Riforma nelle terre del Tokaj di Ennio Caretto

Riforma nelle terre del Tokaj INCHIESTA SULL'ALTRO COMUNISMO: UNGHERIA Riforma nelle terre del Tokaj Nell'Europa orientale, l'agricoltura è la figlia disgraziata del regime: qui invece i contadini stanno meglio degli operai - Non sono scomparse le aree depresse, ma lo Stato raggiunge buoni risultati con un compromesso realistico tra collettivizzazione ed economia privata - Ma neppure questo riesce a frenare l'esodo dei giovani verso le città - L'orizzonte dei consumi fa passare in second'ordine, momentaneamente, il problema delle libertà civili (Dal nostro inviato speciale) Gyorgyos, dicembre. Ho perso il conto dei brindisi. Gyula Farkasdi e Miklos Szabo mi hanno guidato attraverso non so quanti vigneti e cantine, costrin- j gendomi a bere ad ognuno di essi. Gyula Farkasdi è un segretario del Consiglio nazionale delle cooperative agricole, ha 35 anni, è scapolo, parla soprattutto della nuova sinistra in Occidente e della Fiat 127 che sta per acquistare. Miklos Szabo è il vicepresidente della cooperativa « Rakoczi », è più anziano, con una moglie e una figlia, nutre un interesse più concreto nei vini. Mi trovo, se ben ricordo, nella regione del Tokaj, dell'Egri Bikaver, il forte Sangue di toro, dell'Olasz Riesling, il Riesling italiano. Per l'Ungheria, questa è terra benedetta: intorno all'Anno Mille, essa ospitò il primo re magiaro, oggi esporta i suoi prodotti in tutto il mondo. « Quando compra una I j bottiglia di Tokaj — mi dice Szabo — guardi il numero rosso sull'etichetta, va fino a 5 come le stelle del cognac, più è alto più il tokaj è buono. Il numero indica gli acini d'uva passita usati per ogni grappolo ». Dai volti dei miei due accompagnatori trasuda l'orgoglio. Nei Paesi comunisti l'agricoltura è la figlia disgra- ziata del regime, ma non in ] Ungheria. Ora che hanno finalmente ottenuto l'assistenza sanitaria gratuita, i contadini ungheresi stanno meglio degli operai. Le percentuali La loro condizione, se non proprio felice, è soddisfacente; restano dei poveri, ma è anche vero che s'incontrano dei ricchi. Nonostante i disagi, da cittadini di seconda classe essi diventano quasi dei privilegiati. A Budapest ho avvertito scontento e invidia nei loro confronti. I Per colmare il divario nel reddito medio tra le città e le campagne, quest'anno il governo ha dovuto aumentare i salari dell'industria dell'8 per cento. « In Ungheria — m'informa Farkasdi — su 10 milioni e mezzo di abitanti, abbiamo 1 milione 800 mila operai e 1 milione 100 mila contadini. Circa 850 mila contadini fanno parte delle co- operative, che coprono oltre l'80 per cento del terreno coltivabile. Altri 170 mila lavorano nelle aziende agricole di Stato, i privati sono 60 mile. ». La storia della cooperativa vinicola « Rakoczi » di Gyorgyos è esemplare. Nata nel 1960 dall'unione di 3-4 mila piccoli poderi, la cooperativa s'è trasformata in una grossa impresa, con un'industria alimentare, di legname e metalmeccanica che lavora su appalto per le ditte di Budapest. La manodopera nei vigneti è di 20 mila persone, che guadagnano sui 22 mila fiorini annui a testa; quella nelle fabbriche è di 5 mila persone, che ne guadagnano sui 35 mila (al cambio ufficiale, il fiorino vale 27 lire). « La legge ci consente di conservare e coltivare in privato fino a 0,7 ettari di terreno — mi precisa Miklos Szabo — pari a un altro introito massimo di 40 mila fiorini all'anno ». Un'aria diversa Posso fargli i conti in tasca? « Sicuro. Come vicepresidente della cooperativa io prendo 4200 fiorini al mese, come membro mia moglie ne prende 1200, il podere ce ne dà altri 3000 ». Il salario medio d'un operaio a Budapest è di 2500 fiorini mensili, quello della moglie di 2000. L'operaio non possiede né la casa né la macchina, Szabo sì. « Non ci possiamo lamentare — dice —. La riforma dell'economia ha cambiato l'atmosfera delle campagne». Non sono scomparse le aree depresse, ma lo Stato raggiunge buoni risultati con un compromesso realistico tra la collettivizzazione e l'economia privata. Esso sollecita l'adesione popolare ai propri programmi e tenta di evitare misure amministrative. Non segue il modello sovietico dei sovkoz, rispetta l'attaccamento dei contadini alla terra. Non costringe più nessuno ad aderire alle cooperative (ma nel sistema dei prezzi è insito un premio per esse, ed è un mezzo di persuasione potente), permette il bracciantato, sussidia i coltivatori disagiati. « Il mio compito — spiega Farkasdi — non è di sorvegliare ma di consigliare le aziende, di organizzare gare nella produzione e nelle esportazioni, che sono ormai libere ». Farkasdi ha due lauree, una in agronomia l'altra in filosofia, percepisce 6 mila fiorini al mese. Il suo unico cruccio è che neppure la ripresa dell'agricoltura frena l'esodo dei giovani dalle campagne alle città. «Stanno peggio, ma là c'è più vita; qui mancano troppe infrastrutture, il lavoro è duro. Pochi resistono al fascino dell'industrializzazione di massa ». La riforma ha dunque aperto a tutti gli ungheresi l'orizzonte incantato dei consumi e la prospettiva del benessere. Il diverso atteggiamento del partito fa sì che essi discutano meno di politica e più di questioni quotidiane. Almeno temporaneamente, l'introduzione del nuovo meccanismo economico ha spostato il confronto tra il popolo e la leadership dal piano delle libertà civili a quello del vantaggio personale e dello sviluppo dello Stato. Si è stabilita una mutua intesa sulla partecipazione della base al potere, e sui suoi limiti. A poco meno di 20 anni dalla rivolta del '56, l'Ungheria conosce così un periodo di recìproca buona volontà dei governanti e dei governati. Robert Juhasz, del Fronte patriottico popolare, l'organismo che raccoglie l'intera gamma di opinioni accettabile al regime, sottolinea che « non si tratta di una convergenza ideologica ma d'una collaborazione per una società migliore ». E' come se la riforma permettesse agli ungheresi di riconciliarsi con la realtà dopo il trauma rivoluzionario. Forse per il Paese il fatto principale è che la gente non protesta più come una volta. « Aiutati che il ciel t'aiuta » è un proverbio che ricorre di frequente ed è indizio d'ottimismo. Il sessanta per cento delle famiglie ha la televisione, in quindici anni il costo di automazione della casa (cioè dell'insieme degli elettrodomestici) è sceso da 15 mila a 13 mila fiorini, il canone d'affitto mensile rappresenta il 10 per cento del salario. Sono stati rivalutati i 70 mila artigiani e ì 12 mila piccoli commercianti: « Il loro numero è scarso », ammette Robert Juhasz, « ma la loro funzione vitale, poiché soddisfano bisogni di fronte ai quali l'industria statale è ancora impotente ». Chi può, fa due lavori. Mi ha detto un amico, indicandomi il portiere del night club « Il gatto nero », uno dei più noti di Budapest: « E' un professore di ginnastica ». Tutto ciò non avviene senza contrasti. Ai massimalisti non piace la nuova morale « piccolo borghese », ed essi chiamano con scherno questo socialismo « il socialismo del frigorifero ». Pochi alloggi Non che manchino i motivi di disagio. Il maggiore è la crisi degli alloggi. A Budapest se ne costruiscono 40 mila all'anno, ma c'è una lista d'attesa di 150 mila. Fiorisce la speculazione: nel giro di pochi mesi, appartamenti da 250 mila fiorini raddoppiano di prezzo passando di mano in mano. La coabitazione è una delle cause principali dell'alta percentuale di aborti e di divorzi, un assillo del governo. Una vignetta di Ludas Maty, un settimanale satirico che ricorda il Krokodil sovietico, raffigura una giovane coppia inginocchiata in preghiera sulla piccola pubblicità immobiliare dei quotidiani. Al cabaret politico, desta risate irrefrenabili la scenetta degli sposi senza tetto costretti a vivere e dormire nei cinematografi. Neppure la condizione femminile è confortante. Le donne costituiscono il 42 per cento della manodopera nazionale, e lo Stato protegge la maternità e l'infanzia. Ma negli asili c'è posto solo per 11 60 per cento dei bambini, e l'assistenza medica lascia a desiderare, come la maggior parte dei servizi. Tuttavia gli ungheresi pensano a come stavano prima, e si consolano. Robert Juhasz definisce il \ processo di avvicinamento tra il popolo e il partito « una ricerca di concordia nazionale » e ritiene che in esso vi sia spazio anche per l'evoluzione del sistema politico. Egli ricorda che negli Anni Cinquanta la gente si salutava per strada al grido di « Libertà compagno » e vestiva una specie di uniforme: finì con la rivolta armata e la fuga dei migliori cervelli in Occidente. Oggi, la formula di Radar «Chi non è contro di noi è con noi », consente multiformità di comportamento e viaggi all'estero, sìa pure con gravi limitazioni monetarie. Come scrive Le Monde, « si prospetta una onesta gestione del comunismo ». Teatro e libri Afferma Juhasz: « In Ungheria ascoltiamo le radio e leggiamo i giornali occidentali. Alcuni mesi fa, i nostri teatri rappresentavano contemporaneamente cinque commedie dell'americano Neil Simon. Traduciamo decine di vostri libri all'anno ». Forse sono concessioni superficiali ma contribuiscono ad avviare un dialogo tra il regime e gli ungheresi. « Non a caso, il programma di maggior successo alla televisione è "Forum": in esso i leaders rispondono subito alle domande rivolte telefonicamente dagli ascoltatori ». Onesta strategia ha suggerito anche la modifica della legge elettorale. Oggi i candidati al Parlamento vengono scelti dalle assemblee di rione, su proposta o del Fronte patriottico popolare, o di gruppi, o di privati. Alle ultime elezioni, su 7 milioni dì votanti, 2 milioni e mezzo hanno partecipato alle riunioni, tuttavia, restando spesso inerti. Alle prossime, l'anno venturo, è previsia una presenza più massiccia e consapevole. Dichiara Juhasz: «Abbiamo già avuto qualche sorpresa. Sta cambiando la testa della gente ». Naturalmente, il partito mantiene il controllo sia del Parlamento sia delle assemblee con l'apparato giudiziario e poliziesco della « legalità socialista » e con altri mezzi di pressione. Ma il suo principio informatore pare elastico, a meno che si tocchi « il fondo dell'ideologia » o si urtino le suscettibilità russe. Al cabaret politico si ironizza su questa situazione. « Sai », dice il comico al compagno studiando la mappa della città, « mi accorgo adesso di quanto la strada del socialismo sia tortuosa e dura: per arrivare a via Lenin bisogna passare da Piazza Mosca e via dei Martiri ». E ancora: « Ti devi aggiornare sulla geografia socialista: Mosca è equidistante da Tirana e da Pechino, ma si trova esattamente dove si trova Budapest ». La tregua tra governanti e governati e il loro compromesso di lavoro sono definitivi o costituiscono soltanto una parentesi necessaria per superare il trauma del '56 prima di un nuovo cruciale confronto? Che accadrebbe se la riforma economica, che ne è il veicolo, fallisse o fosse boicottata? Juhasz (e con lui, debbo dire, la maggioranza degli ungheresi) pensa che l'Ungheria non potrà più tornare indietro, che la fase attuale consentirà al regime di consolidarsi attraverso un crescente consenso popolare; e per ciò stesso che la sfera di autonomia dei singoli si allargherà e gli istituti si democratizzeranno. Ma a me sembra che questa predizione debba sottostare almeno a quattro verifiche: quelle degli intellettuali, dei giovani, della leadership del partito dopo Radar e, ovviamente, della Russia. La ricerca della concordia nazionale in Ungheria è appena agli inizi e sostanzialmente poggia su due pilastri: Radar, che è prossimo al ritiro, e la promessa dell'agiatezza, che in Occidente s'è mostrata inadeguata. Ennio Caretto Budapest. Al circolo studentesco: soprattutto sui giovani dovrà misurarsi il consenso goduto dal regime (Foto Team)