Negli Usa solo in novembre 200 mila disoccupati in più di Vittorio Zucconi

Negli Usa solo in novembre 200 mila disoccupati in più I primi effetti della crisi energetica in America Negli Usa solo in novembre 200 mila disoccupati in più L'America paga le conseguenze di una cattiva gestione politico-industriale - Alcuni economisti prevedono una recessione - L'indice di Borsa cala, ma le azioni delle compagnie petrolifere, che dovrebbero essere le più colpite, vanno a gonfie vele (Dal nostro corrispondente) Washington. 10 dicembre. Duecentomila disoccupati in più per il solo mese di novembre sono il primo, tangibile prodotto della crisi energetica negli Stati Uniti, le cui radici, qui più che altrove, sono un segreto delle compagnie petrolifere, ma 1 cui frutti sono amari e visibili. Se tutto il mondo industrializzato paga oggi il conto di anni di irragionevole spreco, gli Usa devono rimpiangere le conseguenze d'un incredibile «mlsmanagement», d'una cattiva gestione politico-industriale. Questa conclusione non è nostra, ma della commissione parlamentare che ha indagato sulla situazione energetica del Paese. I duecentomila disoccupati (0,2 per cento in più da novembre a ottobre) sono certamente solo l'avanguardia di un più folto esercito di senza lavoro: l'amministrazione Nixon prevede (e le sue stime non sono sospette di pessimismo) che entro l'anno prossimo il tasso di disoccupazione passerà dall'attuale 4,6 per cento ad almeno il 6,5 per cento, in cifra assoluta un milione e quattrocentomila in più. Cifre angosciose, anche in un Paese sconfinato come questo, ma tanto più gravi se si tien conto che la crisi economica — alcuni economisti per il 1974 prevedono addirittura una recessione — non verrebbe affatto attenuata dalla sospensione dell'embargo arabo, come riconosce la Casa Bianca ammettendo implicitamente i propri errori. Da dove vengono questi duecentomila senza lavoro? Dall'industria della plastica (cioè dai derivati del petrolio), dall'industria automobiistica, dalle attività turistiche, dal settore dei trasporti. Le compagnie aeree, che hanno dovuto ridurre di quasi il 25 per cento i propri voli, soprattutto i charters, hanno licenziato la scorsa settimana centinaia di piloti, hostess, meccanici (250 la Twa, 200 la Eastern Airlines, 150 la Pan American). I colossi dell'auto, già in crisi per il massiccio rigetto dei modelli più costosi, hanno rapidamente spostato l'asse della loro produzione dalle mostruose vetture qui classificate come regular size, dimensione normale, a quelle di taglia media e alle compact, licenziando la mano d'opera in soprannumero. Ma, per non trarre conclusioni avventate, non dimentichiamo che negli Stati Uniti la libertà di licenziamento offerta a qualsiasi datore di lavoro non è neppure paragonabile alla situazione delle nostre aziende: al minimo segno di crisi, alla minima indicazione che una filiale, un reparto non è più redditizio, qui si chiude e questa logica spietata, sulla quale si fonda, tra gli altri fattori, la forza economica degli Stati Uniti, è accettata senza segni importanti di contestazione, anche da parte dei sindacati. L'industria dell'auto e le compagnie aeree sono state le prime attività colpite dalla stretta energetica e le prime a reagire (General Motors ha licenziato 105 mila persone). Ma la reazione a catena è appena cominciata e il peggio non è ancora stato scritto. La petrolchimica prevede una riduzione di attività del 15 per cento e licenziamento per 1,8 milioni di dipendenti. L'edilizia, già colpita da una crisi dei finanziamenti che ha paralizzato gli acquisti negli ultimi sei mesi, annuncia la chiusura di 500 mila cantieri il prossimo anno. L'industria del tempo libero, dalle stazioni sciistiche ai casinò di Las Vegas, calcola una perdita prevedibile di 1200 miliardi di lire, con 750 mila posti di lavoro in meno. E Wall Street, gran santuario dell'economia americana, reagisce prontamente facendo precipitare l'indice di Borsa al livello più basso da tredici anni a questa parte: «Gli artisti del panico», come il New York Times definisce gli operatori di Wall Street, parlano di un nuovo » lunedì nero », di un imminente crack borsistico come di un'ipotesi concreta e non lontana. In risposta a questo malessere montante, prossimo a divenire malattia grave, l'amministrazione Nixon esorta, sorride, vara piani e nuove agenzie governative. Nei giorni scorsi è nata la Fea, « Federai energy administration», presieduta dall'ex sottosegretario al Tesoro, William Simon. La Fea, dicono i critici, ha il compito di amministrare una stalla già vuota: le vacche grasse dell'abbondanza energetica sono scappate da tempo c Simon non potrà fare molto se non lenire gli effetti di errori commessi d«ninb da altri (egli è il quinto « stratega » petrolifero nominato da Nixon nell'arco di 12 mesi). Sopra la testa, Simon ha il Presidente che vorrebbe portare il Paese fuori dalla crisi con mano di velluto per non irritare un'opinione pubblica già abbastanza scorticata da Watergate e annessi. Ma sotto di lui stanno gli industriali, i camionisti, i padri di famiglia che non possono bruciare chiacchiere nel. le loro caldaie. E di chiacchiere strane il Paese ne ha avute tante, per lo più menzognere. Come giustamente ha notato Girotti, il presidente dell'Eni, nell'intervista alla Stampa, Nixon ha sicuramente mentito al Paese: o era falsa la cifra delle percentuali di importazioni provenienti dal Medio Oriente (5,8 per cento del consumo totale è la cifra ufficiale) oppure si dovrà spiegare come mai una frazione del 5,8 per cento (perché non tutti i fornitori arabi degli Usa applicano l'embargo) può gettare nel panico l'economia nazionale. E come mai i profitti e le quotazioni in Borsa delle compagnie petrolifere vanno a gonfie vele, mentre proprio loro dovrebbero essere tra le più colpite? Di fronte all'oscuro intrico di interessi e di responsabilità che nutre la pianta della crisi, gli americani trovano tanto più risibili e dure da accettare le esortazioni alla sobrietà che giungono dalla Casa Bianca. Non guidate la domenica, non vendete benzina nei giorni festivi, abbassate i termostati, non accendete di luminarie gli alberi di Natale, dice la presidenza: cosi facendo gli Usa sortiranno dalla crisi pagando un piccolo prezzo comune, anziché una terribile sofferenza. Ma la sensazione è che il 1974 porti sacrifici per tutti e sofferenze per molti: in marzo, l'ente federale per l'energia prevede il razionamento. E gli americani aspettano ancora di sapere come mai il 5,8 per cento in meno di petrolio possa travolgere l'economia più potente del mondo. Vittorio Zucconi

Persone citate: Borsa, Girotti, Nixon, William Simon