La quarta impresa a Torino

La quarta impresa a Torino La quarta impresa a Torino A Torino le Brigate Rosse hanno rivendicato la paternità di tre episodi: gli attentati contro le auto di alcune persone definite «fascisti»; l'incendio di una villa di Poirino appartenente al defunto deputato missino Maina, il sequestro del sindacalista della Cisnal Bruno Labate, aggredito nei pressi di casa e abbandonato in catene davanti alla Fiat Mirafiori. In tutti i casi gli attentatori hanno inviato ciclostilati ai giornali in cui spiegavano le ragioni che li avevano spinti ad agire. Il primo episodio, nove auto date alle fiamme, risale al novembre dello scorso anno. Ai giornali è giunto un comunicato in cui si leggeva: « Alcuni nuclei hanno attaccato e distrutto con un'azione contemporanea in diverse parti della città le macchine dei seguenti fascisti ». Il documento elencava nove nomi di «sindacalisti della Cisnal e attivisti del msi», e un loro breve «curriculum politico. «Questi sabotatori e liquidatori dell'unità operaia — aggiungeva — devono essere senza tante esitazioni duramente colpiti, battuti, dispersi». Nell'inverno, un altro attentato firmato. Obbiettivo, la villa del consigliere comunale missino on. Maina, morto l'estate scorsa in un incidente stradale mentre rientrava dall'aeroporto di Caselle. Mobili distrutti, vetri infranti. Anche qui, volantini inviati ai giornali hanno rivendicato alle Brigate Rosse le responsabilità del gesto. Terzo episodio, il 12 febbraio di quest'anno. Vittima, Bruno Labate, sindacalista Fiat della Cisnal aggredito e sequestrato a pochi passi da casa, in via Blamonti. Erano le 9,30. Alle 15,30 alcuni operai che uscivano dalla Fiat-Mirafiori lo hanno trovato legato con catene ad un palo della llice dr'co7so"Tazzoli.*Vna"benda ! nera sugli occhi, il capo completamente rasato. A terra, ancora volantini con l'intestazione « Brigate Rosse »: « Questo è Bruno Labate — dicevano — segretario provinciale dei metalmeccanici Cisnal, pseudoslndaeato fascista che i padroni mantengono nelle nostre fabbriche per dividere la classe operaia ». Alcuni giorni dopo la polizia ha rintracciato il furgone. Su una portiera, spiccava nitida un'impronta digitale: quella di Maurizio Ferrari, 24 anni, resi- mandato di cattura. Ma non è mai stato rintracciato. E neppure altri due attivisti che la po lizia avrebbe identificato durante dente a Milano. Il giudice istrut- . tore ha emesso contro di lui un | le indagini Ma le « Brigate rosse » sono nate a Milano con manifesti affissi nel capoluogo lombardo nel no- vembre del 1969: annunciavano I un programma rivoluzionario, di | conquista del potere attraverso. la lotta armata. Allora l'organiz- zazione non aveva alcuna deno-1 minazione e solo dopo qualche i settimana si era costituito il «col- lettivo politico metropolitano» che raccoglieva gente 'contenta dei ! sindacati e del potere costituito. Era la vigilia delle bombe in piazza Fontana e il « collettivo » aveva dimostrato improvvisamente di avere notevoli mezzi: manifesti, fogli ciclostilati, volantini in quel periodo si sono sprecati. I capi sono sempre rimasti nell'ombra anche se si sussurravano dei nomi, tra cui quello dello stretto congiunto di un notissimo industriale milanese che seguiva i comizi a distanza a bordo di una « Ferrari ». „ , '1? ™!2.U.!C0"?"L^! ! 'lia mutato il nane in «sinistra proletaria» che in seguito ha annunciato la formazione anche di nuclei clandestini detti « Brigate rosse ». Tra gli slogan lanciati durante la guerriglia dei comunicati ci fu quello poi ripetuto in modo martellante di « padroni, è la guerra! ». Le « Brigate rosse » non si limi¬ tano a colpire, emettono anche , delle «"sentenze" politiche». La |prima azione è stata compiuta il 17 settembre 1970: l'auto del dott Giuseppe Leoni, direttore della Sit-SIemens venne incendiata nel box. Incendi e danneggiamenti di vetture di altri dirigenti industriali si susseguono nei mesi successivi. Il primo attentato venne compiuto il 25 gennaio 1971 a Lainate sulla pista di collaudo pneumatici della Pirelli dove otto ordigni incendiari danneggiarono altrettanti autocarri. Un volantino annunciava: « Compagni, un fiore è sbocciato. La lotta violenta e organizzata dei nuovi partigiani è nata ». Dopo la « Lotta ai padroni » . hanno iniziato quella ai « fasci | sti », incendiando le auto di esponenti missini. Dopo una serie di attentati fuori Milano (a Roma, Rieti, Lamezia Terme, Vibo Va- lentia, Pavia e Trecate di Novara) hanno inizio i rapimenti. Il 3 marzo 1972 l'ing. Idalco Macchiarini dirigente della Slt-Siemens, nel pieno della vertenza I sindacale della società venne se | questrato, minacciato con le ar. mi, caricato su un camioncino, legato e malmenato. Una foto 1 scattata nel furgone, mostrava il i dirigente sotto la minaccia di due rivoltelle e dietro un grosso car tello: « Brigate rosse. Mordi e ! fuggi! Niente resterà impunito! Colpiscine uno per educarne cento ». Solo ai primi di maggio del 1972, durante le indagini sulla morte di Feltrinelli, la polizia ha scoperto a Milano numerosi covi delle «Brigate rosse» in via Boiardo, in via Delfico, in via Inganni: vennero trovate anche «prigioni» del popolo destinate alle persone sequestrate, numeroso materiale di propaganda e armi. Dal momento che in questi «covi» si riunivano anche esponenti di «Po ! tere operaio» e dei «Gap» (Crup- pi armati partigiani) questi ultimi fondati da Feltrinelli, era sorto il dubbio che le «Brigate rosse» fossero una delle organizzazioni sorte con l'aiuto finanziario dell'editore milanese morto il 14 marzo 1972 al traliccio di Segrate. L'inchiesta ha permesso di escluderlo. Nel corso delle indagini du¬ , | ™n'e J_a_ Pfi^avf_ra ?^J?J;LVe" Servizio a cura di: Vincenzo Tessandori, Franco Giliberto, Clemente Granata, Marco Marello, Ezio Mascarino, Roberto Reale, Renato Rizzo. o e e è » nero arrestate una sessantina di persone che nel corso dell'istruttoria ottennero tutte la libertà provvisoria. Altre otto persone colpite da mandati di cattura sono tuttora latitanti e non è escluso che il colpo sia partito o sia stato organizzato da questi ultimi. Indagini sono in corso in questo senso anche a Milano. Vincenzo Veriello e Ignazio Manuguerra, testimoni