università, perché le cliniche sono organi dell'Ateneo e non enti autonomi con caratteristiche più ospedaliere che universitarie. Ne deriva che i direttori di clinica, essendo pubblici amministratori, non potevano trattenere quelle somme, anche se una parte gli sarebbe stata restituita dall'Università. Il mancato versamento alla tesoreria dell'Ateneo integra il reato di peculato: ma a questo punto occorre distinguere tra due tipi di comportamento. CI sono stati dei clinici che, pur trattenendo i proventi delle varie prestazioni, hanno creduto di agire in buona fede; e altri invece che si sarebbero resi conto di sbagliare, ma hanno proseguito per questa strada. Senza voler mancare di rispetto alle gravi cose della giustizia, il processo che si è appena concluso potrebbe aver come sottotitolo: «Alla ricerca del dolo vagante». C'è stato un difensore che ha definito, nella sua arringa, «slalom gigante» lo sforzo abilissimo del pubblico ministero nell'individuare e contestare a un imputato il dolo, a un altro la buona fede. Criterio, che ha ispirato la accusa fin dall'Inizio dell'inchiesta, partita con una schiera di oltre 40 accusati e giunta alla sentenza di rinvio a giudizio con un gruppo di sedici. Il tribunale, proseguendo in questo lavoro di ricerca, ha ridotto ancora questo gruppo, assolvendo 12 imputati e condannandone quattro. Non conosciamo la motivazione della sentenza e sarà interessante leggerla appena verrà depositata, non prima della fine di gennaio. Si saprà allora perché Dogliotti, Roccia, Midana e Brunetti sono stati condannati mentre i loro colleghi sono stati prosciolti con la formula «perché il fatto non costituisce reato per mancanza di dolo». Un giurista osserva: « E' una formula piuttosto originale, in quanto la parola "dolo" non dovrebbe comparire nei dispositivi delle sentenze, ma soltanto nelle motivazioni». Non sta al cronista commentare le decisioni del tribunale, ma soltanto riferirle, cercando tutt'al più d'interpretarle alla luce dei fatti che sono a sua conoscenza. I commenti, però, ci sono: oltre a quelli degli esperti (avvocati) e degli interessati (clinici), ci sono quelli dell'opinione pubblica, della gente che legge i giornali, che ha seguito il processo fin dalle prime udienze, che ha conosciuto direttamente gli imputati in camice bianco. Sull'argomento, le lettere e le telefonate giunte a «La Stampa» non si contano. Sommersi Martedì il centralino del nostro giornale è stato sommerso, Ano a notte inoltrata, da telefonate di persone che volevano conoscere l'esito del processo. « Li hanno condannati Analmente? ». Oppure: « Com'è finita per quelle brave persone? ». Nelle lettere c'è la voce della città, con 1 suoi sentimenti Impulsivi Ispirati a semplice simpatia o antipatia e 11 giudizio non tecnico dell'uomo comune su un episodio che, prima di essere giudiziario, è di costume. Il prof. Emilio Trabucchi, direttore dell'Istituto di farmacologia e di terapia dell'Università degli studi di Milano, aveva scritto qualche tempo fa, una lunga lettera che ha intitolato «Riflessioni di un romantico sul processo ai clinici di Torino». Nella prima parte, il prof. Trabucchi si domanda come mai il processo non abbia suscitato reazioni nel pubblico, dato che Specchio del tempi cosi pronto a riflettere i profondi sentimenti popolari non ha riportato lettere in proposito. Rispondiamo subito che Specchio dei tempi ha accolto opinioni sulla vicenda dei clinici prima che si aprisse il dibattito. In seguito ha taciuto solo perché ritenevamo che qualsiasi intervento avrebbe costituito un'indebita interferenza sullo svolgimento della causa. Adesso, a sentenza pronunciata, diamo la parola al lettori 11 cui interesse è stato costante e appassionato. E cominciamo proprio dal prof. Trabucchi. Prosegue la lettera del docente: «Chi mai oggi pensa a tutta la serie di sacrifici che comporta la preparazione a diventare medici e a restare poi medici all'altezza di tutti i nuovi, continui progressi della scienza contemporanea? Chi ricorda che anche oggi, pur ai medici più maturi, che tante battaglie hanno superato e vinto, non mancano le notti insonni per la preoccupazione della salute dei propri malati? Un giorno mi congratulavo con uno dei nostri maggiori clinici per l'aspetto buono della sua salute: ed egli mi rispondeva affermando: "Io ho la cera dei miei ammalati" ». La lettera così prosegue: « Né si deve credere che siano scarse le preoccupazioni di un direttore di un vasto Istituto o di una Cllnica, ricca di multi/ormi servizi specializzati, per fare si che le attrezzature scientìfiche e quelle per l'assistenza siano efficienti e moderne, cosi da non doverne arrossire nel ricevere le frequenti visite di studiosi stranieri. E quanta fatica per ottenere tutto questo, quanta iniziativa personale, quanto apporto anche di denaro privato! Prestigio « Se l'Università italiana ha mantenuto qualche prestigio anche in campo internazionale, molto va dovuto ai cosi detti baro¬ ni, che hanno gestito la loro "ba- l ronia" con più amore che si fos- 1 se trattato di cosa propria, e non di rado in mezzo a molte incomprensioni, e a gravi preoccupazioni. Io penso poi che certi scandali, se non giovano alla giustizia, tanto meno favoriscano quel progresso della scienza al quale dovrebbero essere soprattutto ordinate le nostre Università ». Quando 11 dott. Zagrebelsky fece la sua requisitoria c chiese la condanna di 9 Imputati si levarono molte voci talune amare e crude contro i clinici. « Leggendo le richieste del p.m. — scriveva un insegnante — mi 0 venuta in niente la campagna che "La Stampa" ha fatto per otlene- re un po' di giustizia per i non "strutturati", cioè per quei medici che, dedicando tutta la vita alle cliniche universitarie, non erano pagati, facevano orari spaventosi di giorno e di notte. E in cambio soffrivano le umiliazioni del "padrone" dell'Istituto. Ho ricordato i "pasticci" dei concorsi, gli intrighi degli incarichi, le lettere che i clinici mandavano qua e là per far emergere i loro protetti. Mi sono detto che se condanna ci sarà perché questi "grandi" hanno trattenuto del denaro, non sarà ancora abbastanza. Purtroppo nessuno può istruire un processo morale per condannare l'autoritarismo e l'egoismo di uomini che per anni e decenni hanno dominato la vita delle cllniche e le hanno ridotte a I simbolo dì sopruso ». Un altro lettore nso laureato al Politecnico: « Il p.m. ha chiesto pene fino a 9 anni per t clinici accusati di essersi messi in tasca i soldi che appartengono alla collettività, che il popolo paga con le tasse, che dovrebbero fruttare al cento per uno nell'interesse di tutti e che invece hanno formato soltanto la fortuna di qualche persona. Molto bene. Malgrado la cattiva figura che questo processo ci fa fare agli occhi dell'Europa, è bene che gli scandali succedano. Forse i cattedratici che prenderanno il posto di questi imputati, cambieranno musica e agiranno secondo giustizia ». E anccra: « Forse non li vedremo mal scontare la pena: perché, anche in caso di condanna, ci sarà l'appello e chissà quando il processo sarà veramente finito. A me basta, e credo basti a molti altri, che la pubblica accusa abbia giudicato un bel gruppo di clinici degni di condanna. Ammettiamo che il tribunale li assolva appoggiandosi a una nonna piuttosto che all'altra di quel bailamme di leggi che "non" regolano l'Università. Resterà, nel cuore della pubblica opinione, la certezza che prima o poi sarà fatta piazza pulita di tutti gli abusi, delle irregolarità, e delle ingiustizie che dominano il regno dei baroni. Perché un governo con i piedi per terra dovrà pur mettere ordine nella confusione dell'Università e restituire all'Italia una scuola superiore tutta di vetro in modo che ci possiamo guardare dentro senza vergognarci ». Scarsa in genere è la fiducia nella giustizia, soprattutto in quella che deve pronunciarsi sui ricchi e i potenti. Un abbonato giorni fa scriveva: « Prevediamo già tutti che il processo ai clinici finirà in una inesistenza di reato \ oppzmvbrcsccmmtUsdnuaga \ o in un condono generale per supposta buona fede. In Italia le pene sono inversamente proporzionali alla gravità del reato commesso. Ma perlomeno i clinici dovrebbero essere obbligati a rimborsare le somme indebitamente riscosse e, per loro, sarebbe il castigo peggiore ». Un impiegato osserva: « Perché sprecare tanto tempo nel "processone" ai clinici, dal momento che non servirà a nulla? Quante migliaia di processi a comuni mortali attendono, da anni il loro turno e devono essere rinviati! ». Un altro si domanda come mai siano stati incriminati i direttori di clinica che avrebbero « ammlnistrato in modo caotico e non uniforme, dimostrando di non aver avuto una guida che ne regolasse le azioni » e non piuttosto '< tutti i membri del consiglio di amministrazione ». A favore Non sono mancate, anche se in assai minor numero, le lettere favorevoli agli imputati. « Mi sembra die le accuse rivolte al prof... siano puerili e non abbiano convinto nessuno. Come si può dimenticare il valore e la fama del clinico, i suoi interventi, il coraggio e l'umanità ». Gente che ha avuto il marito, la moglie, un figlio « salvati » da un bisturi o da una cura risolutiva ha scritto sdegnata di vedere questo o quel professore oggetto di accuse tanto « assurde, messe su da nemici e rivali ». Testimonianze di drammi oscuri e angosciosi vissuti nelle corsie degli ospedali, che il tribunale non poteva conoscere, perché esulavano dall'Interesse della causa. « Ha salvato mio figlio », « Mi ha messo in grado di diventare madre »; « Mi ha restituito mia moglie sana, al di là di ogni speranza ». In questo « processo di soldi » come l'ha definito la parte civile, l'elemento umano è stato forzatamente messo alla porta, non doveva e non poteva entrarci. Il concetto è stato ribadito dal pubblico ministero, quando ha detto: « Qui si devono giudicare degli amministratori, non dei medici » quasi per prevenire qualsiasi tentativo di « umanizzare » la causa. Il curioso è che, alla line, la causa si è risolta proprio sulla esistenza o no del dolo, cioè della consapevolezza di agire o no in buona fede, da parte dei clinici. Un problema, in sostanza, di coscienza. Cosi il medico-uomo, cacciato dalla porta del processo, vi è rientrato dalla finestra. Sergio Ronchetti I professori Midana, Brunetti, Morino, Dogliotti ascoltano le richieste del p. m. - Zagrebelsky lascia il tribunale - Sorrìdono, dopo la sentenza, ì professori Torre e Beretta Anguissola

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