Risultato incerto nel Venezuela Qualche incidente e voci di brogli di Mimmo Candito

Risultato incerto nel Venezuela Qualche incidente e voci di brogli Risultato incerto nel Venezuela Qualche incidente e voci di brogli I candidati dei due partiti maggiori rivendicano, ciascuno, la vittoria: ma il ministero dell'Interno non ha ancora dato alcun comunicato - Il problema del petrolio (Dal nostro inviato speciale) Caracas, 10 dicembre. Come per tutte le elezioni che avvengono in qualsiasi parte del mondo, anche qui, in Venezuela, riuscire a capirci qualcosa, a ventiquattr'ore dal voto, è un'impresa impossibile: i socialcristiani del Co¬ pei giurano che, dai calcoli fatti, la vittoria del loro can didato, Lorenzo Fernandez, è ormai cosa certa; quelli dell'Accion Democratica ribattono che, dai dati finora conosciuti, il maggior numero di preferenze è andato al loro Carlos Andrés Perez; in mezzo, c'è il ministro degli Interni, che non ha ancora rilasciato alcuna comunicazione. Certo è che la previsione della vigilia risulta confermata: il risultato di queste elezioni sarà molto incerto fino all'ultimo, almeno per quanto riguarda il prossimo presidente della Repubblica (com'è noto, qui si è votato ieri, anche per il rinnovo del Parlamento venezuelano). E purtroppo rischia di trovare conferma anche l'altra previsione, pessimistica, che s'era fatta: quella sugli incidenti, possibili in caso d'incertezza. Cominciano, infatti, a circo- lare già le prime voci di brogli, e in qualche breve scontro i sostenitori del «verde» Lorenzo le han date e le han prese dagli accesi amici del «bianco» Carlos Andrés. Più serio, l'incidente che c'è stato, stamani, davanti alla sede del Consiglio elettorale superiore, l'organo che assi cura istituzionalmente la legittimità del risultato elettorale. Circa cinquecento persone hanno schiamazzato a lungo davanti al palazzo, nel centro di Caracas, protestando e rivendicando il loro diritto «ad essere uguali agli altri»: in sostanza, chiedevano di votare, e affermavano che la polizia alle 8 di ieri sera aveva chiuso i seggi dove essi stavano aspettando, in coda, di poter ricevere la scheda per entrare in cabina — la disposizione approvata dal Cse prevedeva, invece, che potessero votare tutti coloro che, alle 20 di domenica, fossero ancora in coda nei vari seggi. La faccenda può diventare assai brutta. Oggi erano solo poche centinaia a far baccano e rumore, ma molti altri cominciano a telefonare ai vari giornali, parlando anch'essi di «diritti violati» e di «bro- gli». Se vogliamo, è un po' nel folklore delle elezioni sudamericane che l'appendice colorata delle «frodi» e delle accuse segua come fatto naturale qualsiasi voto. Ma in que- sto caso la storia è piuttosto diversa, e per due ragioni Prima, perché il Venezuela si ostina — e non con tutti i torti — a sentirsi un paese latinoamericano diverso: il reddito medio per abitante è prossimo a quello d'un europeo, e Caracas non ha realmente alcuna tradizione golpista. Poi, perché queste elezioni avvengono in un momento molto delicato nella cronaca d'una possibile evoluzione democratica del Sudamerica: è ancora d'oggi la brutta storia del Cile, e non sono pochi — a Washington e a Brasilia, naturalmente, ma anche a Cuba e in Perù — che aspettano da Caracas, nei risultati del voto e nei «possibili» incidenti, una verifica delle loro tesi sul «desarollo» di questo immenso continente. E' la storia di sempre, in Sudamerica. Quanto più ciascun paese cerca di affermare la sua identità nazionale, privilegiando i termini d'uno «sviluppo» autonomo e d'una propria autonomia politica, tanto più, e quasi fatalmente, s'affermano con prepotenza i valori della «integrazione» e della interdipendenza nel destino degli stati, del Caribe allo Terra del Fuoco. Certo, non è che i venezuelani abbiano votato, ieri, prò o contro il governo di Unitad Popular: hanno votato pensando ai fatti di casa propria, ai loro problemi irrisolti; ma tutti sentono che là, sul fondo, c'è la storia esemplare del Cile e dello scontro tra interessi privilegiati e programmi di sviluppo sociale. E il fiume di ricchezza che il petrolio porta con sé dal Golfo di Maracaibo è legato a troppi interessi e a troppe attese. Naturalmente, gli interessi dei pochi e le attese dei molti. Il petrolio, oggi, è il termine di riferimento d'ogni attività in Venezuela. L'aumento che in quest'anno ha avuto la «gasolina», per le note vicende internazionali, ha portato allo Stato un introito superiore, rispetto al bilancio preventivo del '73, di dimensioni colossali: quasi 600 milioni di dollari. Una fortuna enorme, cui i due partiti che accampa¬ no maggiori possibilità di successo (Capei e AD) guardano con malcelata ingordigia, ma a cui stanno molto attente anche le compagnie nordamericane che hanno in concessione lo sfruttamento dei pozzi. Washington poi, non dimentichiamolo, beve oggi il petrolio del Venezuela come una risorsa assolutamente necessaria (consuma quasi il 70 per cento dell'intera produzione carachegna, e copre il 90 per cento del mercato delle importazioni venezuelane): sarebbe ingenuo fingere di ignorarlo e credere che gli Usa possano disinteressarsi completamente di queste elezioni. Mimmo Candito

Persone citate: Carlos Andrés, Lorenzo Fernandez, Perez